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Osmosi in campo nautico: ce ne parla Sacha Giannini

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: TECNOLOGIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: osmosi
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Parliamo oggi di uno degli argomenti tra i più discussi e temuti nel mondo della nautica, soprattutto in Italia, ovvero l’osmosi delle imbarcazioni. Ce ne parla Sacha Giannini, autore di un interessante libro su questo interessante e poco noto argomento.

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Nell’immaginario collettivo l’osmosi viene visto ancora come un mistero in cui, tra psicosi, disinformazione, interpretazioni da banchina e dichiarazioni fuorvianti, si alimentano falsi miti e inganni.
Su cosa sia e cosa rappresenti l’osmosi si sono pronunciati in tanti, con approcci tecnici complessi o, come talvolta accade, con semplificazioni poco significative. Il libro di Giannini cerca di mettere ordine sull’argomento e invita a riflettere per restituire oggettività al problema, come dice l’autore, misurare il fenomeno per quello che esso realmente è, mai uguale e mutevole, ma sempre lì, sospeso tra dubbi, certezze e battute d’arresto nei programmi manutentivi. Le informazioni e le riflessioni aiutano tutte quelle persone che non hanno particolari conoscenze, sia tecniche che pratiche, ad apprendere le nozioni di base sull’osmosi in campo nautico, per potersi districare nei meandri del problema. In pratica un manuale rivolto a tutti gli appassionati delle proprie imbarcazioni in vetroresina, semplicemente per capire il perché, da dove e come nasce questo problema; senza scendere in dissertazioni tecniche, che per essere comprese necessiterebbero di adeguate nozioni di fisica e chimica applicata, fornisce semplici principi di comune approccio scolastico. Ma c’è dell’altro e chiediamo all’autore di raccontarcelo.

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Osmosi tra chimica, fisica e materiali del futuro

L’uso del termine Osmosi (dal greco: osmos = spinta), ha un significato chiaro non solo nell’indicare un noto fenomeno fisico elementare e la conseguente lenta “pressione” di bilanciamento sviluppata su una superficie di separazione tra miscele diverse (in questo caso lo scafo), ma anche un complesso meccanismo di scambio, di imitazione e “simbiosi” tra sistemi ed anche individui. Se vogliamo l’osmosi è un chiaro esempio di aumento dell’entropia: ovunque ci sia una barriera c’è osmosi, c’è un impulso, una spinta, una diffusione e compenetrazione perché nessuna barriera è totalmente invalicabile: fra città e campagna, fra nazioni e culture, dentro le cellule, fra informazione e disinformazione, fra l’interno e l’esterno di noi stessi come in alcune barche di vetroresina immerse costantemente in mare.
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Volendo parafrasare il problema, il processo fisico-chimico di osmosi e di degradazione della resina poliestere ha la stessa capacità di agire e degenerare, condizionando, chiunque sia coinvolto direttamente nel problema, diagnosi e soluzioni.  Tornando al nostro guscio galleggiante ci possiamo domandare quando si verifica l’osmosi? Quali segnali ci indicano che sia iniziato il fenomeno? Come possiamo essere sicuri che sia osmosi? La barca è nella condizione predisponente? Cosa significa la percentuale di umidità nel laminato in vetroresina? A chi rivolgersi, che indagini fare e come interpretarle? Bisogna comprendere che i materiali costruttivi degli scafi possono essere adeguati o inadeguati per diverse ragioni, regioni, climi e d’uso. Non esiste un materiale universale e perfetto ed è limitativo pensare al progresso tecnologico nella nautica come condizione per poter abitare, sostare, solcare e resistere a tutti i mari! Lo scafo diventa sempre più elemento architettonico e di sintesi tecnica, non solo in termini compositivi, ma anche prestazionali, di comfort e di programmazione manutentiva. Il progetto di uno scafo e dei dettagli e scelte costruttive ha un risvolto sociale, perché oltre ad essere un contenitore di “utenti ed utenze” ha un impatto notevole sul contesto, ancora oggi purtroppo un concetto estraneo al mondo nautico! È necessaria una grande qualità dell’opera “viva”, di quella “morta” come di quella “coperta”. Gli involucri delle barche sono tuttavia sistemi naturalmente chiusi, a garanzia di sicurezza e resistenza alle onde durante la navigazione, al tempo e all’acqua. Il design moderno mediterraneo è stato colonizzato dagli echi di quella cultura terrestre chiamata “stile internazionale”, ma che, invece, è lo stile regionale di paesi con caratteri climatici e meteorologici ben specifici e diversi dai nostri. L’ideologia che contrappone la barca leggera come moderna, a quella massiva del passato, dovrebbe essere corretta: lo scafo leggero appartiene ai paesi illuminati e meridionali, mentre quello massivo ai paesi settentrionali sotto illuminati (meteorologicamente)! La caratterizzazione storica si traduce, più correttamente, in una specificazione geografica. Tutti i materiali necessitano di manutenzioni perché il legno marcisce, l’acciaio e l’alluminio corrodono e la vetroresina degrada e può eventualmente sviluppare dopo anni processi degenerativi di osmosi.
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Ad eccezione di alcuni casi, l’ingresso di umidità e l’eventuale formazione di bolle è un processo che richiede molti anni e non settimane o mesi! Evviva la vetroresina (qualunque essa sia) che da 50 anni viene impiegata per ogni utilizzo, specialmente per far navigare nel diporto. La vetroresina, pur se così difficile da smaltire e riciclare, non è tra le peggiori e le maggiori cause di inquinamento. Le automobili, programmate per durare tra l’altro un terzo rispetto alle nostre barche, producono inquinanti atmosferici altissimi e concentrati in aree urbane già fortemente congestionate. Le barche, soprattutto a vela, sono sempre più sostenibili ed eco-friendly rispetto ai “cugini terrestri”. Le fibre e le resine del futuro si ispireranno forse alla natura, agli insetti e ai loro sofisticati organismi. Presto ragni e ragnatele, api e alveari, formiche e termiti ispireranno nuovi bio-compositi e biopolimeri rinnovabili provenienti dall’oceano, dagli esoscheletri dei crostacei, fino alla biologia sintetica. Materiali che consentiranno ai nostri figli e nipoti, di poter navigare con scafi in cellulosa, pectina e acqua! oppure su scafi realizzati in aerogel, leggeri come una “meringa”, in monoatomico grafene puro, 100 volte più forte dell’acciaio. Purtroppo siamo ancora fortemente dipendenti dal petrolio e dalle risorse non rinnovabili e non solo per un discorso energetico e di carburante.
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Anche se il nostro scafo potesse muoversi senza più nafta, ma grazie a motori magnetici, a raggi solari, tutti i materiali che strutturano l’oggetto sarebbero comunque sempre derivati del petrolio e dalla raffinazione petrolifera. Il problema della sostenibilità non è di facile risoluzione, sebbene nell’architettura terrestre, che rappresenta il maggior volume “d’affari” mondiale, qualcosa, pur lentamente, nel pensiero si è mosso. Potrebbe essere molto di più, considerando cinquant’anni dalla prima vera crisi petrolifera mondiale, ma i risultati sono ancora disastrosi nei fatti, nelle chiacchere un pò meno. Nella nautica, una sensibile ricerca alla tematica “green” ha portato a sperimentazioni embrionali di promozione ecologico ambientale a costi purtroppo ancora elevati e risultati attesi ancora da verificare. D’altra parte, per rimpiazzare poliesteri ed epossidiche nella nautica, dovremmo aspettare di abbandonare i nostri vecchi e cari muri di casa per aprirsi a nuove soluzioni prestazionali tali da giustificare un totale rinnovamento culturale. Ma ciò, almeno in moltissimi casi, non è ancora avvenuto e possibile immaginarlo. Bisognerà attendere un nuovo ciclo di innovazione e di collaudi prima di salutare resine e pareti!

Sacha Giannini
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