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Barche da diporto o da porto? Yacht “domestici” e case “sbandate”

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHITETTURA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: diporto, progettistica

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Nei mega yachts, il movimento con tutte le sue sfumature di rollio, beccheggio, oscillazioni, oggigiorno, credo sia l’unica vera differenza sostanziale con un’abitazione civile. Specialmente nei motoryacht anche l’altezza ridotta interna e l’impiantistica sono differenti, ma le cose sono sostanzialmente simili, l’interior design è simile!

L’architettura terrestre e l’arredo d’interni diventano le principali fonti di ispirazione. Fare barche da diporto che siano anche belle e comode è l’obiettivo di qualunque progettista, purché, aggiungo, rimangano Barche! Le barche a vela “sbandano” e a motore “vibrano”. Questa ricerca di simulare atmosfere domestiche deve tenere presente accorgimenti specifici dove il concetto di ergonomia è fondamentale, ma in barca oltre che alle proporzioni e ai movimenti dell’uomo, bisogna tener conto della sicurezza degli ospiti e del mezzo. Nella Nautica la coerenza tra contenuto e contenitore spesso manca, poiché un unico modello di scafo, come in un condominio, ospita interior molto diversi fra di loro. Il concetto di contesto è poi estraneo al mondo nautico, non previsto come indagine culturale e progettuale, viene a mancare l’attenzione all’intorno. In realtà il contesto c’è ed è anche forte ma la prospettiva e il punto di vista cambiano in continuazione, e hanno come unico punto di riferimento la linea di costa, il waterfront di una città o il mare aperto con tutte le sue vive sfumature.

Non esistono in mare, sovrintendenze, enti, vincoli paesaggistici, valutazioni d’impatto ambientale, discipline di destinazione e pianificazione urbanistica e territoriale (vedi anche Mare) e in deroga a prescrizioni comunque assenti, tutto si può, tutto è permesso, in mare tutto è Ante ’67!

Il buon senso e il buon gusto, però, dovrebbero intervenire e fare la propria parte. Negli ultimi anni l’idea e l’esigenza di coinvolgere i grandi architetti civili nel progetto di una barca è molto più frequente e, credo, in tanti casi anche un fallimento formale se non per la sperimentazione e ricerca. L’opera morta è stata molto spesso “mortificata”, confusa e privata della propria identità tipologica e significato semantico, per mano del potere persuasivo e della spettacolarità del “gesto”, del “segno” pretestuoso, spesso dissonante e virtuoso di alcune “Archistar”

Gli Edifici hanno una infinita possibilità di configurazioni spaziali, strutturali, formali proprio per essere i contenitori di infinite funzioni e usi al proprio interno. La storia ci insegna e ci rende partecipe dei successi e della camaleontica tendenza a modificarsi mantenendo fede alla cultura del progetto e dell’architettura intesa come atto di responsabilità.

Le Barche, invece, sono molto più condizionate nella loro definizione volumetrica, per natura, per forma Bi-fronte definita in una prua per entrare nell’onda, in una poppa per farsi raggiungere dall’onda, in un baglio per una stabilità di forma e un galleggiamento, in un pescaggio zavorrato per un “momento raddrizzante” e “Archimede”.  Carene lunghe e affusolate, agili e veloci da guerra, piatte e poco profonde per trasporto merci, più tonde e panciute (caravelle) per mari d’altura o per diporto, Yachting e turismo con piani velici sempre più performanti. Bisogna fare quindi di necessità una virtù, una bellezza, una armonia e non è necessario dover trasgredire sempre.

Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma…in mare tutto si dissolve! Il principio dell’elenco delle funzioni, teorizzata da B. Zevi come una invariante del linguaggio moderno e la necessità di appartenervi, richiedeva e suggeriva al progettista di azzerare la semantica originaria dei segni e delle forme. Un codice anticlassico per la modernità!

Tutto ciò trova terreno fertile, ancora più oggi, tra le Grandi Firme, che si cimentano, spesso con una pretesa scarsa preparazione e cultura del mare, nella Nautica. Proprio nell’uso e definizione delle aperture (osteriggi), dei tagli di luce, delle finestrature (oblò), che s’agita, fermenta e prende forma una condotta anacronistica che vede nel rifiuto dei principi “immortali” classici del modulo ripetitivo, degli allineamenti, delle proporzioni, dell’euritmia, la giustificazione dell’atto creativo e come movente e alibi. La vera libertà non è più nell’invariante del codice moderno o nell’Anarchitetto, ma in un’estetica domata, libera da “facili manierismi” e bilanciata alla tipologia funzionale. Buon senso, buon gusto e serie intenzioni costruttive alla base di un corretto approccio al progetto. L’opera viva, immersa nell’acqua e nell’ingegneria delle sole funzioni, ha mantenuto invece quel valore estetico e geometrico della propria funzionalità.

Mio malgrado, le comunicazioni e motivazioni commerciali continuano ad “vitalizzare” soluzioni con manifestazioni di teatralità e di spettacolarità. In mare, infatti, si vede di tutto: dal Guilty (una sorta di casa museo navigante), al Sigma (con design di Starck), a Predator (del cantiere Feadship, con un’inquietante prua rovesciata che fa tanto scafo da guerra) a innumerevoli esempi naviganti o ormeggiati a definire e condizionare lo skyline costiero. Avere la coscienza di cosa si realizza insieme alla cultura di vivere il mare, spesso mai avuta o semplicemente dimenticata, insieme al coinvolgimento delle varie discipline del processo ( architetto, ingegnere, arredatore e impiantisti ) e coordinate dal progettista e da un serio cantiere, si otterrà un prodotto bello, sicuro e senza tempo. La sovrastruttura di una barca dislocante non deve essere maggiore della superfice immersa o più pesante. La stabilità di forma insieme al pescaggio garantiscono che sia “anche” marina e possa navigare di rollio al traverso, di beccheggio al mascone e fuggire di poppa!

Galleggiare a prova di “norma”
Le barche sostano nei porti e nelle rade per la maggior parte del loro tempo, all’ancora o in banchina ormeggiate, collegate alla terra ferma con cime, cavi elettrici, acqua dolce, passerelle e scarichi. Occupano superfici, usano servizi, impegnano il suolo come il fondale del demanio marittimo (bacini d’acqua salmastra, rade o baie ) vincolato e tutelato, dai 150 ai 300 mt dalla costa, dalla “Galasso(legge 431/1985) … e come tale il Dpr 380/01 (testo unico dell’edilizia e del territorio) con l’Art 3 comma 1, e 5 stabilisce a assimila a “interventi di nuova costruzione” quelli di  qualsiasi trasformazione edilizia e del territorio (io considero anche il mare) che devono essere disciplinati da titoli abilitativi necessari.

Sono da considerarsi tali anche l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori … , che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno …

Ci si può sottrarre a questo? Possiamo considerarci esonerati dalla disciplina urbanistica stazionando e vivendo in aree demaniali “libere” (non concessionate e non concessionabili) a bordo fiume all’”inglese” (ormeggio di fianco ), su coste e sponde rocciose con cime a terra, in rade e insenature all’ancora e alla fonda?

Galleggiando liberi ma sempre con un collegamento terreno?
Si e no! Si perché, in quanto statali, sono beni pubblici e pubblico, libero e gratuito ne è l’utilizzo. No perché anche il fondale marino usato per l’ancoraggio in rada è suolo demaniale e non libero a tempo indeterminato, non è a disposizione per una durata superiore a un numero di giorni nell’arco dell’anno o spesso a contributi economico ambientali per i non residenti nel comune o anagraficamente iscritti. Là dove insistono gavitelli, corpi morti, catenarie, strutture/servizi “stabilmente” installate in acqua o a terra regolari, la disciplina spetta al concessionario (campo boe o pontili mobili) ma dove nulla è presente, il luogo “libero” è assoggettabile, a mio parere, al testo unico sull’edilizia (articoli 3, 10 e 35) al codice della navigazione e alla Costituzione.

La legge Galasso (L. 421/1985) prevedeva l’obbligo automatico per legge del vincolo ambientale di inedificabilità e di divieto di installazione anche temporanea, se non previa autorizzazione, nelle fasce di rispetto del demanio marittimo. L’inedificabilità della fascia costiera è un principio fondamentale della legislazione statale. L’uso del demanio marittimo, non in concessione, è gratuito salvo occupazione permanente. In rada è dunque consentito ormeggiare e stazionare (salvo ordinanze locali capitanerie), per soddisfare esigenze temporanee, ma non è ammesso un collegamento di natura permanente al terreno (fondale) e l’imbarcazione incustodita. Posso stare all’ancora ma non per sempre nello stesso punto, basta spostarsi o arare un pò per essere di nuovo liberi!

Allora se stabilmente ancorata, sembrerebbe che l’”installazione” (così definita dalla legge) dell’imbarcazione perderebbe il suo carattere di temporaneità a favore di una occupazione per uso continuo e abitativo e come tale assoggettata (Dpr. 380/01 Art 3 comma 1, e 5) alla disciplina di “interventi di nuova costruzione? Oneri concessori, Bucalossi, imu, tari e tasi ? Anche no, grazie!

Unità abitative mobili con meccanismi di movimento (rotazione o altro) in funzione, targati, assicurati e con tutti i requisiti richiesti per ogni tipologia di mezzo, sono esclusi ( ad eccezione) dall’Art 3 comma 1 DPR 380/01 e quindi possono anche sostare, ma senza allacci impiantistici permanenti al suolo, nei nostri giardini, in spazi pubblici, in aree demaniali, in rada e baie protette, salvo vincoli, ordinanze e prescrizioni varie. In mancanza di queste, se ne considera libero l’uso e il consumo.

Le House Boat come si inseriscono in questo scenario? Floating home, woonboot olandesi, Sampan in medio oriente, Benin in Africa, case e piattaforme galleggianti in Italia, natanti o imbarcazioni da diporto. Molti sono i nomi, ma quali veramente hanno diritto di identificarsi tali o è sufficiente la forma per giustificarne la funzione?

Secondo la Cass. Sez. III n. 12387 del 15 marzo 2017 (Ud 21 feb 2017) “… Per la realizzazione di strutture galleggianti stabilmente ancorate alle sponde di un fiume ed utilizzate come abitazioni, ambienti di lavoro ovvero di ristorazione, ritrovi, depositi, magazzini e simili e, quindi, non destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee, è necessario il permesso di costruire”.

Le case galleggianti, sono “edifici anfibiè hanno una fisionomia ibrida a metà tra una barca e una casa su terra. Creature mitologiche, tra il mito e la leggenda e … sogno di molti. I floating resort in Italia, a Rimini, Giulianova, Lignano e in altre piccole realtà locali stanno nascendo come alternativa abitativa e turistica, e credo, tra le più interessanti dal dopoguerra ad oggi. Considero questi ibridi meravigliosi la vera svolta e presupposto per un nuovo linguaggio di perfetta simbiosi tra fluido e materia, tra mare e architettura.

“La Costruzione è per tener su, l’Architettura è per commuovere”

Sacha Giannini

 

in anteprima Mega Yacht A Hamilton, Design di Philippe Starck – proprietario Andrei Melnichenko – autore DAVID HOLT
London September 6 2016 (4) Mega Yacht A Hamilton. Design by Philippe Starck. Owned by Andrei Melnichenko (28877121254).jpg – Wikimedia Commons

 

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