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Medicina subacquea e iperbarica: la sindrome di Taravana, è possibile che ripetute immersioni in apnea possano generare un incidente da decompressione?

tempo di lettura: 5 minuti

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livello medio
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ARGOMENTO: MEDICINA SUBACQUEA E IPERBARICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Taravana, Ama, incidente da decompressione, apnea
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Le evidenze scientifiche evidenziano sempre più che la sindrome di Taravana possa essere una, per fortuna rara, manifestazione neurologica di incidente da decompressione negli apneisti che eseguono immersioni ripetitive. Il termine Taravana viene dall’idioma polinesiano e vuol dire “Pazzia”.

Storicamente le prime segnalazioni di questa patologia furono raccolte da Cross, E.R., nel 1965, che segnalò l’insorgenza di disturbi neurologici di varia entità, a volte anche molto gravi, nei pescatori apneisti di perle delle meravigliose isole dell’arcipelago delle Tuamotu. Anche le famose e affascinanti Ama, pescatrici subacquee giapponesi che effettuano da sempre ripetute apnee per la pesca delle conchiglie, hanno manifestato lo svilupparsi di questa patologia.

da fonte citata

Altri casi clinici sono stati riportati in letteratura scientifica, compresi quelli di apneisti italiani, che presentavano tutti, come fattore comune, un elevato numero di immersioni giornaliere (vengono riportate da 40 fino a 120 immersioni giornaliere) con brevi intervalli tra un’immersione e la successiva.


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Che cosa può essere successo?
Numerose sono le ipotesi formulate in ambito scientifico. Le ipotesi più avvalorate in letteratura identificano la liberazione dell’azoto accumulato nei tessuti soprasaturi come trigger allo sviluppo dell’incidente da decompressione, un pò come avviene nei subacquei con ara. L’insulto delle bolle ai tessuti che ricoprono i vasi sanguigni (endoteli) determina una reazione dei sistemi di difesa dell’organismo, generando infiammazione e prosecuzione del danno.

Vengono chiamati in causa anche:
lo shunt venoso/arterioso, cioè il passaggio di bolle dal compartimento venoso (che porta il sangue ai polmoni che fungono da filtro che intrappola le bolle) al sistema arterioso (che porta sangue ossigenato a tutto l’organismo);
e il barotrauma polmonare, situazione patologica in cui, a causa delle intense variazioni pressorie nella circolazione polmonare, può accadere il passaggio (shunt) di bolle dal compartimento venoso danneggiato al compartimento arterioso, dove le bolle, liberate nella circolazione sistemica, possono indurre il danno neurologico.

Altre ipotesi, come la compresenza di forame ovale pervio, a tutt’oggi sono controverse.

Immagini di risonanza magnetica del cervello di tre Ama: area iperintensa sull’immagine T2 (cerchio), corrispondente all’ipointensità sull’immagine T1-pesata (riquadro). Un’ombra irregolare nella corteccia parietale sinistra (A, n. 2), una lesione sottocorticale lineare nel lobo frontale destro (B, n. 5) e deformità delle teste caudate bilaterali e raccolta del fluido subdurale (C, n. 11). da link 

Più recentemente, lo studio di Stephen Thom e colleghi (Association of microparticles and neutrophil activation with decompression sickness 2015 Journal of Applied Physiology dal Journal of Applied Physiology  July 2015 DOI: 10.1152/japplphysiol.00380.2015) e diverse altre pubblicazioni scientifiche successive hanno dimostrato come siano strettamente correlate nello sviluppo dell’incidente da decompressione l’interazione delle molecole di azoto con i micronuclei gassosi preesistenti nell’organismo e lo stato di attivazione del sistema immunitario; questo vale sia per l’apnea che per l’ARA.

Il continuo accumulo di azoto, dovuto alla ripetitività delle immersioni ed al breve intervallo di superficie intercorso fra le immersioni, sembra portare ad un’aumento delle dimensioni dei micronuclei gassosi fino a dimensioni che possono determinare occlusione dei piccoli vasi sanguigni arteriosi e determinare ischemia.

A conferma di questa teoria, sembrerebbe che il principale rischio per lo sviluppo della sindrome Taravana sia il breve intervallo fra un’immersione e la successiva. (Tamaki et al., 2010). Esami di Risonanza magnetica e tomografie assiali computerizzate del cervello, eseguite in apneisti andati incontro a questa patologia, mostrano lesioni ischemiche (Undersea Hyperbaric Med. 2005 Jan-Feb;32(1):11-20; Clinical Case Reports 2018; 6(5): 817–820, http://dx.doi.org/10.1155/2013/939704).

Alcuni studi evidenziano come la presenza nei soggetti studiati di alterazione dei fattori che influiscono sulla coagulazione del sangue, favorendo la trombofilia (un’anomalia della coagulazione del sangue che aumenta il rischio di trombosi), possano essere fattori favorenti l’insorgenza di questa patologia. Ad esempio l’iperomocisteinemia, ovvero la concentrazione elevata nel sangue dell’omocisteina, un amminoacido derivato dalla metionina e che svolge il ruolo di metabolita intermedio nella trasformazione nuovamente in metionina o in cisteina. Valori elevati sono considerati un indicatore di rischio cardiovascolare, non essendo un vero e proprio fattore di rischio.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Brain-MRI-T2-weighted-sequence-The-arrows-point-to-n-hyperintensity-area-mainly.png

MRI cerebrale (sequenza pesata in T2). Le frecce indicano l’area di iperintensità che coinvolge principalmente il caudato talamico e lenticolare con estensione alla capsula interna e periventricolare. È probabile che sia una lesione ischemica subacuta – da Two episodes of Taravana syndrome in a breath-hold diver with hyperhomocysteinemia di Giuseppe Accurso, Andrea Cortegiani, Sabrina Caruso, Oriana Danile, Domenico Garbo, Pasquale Iozzo, Filippo Vitale, Santi Maurizio Raineri, Cesare Gregoretti & Antonino Giarratano – pubblicato su ResearchGate

Come comportarsi?
Il rischio di sviluppare la sindrome di Taravana è molto basso e sembra essere più probabile nelle apnee estreme. Rimane fondamentale l’igiene di vita, un’adeguata idratazione ed un’attento controllo delle condizioni fisico e psichiche a cui associare una corretta programmazione delle immersioni in apnea in base alla profondità che si vuole raggiungere, stabilendo degli intervalli di superficie conservativi (almeno il doppio del tempo di immersione), e considerando di estendere questo intervallo quando le immersioni raggiungono profondità oltre i -20 metri.
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Luigi Santarella 
SIMSI – Medico del Centro Iperbarico di Bologna

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5 commenti

  1. eduardo eduardo
    05/09/2020    

    mi hanno detto che ho un piccolo soffietto che non si e chiuso dalla nascita la mia istruttrice non mi fa fare più immersioni per farmi altre analisi di micro bolle per vedere quante bolle passano.
    Vorrei sapere dottore ma veramente io non posso immergermi anche se uso una percentuale di aria e di ossigeno oppure il nitrox mi può dar un consiglio vi ringrazio anticipatamente

    • 06/09/2020    

      Gentile signor Eduardo, una risposta definitiva le può essere data solo dopo aver effettuato un controllo accurato. Prima di riprendere l’attività, Le consiglio di rivolgersi via mail al SIMSI, Società Italiana di Medicina Subacquea ed Iperbarica info@simsi.it che Le potranno indicare il centro o lo specialista più vicino alla sua residenza dove poter effettuare i controlli necessari. La prudenza viene prima di tutto.

  2. 20/04/2019    

    Complimenti dottor Luigi Santarella per la chiarezza, la correttezza scientifica e la competenza. Orgoglioso della tua collaborazione, come dirigente della Società Italiana Medicina Subacquea e Iperbarica (www.simsi.it), con Ocean4Future

  3. Stefano Mancosu Stefano Mancosu
    18/04/2019    

    Articolo ben costruito e che spiega in maniera piacevole da leggere ma allo stesso tempo accurata. Grazie!

    • 19/04/2019    

      Grazie, il dottor Santarella del SIMSI ha una rara abilità divulgativa ed i suoi articoli sono sempre molto ricercati …

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