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Cirripedi delle tartarughe, breve guida al loro riconoscimento

tempo di lettura: 11 minuti

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livello medio
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ARGOMENTO: BIOLOGIA MARINA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: cirripedi, denti di cane, balani
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Diamo il benvenuto a Daniele Pagli, ingegnere, ricercatore subacqueo scientifico e appassionato malacologo, che ci offre questa guida sui cirripedi delle tartarughe di mare, degli organismi marini epibionti, ovvero che possono vivere anche su altri organismi senza instaurare necessariamente rapporti di parassitismo o di simbiosi. 

Premessa
Il presente lavoro mira a fornire alcune indicazioni per il riconoscimento dei cirripedi epibionti delle tartarughe marine ed informazioni relative alla biologia di questi organismi. L’interesse nei confronti di questi organismi è dovuto ai numerosi casi registrati di spiaggiamento di giovani esemplari di tartaruga comune (Caretta caretta) soprattutto nel mar Adriatico, a partire dal 2009.

Negli esemplari spiaggiati sono state rinvenute colonie di cirripedi di dimensioni tali da ricoprire quasi completamente l’animale, talvolta impedendone i loro movimenti. Nel continente americano il fenomeno ha avuto dimensioni tali da attribuirgli il nome di DTS, acronimo per “Debilitated Turtle Syndrome”. Non è tuttavia ancora chiaro se la debilitazione delle tartarughe causi la colonizzazione o viceversa. 

Secondo una tesi del College di Charleston, South Carolina, USA, le tartarughe affette da DTS erano affette da una presenza importante di epibionti ed erano caratteristicamente emaciate, ipoglicemizzate, con presenza di anemia. Lo studio ritiene che la malattia indebolisca la tartaruga al punto da farla galleggiare sulla superficie dell’acqua, limitando di fatto l’animale in un ambiente che la predispone alla colonizzazione di Cirripedi come la Chelonibia testudinaria sul carapace e sui tessuti molli. N.d.R.

Generalità sui Cirripedi

Figura 1: esemplari-tipo per i peduncolata e per i sessilia

Innanzitutto, cosa sono i Cirripedi?
Questi organismi marini appartengono ai Crostacei. La loro denominazione deriva dalla presenza di appendici, dette appunto cirri, che fuoriescono dalla conchiglia e consentono all’animale di catturare le prede. Morfologicamente possono essere suddivisi in due gruppi principali: i peduncolati, in cui la conchiglia è distante dal substrato ed è fissata ad esso mediante un piede, ed i sessili, in cui la conchiglia aderisce al substrato e l’animale è racchiuso completamente all’interno della stessa.

Figura 2: nomenclatura delle parti calcaree dei cirripedi.

In figura 2 si illustrano gli esemplari-tipo con le caratteristiche sia esterne che interne, lasciando ai capitoli successivi l’eventuale approfondimento necessario per distinguere le varie specie o famiglie.

Sviluppo dell’individuo adulto
La fase pelagica dello sviluppo dei cirripedi si compone di due forme larvali successive: la prima forma, chiamata nauplius e presente anche in altri crostacei, produce da 4 a 6 stadi planktotrofici o lecitotrofici. Ogni stadio è progressivamente più grande e con appendici più setose; al termine di questi stadi si ha la seconda forma, detta cypris, in cui l’animale smette di nutrirsi. Nella figura seguente si riporta la morfologia principale di una larva allo stadio di nauplius.

Figura 3: cirripede allo stadio naupliare con descrizione delle varie parti.

Figura 4: cirripede allo stadio di Cypris.

Al termine della fase naupliare, il cirripede si trasforma nello stadio di cypris (il nome deriva da un genere di ostracode con il quale può essere confuso) in questo stadio l’animale smette di nutrirsi e si dedica esclusivamente alla ricerca del sito in cui si hanno le condizioni ideali per lo sviluppo dello stadio adulto. Nella figura sottostante si riporta la morfologia principale di una larva allo stadio di cypris. Le forme pelagiche dei cirripedi possono essere facilmente distinte dalle altre forme comuni dello zooplancton. L’unica classe che può creare qualche problema è quella dei Copepodi, un altro subphilum dei Crostacei, il quale ha anch’esso uno stadio naupliare (i Copepodi possiedono un paio di corna fronto laterali di grandi dimensioni da entrambe le parti terminali della zona cefalica che ne permettono una facile distinzione).

Fase adulta
Nella fase adulta i cirripedi si fissano ad un substrato attraverso la ghiandola del cemento, nutrendosi con delle appendici che fuoriescono dalla parte protetta dal guscio. Le appendici caudali sono poste all’estremità posteriore del corpo. La conchiglia è mossa da un sistema di muscoli adduttori. In figura seguente sono illustrate più nel dettaglio le varie parti che compongono l’animale.

Figura 5: Struttura interna dei cirripedi

Per quanto riguarda la struttura interna si rimanda ai dettagli sul testo di Relini, 1982, riportato nella bibliografia.

Descrizione delle principali specie
I cirripedi sono suddivisi in tre grandi gruppi, in base alla forma generale: i Balani, le Chelonibie ed i Lepadi. Per ciascuno vengono riportate le caratteristiche generali e le indicazioni generali per le classificazioni. Ovviamente tali divisioni non hanno valore scientifico ma servono per esporre più facilmente le differenze tra i vari gruppi; non si entra nei dettagli anatomici, né in particolari di dettaglio, per i quali si rimanda a pubblicazioni specialistiche.

3.1 – Balanus
Sono costituiti da 6 placche che si incastrano perfettamente, conferendo all’animale la forma di un vulcano in miniatura, a protezione dell’animale dai predatori e dalla disidratazione l’apertura è chiusa da delle piastre calcaree dette placche opercolari che si aprono come una porta permettendo all’animale di interagire con l’esterno. Le specie epibionti delle tartarughe sono:

• Amphibalanus eburneus
• Amphibalanus amphitrite
• Balanus trigonus
• Perforatus perforatus

Figura 6: placche opercolari per le varie specie A) Amphibalanus eburneus B) Perforatusperforatus C) Balanus trigonus D) Amphibalanus amphitrite.

Esse si riconoscono principalmente per la forma delle placche opercolari in figura seguente si riportano le forme per ciascuna specie; come si può notare le differenze tra loro e sono sufficienti al riconoscimento della specie.

Amphibalanus eburneus Gould, 1841

Figura 7: a) vista dall’alto b) vista laterale (da notare il profilo seghettato del bordo che caratterizza la specie) c) pezzi opercolari visti sia da sopra che da sotto d) luogo di ritrovamento: attaccato a oggetti galleggianti, legni in acque salmastre lagunari. dimensioni circa 2 cm

Si distingue dalle altre specie simili per il profilo elevato, per la forma sub triangolare dell’apertura e dalle placche; è caratteristico degli oggetti galleggianti, si ritrova occasionalmente anche sulle tartarughe.

Amphibalanus amphitrite (Darwin, 1854)

Figura 8: vista dall’alto e pezzi opercolari per l’Amphibalanus amphitrite.

Si distingue dalle altre specie per l’apertura romboidale e per la forma delle placche; si rinviene solitamente attaccato ad oggetti galleggianti.

Perforatus perforatus (Bruguière, 1789)

Figura 9: a) vista dell’apertura, da notare all’interno dell’apertura la caratteristica forma dei pezzi opercolari b) forma caratteristica di esemplari meno vecchi, a forma di cono con apertura circolare c) vista dall’alto d)esemplari nel loro habitat attaccati alle conchiglie, altre volte si trovano attaccati alle scogliere poco al di sotto della linea di marea. Da letteratura si legge che si trova dalla linea di marea fino a profondità di circa 40 m in acque relativamente pulite. e) pezzi opercolari, da notare gli apici acuminati e ricurvi.

Si riconosce principalmente per gli apici delle placche ricurvi, per la forma conica e per le pareti spesse; vive solitamente su substrati fissi, la presenza sui carapaci delle tartarughe è da ritenersi accidentale.

Balanus trigonus Darwin 1854

Figura 10: a) Vista dell’apertura opercolare, da notare la forma triangolare che dà il nome alla specie (trigonus = triangolo) b) Piastre opercolari, da notare le fossette nella piastra più grande c) Colonia di Balanus trigonus

Si riconosce per l’ornamentazione degli scuta con delle fossette ed il colore violaceo. Anche esso è tipico dei substrati duri.

3.2 Chelonibie
In questo gruppo si trovano i cirripedi che vivono quasi esclusivamente associati alle tartarughe:

• Stomatolepas cf. elegans
• Platylepas exastylus
• Stephanolepas muricata
• Chelonibia patula
• Chelonibia caretta
• Chelonibia testudinaria

Le prime tre specie tendono ad aderire al carapace della tartaruga con modalità talvolta similari ad un’invasione. Ciò può creare disagio nell’animale, specialmente in esemplari giovani. Per quanto riguarda il genere Chelonibia (Figura 11), è una specie naturalmente presente anche sulle tartarughe sane. Vivono prevalentemente sul dorso e si riconoscono in base all’apertura ed alla fessura tra le piastre: la Chelonibia testudinaria ha il foro piccolo, dell’ordine di 1/3 della dimensione dell’animale e le fessure con delle ornamentazioni tipiche (Figura11-1); le altre due sono prive di ornamentazione. Nella Chelonibia caretta si ha il foro circa metà della dimensione dell’animale e la Ch. patula ha le pareti sub verticali.

Figura 11: quadro di insieme del genere Chelonibia.

Stomatolepas cf. elegans (Costa,1838)

Figura 12: illustrazione di Stomatolepas sp.

Questa specie di Cirripide, segnalata principalmente per le tartarughe Dermochelys coriacea, si fissa alla tartaruga per mezzo di un cuneo squamoso che penetra nella pelle dell’animale.

Platylepas exastylus (Fabricius, 1798)

      

Figura 13: illustrazione di Platylepas exastylus

Questi cirripedi vanno ad attaccarsi a giovani esemplari e sono spesso un segno di malessere dell’animale ospite. Per ancorarsi utilizzano delle specie di uncini calcarei. Vivono associati a tutte le specie di tartaruga, in particolare la Caretta caretta. È una delle specie più frequenti da incontrare assieme a C. testudinaria.

Stephanolepas muricata (Fisher, 1886)

Figura 14: illustrazione di Stephanolepas muricata.

Questa specie, segnalata recentemente per le coste della Tunisia, aderisce all’animale attraverso un complesso sistema di uncini.

Chelonibia testudinaria (Linneus, 1758)

Figura 15: vista dall’alto e pezzi opercolari per Chelonibia testudinaria (foto di Alessandro Nota).

Questa specie di solito vive attaccata al carapace, presente anche su esemplari completamente sani. Per la differenza sulle varie specie di chelonibia si rimanda alla parte iniziale del gruppo.

Chelonibia caretta (Spengler, 1790)

Figura 16: illustrazione di Chelonibia caretta

Anche questa specie di solito rimane attaccata al carapace, presente anche su esemplari completamente sani. Per la differenza sulle varie specie di chelonibia si rimanda alla parte iniziale del gruppo.

Chelonibia patula (Ranzani, 1818)

Figura 17: illustrazione di Chelonibia patula

Caratterizzata da pareti più sottili, è la sola specie che vive anche attaccata ad oggetti galleggianti, crostacei, carene di navi,etc.. Per la differenza si rimanda alla parte iniziale.

4.3 Lepadi
I membri di questa famiglia, come i balani, vivono prevalentemente associati agli oggetti galleggianti:

• Lepas pectinata
• Lepas anatifera
• Lepas anserifera
• Lepas pectinata

Si distinguono per l’ornamentazione e la distanza tra le placche e per la presenza o assenza del dente umbonale.

Lepas pectinata Spengler, 1851

Figura 18: foto di Lepas pectinata

Placche percorse radialmente da strie; assenza di dente umbonale; peduncolo piccolo di colore brunastro; masse ovigere di colore azzurro – rosa lilla a seconda dello stato di maturazione.

Lepas anatifera Linneo, 1767

Figura 19: foto di Lepas anatifera

Stretto spazio tra carena e scuta; placche lisce o finemente striate; presenza di dente umbonale.

Lepas anserifera (Linneo, 1767)  
Placche percorse radialmente da strie; dente umbonale presente (il destro più sviluppato del sinistro); valve bordate di arancio; placche ravvicinate; peduncolo lungo di colore bruno
 Lepas hilli (Leach,1818) Lepas con ampio spazio tra carena e scuta; placche lisce o finemente striate
 

 

Conchoderma virgatum (Spengler, 1790)

Figura 22: illustrazione di Conchoderma virgatum

Possiede una membrana che protegge l’animale; placche ridotte e molto distanziate, di colore bruno chiaro con bande di colore violetto.

 

Daniele Pagli
mail: dpagli9@gmail.com
sito: http://danielepagli.altervista.org/index.html

 

in anteprima tartaruga nel parco marino di Akumal – photo credit  @andrea mucedola

 

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Bibliografia
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2. AA. VV. Ministero dell’ambiente e tutela del territorio, Guida al riconoscimento del plancton dei mari italiani – Volume II zooplancton neritico. Arti grafiche Agostini – 2006
3. David V.P. Conway – Marine zooplancton of Southern Britain Part 2
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Siti utili:
http://peabody.yale.edu/collections/invertebrate-zoology/turtle-epibiont-project

https://www.researchgate.net/publication/268212261_Conway_DVP_2012_Marine_zooplankton_of_southern_Britain_Part_2_Arachnida_Pycnogonida_Cladocera_Facetotecta_Cirripedia_and_Copepoda_ed_AWG_John_Occasional_Publications_Marine_Biological_Association_of_t

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