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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XIX SECOLO
AREA: PASSAGGIO A NORD OVEST
parole chiave: Erebus, Terror
Il mito del passaggio a Nord Ovest
La ricerca da parte degli Europei di una via più breve dall’Europa all’Asia, navigando verso occidente, iniziò con i viaggi di Cristoforo Colombo nel 1492 e continuò fino alla metà del XIX secolo con una lunga serie di spedizioni esplorative provenienti principalmente dall’Inghilterra, ovviamente interessata a ridurre le distanze per le sue reti commerciali.
HMS Erebus tra i ghiacci, 1846, autore Musin, conservato nel National Maritime Museum, Greenwich, London” – Creative Commons CC-BY-NC-SA-3.0 license HMS Erebus in the Ice, 1846 RMG BHC3325.tiff – Wikimedia Commons
Questi viaggi portarono nuove conoscenze geografiche sull’emisfero occidentale, in particolare sull’America del Nord verso l’Artico. Vi furono numerosi esploratori che tra il XVI e XVII secolo fecero scoperte geografiche sul Nord America. Molte località portano il nome di quegli audaci: John Davis, Henry Hudson e William Baffin. Nel 1670, l’incorporazione della Hudson’s Bay Company portò a un’ulteriore esplorazione delle coste canadesi e dell’interno dei mari artici. Nel XVIII secolo, tentarono la sorte in quei mari sconosciuti e non privi di pericoli grandi esploratori come James Knight, Christopher Middleton, Samuel Hearne, James Cook, Alexander MacKenzie e George Vancouver. Nei primi del 1800, si comprese che non esisteva nessun passaggio a nord-ovest navigabile. Ma le necessità economiche spinsero la Gran Bretagna ad organizzare una nuova spedizione.
Alla ricerca del passaggio a Nord Ovest
Nel 1804, Sir John Barrow divenne secondo segretario dell’Ammiragliato e decise di intraprendere una nuova ricerca con la Royal Navy per ricercare il mitico Passaggio a Nord-Ovest a nord del Canada, navigando verso il Polo Nord. Nei successivi quattro decenni molti esploratori intrapresero l’esplorazione dell’Artico canadese, in territori ostili e sconosciuti.
Mappa delle rotte presunte del HMS Erebus e HMS Terror durante la spedizione di Franklin 1845-1845, basata sui punti principali – autore Smurfertroop – Fonti: Meeting with whalers: The Morning Post London, Greater London, England 25 Oct 1845, Page 5Route around Cornwallis Island up to 77°N, Wintering on Beechey Island, Wintering at King William Island: Victory Point NoteSupposed Route of Franklin’s expedition 1845-1848.svg – Wikimedia Commons
Tra questi c’era il comandante John Franklin, secondo in comando di una spedizione verso il Polo Nord sulle navi H.M.S. Dorothea e H.M.S. Trent nel 1818 e capo di due spedizioni via terra e lungo la costa artica del Canada tra il 1819 e 1827. Nel 1845, le scoperte avevano di fatto ridotto le parti rilevanti dell’Artico canadese ad un’area di circa 181.300 chilometri quadrati. La spedizione di Franklin avrebbe dovuto navigare dirigendosi inizialmente a ovest, attraverso il Lancaster Sound, e poi verso sud, cercando di evitare banchise di ghiaccio, iceberg e stretti pericolosi. La distanza da percorrere era stata calcolata in circa 1.040 miglia nautiche ma si preannunciava complessa e pericolosa.
Sir John Franklin (1786–1847), English sea captain and Arctic explorer – Unknown author – Fonte: Dibner Library Portrait CollectionFile:John Franklin.jpg – Wikimedia Commons
Barrow, deciso ad intraprendere questa esplorazione, scrutinò numerosi candidati da prescegliere come comandanti, per lo più scartati per mancanza di esperienza o per il loro rifiuto. La sua scelta cadde sul 59enne Sir John Franklin, un anziano comandante della Royal Navy, che aveva combattuto con Nelson alla battaglia di Copenaghen. La spedizione doveva essere eseguita con l’impiego di due navi, H.M.S. Erebus e H.M.S. Terror, ognuna delle quali aveva già navigato con l’esploratore James Clark Ross. A Franklin, il 7 febbraio 1845, fu dato il comando della spedizione e dell’H.M.S. Erebus, e Crozier fu nominato comandante del H.M.S Terror.
Le due navi erano state costruite principalmente con criteri di robustezza ed erano dotate di motori a vapore che servivano un’unica elica che consentiva una velocità di 4 nodi. Tenendo conto che le due navi non superavano le 400 tonnellate ciascuna non era certo molto … ma tutto va visto nel contesto. Gli interni erano stati rinforzati per resistere alle morse dei ghiacci ed un sistema di riscaldamento interno era disponibile per dare conforto agli equipaggi. Anche i timoni e le eliche potevano essere intubate per dare maggiore protezione nella navigazione tra i mari ghiacciati. Nell’ipotesi di una missione di lunga durata in terre ostili, furono frettolosamente imbarcate conserve alimentari per la durata di tre anni. Molte di esse erano conservate in scatola e questo si rivelò un errore fatale. Poco dopo la partenza si scoprì che erano state confezionate in malo modo e molte furono scartate e gettate a mare perché vistosamente deteriorate.
A parte Franklin, Crozier e il tenente Graham Gore, gli unici altri ufficiali veterani dell’Artico erano un assistente chirurgo e i due icemaster. Nel reclutamento dei sottoposti, la maggior parte dell’equipaggio era di origini inglesi, molti dei quali provenienti dal North Country, con un piccolo numero di irlandesi e scozzesi. Durante la navigazione, non priva di incidenti, le due navi si ritrovarono bloccate dal ghiaccio nello Stretto di Victoria vicino a King William Island nell’Artico canadese. Il 22 aprile 1848, 105 sopravvissuti lasciarono le navi nel tentativo di raggiungere la terra ferma a piedi, ma nessuno sopravvisse. L’intera spedizione, 129 uomini tra cui Franklin, andò perduta. Di fatto, cosa accadde dopo, è stato solo ipotizzato sulla base dei resti ritrovati dopo oltre 160 anni.
La spedizione di soccorso
Nel 1848, pressato dalla moglie del capitano Franklin, l’Ammiragliato inglese intraprese una ricerca di soccorso per ricercare tracce della spedizione scomparsa. Molte spedizioni successive si unirono alla caccia, raggiungendo nel 1850 undici navi britanniche e due americane. Molte di queste navi iniziarono al ricerca al largo della costa orientale dell’isola di Beechey, dove furono rinvenute le prime tracce della spedizione, incluse le tombe di tre membri dell’equipaggio. Nel 1854, l’esploratore John Rae, nella costa artica canadese, a sud-est di King William Island, raccolse delle informazioni sul passaggio di Franklin dagli indigeni Inuit. Una ricerca condotta da Francis McClintock nel 1859 scoprì una nota lasciata a King William Island con dettagli sul destino della spedizione. Le ricerche continuarono per gran parte del diciannovesimo secolo.
Nel 1981, un gruppo di scienziati guidati da Owen Beattie, un professore di antropologia all’Università di Alberta, iniziò una serie di studi scientifici sulle tombe, i corpi e altre prove fisiche lasciate dagli uomini di Franklin sull’isola di Beechey e sull’isola di King William.
Essi conclusero che gli uomini sepolti sull’isola probabilmente morirono di malattia. Gli stenti, il clima estremo e l’avvelenamento da piombo, ritrovato nei tessuti dei poveri resti, non gli furono favorevoli. Forse tutto fu dovuto a causa delle lattine saldate male o dei sistemi idrici delle navi che lentamente avevano avvelenato l’equipaggio. Furono ritrovati tracce di tagli su altre ossa delle sepolture sull’isola di King William forse significando che i disperati si abbandonarono al cannibalismo. Secondo gli ultimi studi gli uomini dell’equipaggio non morirono tutti insieme e dovettero subire una lunga agonia sulle banchise. Fu l’ipotermia, la fame, l’avvelenamento da piombo e le malattie insieme all’esposizione generale ad un ambiente estremo ed ostile, senza un abbigliamento e nutrizione adeguati, che uccisero tutti i componenti della spedizione.
La scoperta
Il 1 settembre 2014, una nave da ricerca canadese della “Victoria Strait Expedition”, trovò due oggetti su Hat Island nel Golfo della Regina Maud, nei pressi dell’isola di King William di Nunavut. Il primo era un oggetto di legno, probabilmente appartenente all’occhio di gubia (apertura presente sui masconi delle navi dove trova alloggiamento l’àncora) e parte di una gruetta per il rilascio delle scialuppe con i marchi di due grandi frecce della Royal Navy.
Il 9 settembre 2014, la spedizione annunciò di aver finalmente localizzato una delle due navi della spedizione di Franklin, l’H.M.S. Erebus, ancora in ottime condizioni, preservato dalle fredde acque artiche.
Grazie alle immagini raccolte con il sonar a scansione laterale fu possibile esaminare nei dettagli persino il fasciame del ponte.
Il relitto dell’H.M.S. Erebus giace su circa 40 piedi di profondità (circa 13 metri) ma la temperatura dell’acqua di mare richiede attrezzature subacquee dedicate. Sebbene la posizione del relitto non sia stata rivelata la stampa ha rivelato che si trova nella parte orientale del Golfo della Regina Maud, ad ovest di O’Reilly Island.
A bordo della nave di supporto archeologica canadese “Qiniqtiryuaq” accanto al relitto dell’HMS Erebus(1926), 2019 – autore Kerry Raymond File:On board Parks Canada’s archeology support barge “Qiniqtiryuaq” beside the wreck of the HMS Erebus (1926), 2019.jpg – Wikimedia Commons
Due anni dopo il ritrovamento dell’H.M.S. Erebus, il 12 settembre 2016 fu annunciato che la Arctic Research Foundation Expedition aveva finalmente ritrovato il 3 settembre 2016 il relitto del H.M.S. Terror a sud di King William Island su un fondale di circa 80 piedi (25 metri). I ricercatori a bordo della nave Martin Bergmann, della Arctic Research Foundation, entrarono nella Terror Bay su suggerimento di un membro dell’equipaggio di etnia Inuit, Sammy Kogvik, che si era ricordato di aver visto del legno conservato nel ghiaccio marino alcuni anni prima. Dopo una veloce esplorazione risultata infruttuosa, la Martin Bergmann stava avvicinando all’uscita dalla baia, quando apparve sull’ecoscandaglio una sagoma interessante che ricordava uno scafo sommerso. Dopo un’ispezione ravvicinata con un ROV, i ricercatori ebbero la conferma di aver trovato effettivamente un relitto.
Ma di cosa si trattava?
La nave si trovava a circa 60 miglia (96 km) a sud del luogo in cui i pochi documenti in possesso riferivano che l’equipaggio avesse abbandonato la nave ormai intrappolata dai ghiacci. Analizzando le immagini raccolte con i piani della nave ebbero finalmente la conferma del ritrovamento: si trattava della HMS Terror. Il fatto che il relitto fosse perfettamente intatto ed appoggiato sul fondo del mare suggerì che la nave non fu frantumata nella morsa dei ghiacci ma affondò in un secondo momento. Probabilmente l’equipaggio, stremato ed affamato, si era già avventurato sulla banchisa alla ricerca della terra ferma. Con il ritrovamento dell’HMS Terror si chiuse così un cold case di quasi 170 anni ma gli archeologi continueranno a studiare i resti, miracolosamente conservati nelle fredde acque per ottenere informazioni preziose sulle navi dell’epoca.
Ed il passaggio a Nord Ovest?
Probabilmente ci penseranno i cambiamenti climatici a renderlo percorribile. Questo sarà fonte di nuovi problemi geopolitici legati allo sfruttamento delle risorse presenti nelle terre e nei mari lasciati liberi dai ghiacci. Contenziosi territoriali sono già iniziati tra la Russia ed il Canada ma, di questo, parleremo in un prossimo articolo.
.Andrea Mucedola
immagine in anteprima: Side-scan sonar image del HMS Terror che mostra dei dettagli nitidissimi: bompresso, alberi e la posizione del timone
Finding HMS Terror – Wrecks of HMS Erebus and HMS Terror National Historic Site (canada.ca)
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
“Bellissime immagini e storia veramente emozionante…”