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L’inquinamento marino, cause ed effetti … che fare?

tempo di lettura: 9 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OVUNQUE
parole chiave: inquinamento, emergenze ambientali, plastica

 

Sul nostro pianeta sono presenti circa un miliardo e mezzo di metri cubi di acqua di cui il 97 % è costituito dall’acqua salata dei mari mentre il restante 3 % è l’acqua dolce contenuta nei laghi, nei fiumi, nei ghiacciai e nelle falde acquifere. Queste acque si differenziano secondo le loro caratteristiche chimico e fisiche (temperatura, colore, densità, torbidità, contenuto di sali e gas disciolti, elementi chimici presenti nell’acqua e composizione) e naturalmente biologiche (presenza di microrganismi). In base alle loro caratteristiche specifiche esse possono essere idonee all’uso alimentare ed all’impiego nell’agricoltura o nell’industria. Il loro uso a scopi alimentari è regolato da linee guida che vengono approvate dal Ministero della Salute, secondo regole nazionali ed europee.

Un avvelenamento costante
I dati sull’inquinamento del pianeta, purtroppo, mostrano un progressivo avvelenamento delle riserve acquifere e del mare. Ultimo, ma solo  temporalmente, quello delle microfibre plastiche, particelle inferiori ad un micron, provenienti dai prodotti plastici che, sfuggendo ai sistemi di filtraggio, sono ingerite dagli esseri viventi tramite la catena alimentare con conseguenze per la salute ancora da stabilire. C’è molto da fare e le soluzioni non sono sempre così semplici. Vanno considerati aspetti sanitari, economici e politici che necessitano un’unità di intenti che, fino ad ora, è apparsa solo nelle dichiarazioni dei Capi di Stato.

Ma quali sono le cause maggiori dell’inquinamento delle acque?
Quando si affronta il problema dell’inquinamento delle acque ci si riferisce principalmente alle interazioni antropiche che hanno modificato le caratteristiche originali di una falda d’acqua o del mare. Esso avviene principalmente a causa degli scarichi fognari e della acque bianche degli abitati. Non sempre è visibile come in questa sconvolgente foto del fiume indonesiano Citarum, considerato tra i più inquinati del mondo; per la maggior parte delle volte è un inquinamento subdolo che nel tempo comporta gravi problemi sanitari alle popolazioni. 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è AMBIENTE-Citarum_River_pollution_2009.jpg

Fiume Citarum, Indonesia, considerato uno dei 15 fiumi più inquinati al mondo – Fonte http://www.mnn.com/earth-matters/wilderness-resources/photos/the-15-most-toxic-places-to-live/citarum-river-indonesia – autore By, Chief on Oct.16,2009 @11:23pmFile:Citarum River pollution, 2009.jpg – Wikimedia Commons

Questo spesso avviene quando acque inquinate si riversano, senza un adeguato trattamento di depurazione e filtrazione, nei fiumi o direttamente in mare a causa di cause accidentali, come la rottura di tubature o condotte di deflusso, oppure per conseguenze di un’azione criminale.

Un’altra causa di inquinamento è dovuta  a sostanze derivanti dagli scarti o dalla stessa produzione industriale che vengono disperse nei laghi o nelle condotte di deflusso. Riversandosi nel terreno, esse filtrano nelle falde e possono ritornare in superficie attraverso pozzi, canali ed i fiumi prima di raggiungere il mare; le acque contengono una grande carica inquinante, altamente nociva per la salute, ed il loro impatto sull’ambiente è complesso, duraturo e non sempre prevedibile.

Non ultima causa, è quella derivante dall’uso massivo di fertilizzanti e pesticidi che, penetrando nel terreno delle colture, contaminano le falde acquifere sottostanti che alimentano i pozzi impiegati per t’innaffiamelo delle culture o l’uso domestico. E’ ormai noto che alcune di queste sostanze chimiche sono particolarmente pericolose per la salute dell’uomo e per la sopravvivenza di numerose specie animali.  Ad esempio, metalli pesanti (cromo, mercurio) e cloruri, se assimilati attraverso la catena alimentare, possono causare nell’Uomo l’insorgenza di tumori.

A queste cause va aggiunto l’inquinamento antropico diretto derivante dalla cattiva gestione dei rifiuti solidi e dalla ineducazione civica di molti. Ancora si assistono roghi di rifiuti intenzionali i cui fumi producono diossine che, penetrando nel terreno, lo avvelenano. Anche queste sostanze possono arrivare al mare, incrementando gli inquinanti e minando gli ecosistemi. Versamenti chimici più o meno accidentali (se non colposi) possono avvenire anche nei fiumi (come nel 2017 in Brasile) ed a volte regalano vistose colorazioni delle acque come in questa foto scattata lungo le rive di un fiume cinese a seguito del versamento involontario di un colorante nelle acque. La causa fu dovuta a due fabbriche illegali che riversavano il liquame in fogna, causando conseguenze sanitarie importanti in una grande area geografica. Purtroppo non è solo quello che si vede che ci deve far preoccupare ma anche quello che non vediamo.

Qualunque sia la causa vedremo che, pur essendo questi eventi tutti punibili dalla legge, i causanti spesso sfuggono alla giustizia. In pratica risulta sempre difficile trovare i colpevoli e chi ne paga le conseguenze sono i cittadini, spesso ignari delle conseguenze.

Arriviamo al mare
Ma l’inquinamento può avvenire anche in alto mare. Forme importanti di marine pollution sono causate dal versamento più o meno accidentale di idrocarburi; l’esperienza insegna che questi incidenti, pur avendo un’incidenza statistica minore se raffrontata a quella terrestre, quando avvengono provocano disastri ecologici gravissimi. Tra i tanti eventi voglio ricordare il drammatico naufragio della petroliera greca Prestige che affondò al largo delle coste spagnole nel 2002, portando con se 77.000 tonnellate di petrolio. Il grave incidente causò una vasta marea nera che colpì una zona costiera compresa tra il nord del Portogallo e la Francia, causando un notevole impatto ambientale sulle coste. Va sottolineato che sebbene la Prestige, di proprietà greca ma battente bandiera panamense, avesse perso in mare solo cinquemila delle settantasette mila tonnellate di “oro nero”, gli effetti sull’ambiente furono comunque devastanti. Sulla superficie del mare si formò una macchia nera lunga 37 chilometri e larga 200 metri di cui parte si riversò poi sulle coste. Si stimò che il danno provocato fu di circa 300 milioni di euro di cui 43 solo per la pulizia delle coste, 200 per i crediti agevolati e 50 di indennizzo ai sette mila pescatori durante i sei mesi  (ottimisticamente previsti) necessari per il ritorno alla normalità.

il relitto della Amoco Milford Haven, Arenzano, Italy – Autori SUBnormali Team – CC-BY-SA-3.0.File:MT Haven Wreck.jpg – Wikimedia Commons

Un altro incidente gravissimo avvenne nel Mar Ligure, nel Mar Mediterraneo, da parte  della petroliera Haven.  Era il 1991 quando, presso Arenzano-Voltri (Genova) si verificò l’affondamento della grande nave causando il versamento di migliaia di tonnellate di petrolio in mare. Dopo oltre vent’anni, l’inquinamento è ancora palpabile e cinquantamila tonnellate di greggio risultano ancora disperse sui fondali. La relazione dell’ICRAM (Istituto Centrale di Ricerca sul Mare), consegnata al magistrato Luigi Cavadini Lenuzzi fu chiara:
«Le ispezioni condotte hanno evidenziato che gli idrocarburi versati in mare dalla Haven hanno colpito in particolare il litorale compreso tra Vesima e Varazze … Sulle spiagge tra Arenzano e Cogoleto si è rilevata l’infiltrazione di idrocarburi nella sabbia, sino a profondità superiori a 30 centimetri … Le numerose scogliere, pennelli artificiali e opere portuali hanno costituito siti di accumulo di residui del greggio versato, solo parzialmente bonificati».

La situazione sulla verticale del luogo dell’affondamento era ancora più grave. Furono ritrovati sul fondo strati di catrame provenienti dal relitto ad una profondità di oltre 400 metri. Sicuramente un lento e costante inquinamento del Mar Ligure i cui effetti sono ancora presenti in molte specie ittiche bentoniche locali. Le conseguenze sanitarie ed ecologiche sull’ambiente sono forse ancora da valutare pienamente. In quel tragico mattino del 13 aprile 1991, a causa di un esplosione interna, si generò un incendio a bordo della grande nave che creò un surriscaldamento delle cisterne interne  seguito da ulteriori esplosioni. Dopo la fase iniziale di incendio del combustibile che si era versato in mare, la nave venne trainata al largo di Arenzano, aiutata da una fortunata serie di coincidenze (mare calmo, assenza di vento).

Per fortuna la maggior parte del combustibile si esaurì dalla combustione che durò più giorni. Alla fine, il relitto affondò e si trova oggi su un fondale di circa ottantacinque metri nelle acque antistanti il comune di Arenzano (Genova). Si tratta del più grande relitto visitabile dai subacquei del Mediterraneo ed uno dei più grandi al mondo. L’affondamento causò la perdita di migliaia di tonnellate di petrolio che almeno in parte, nelle sue componenti più dense, ancora oggi permangono nei fondali marini antistanti Genova.

Va sottolineato che fu grazie alla prontezza del Comandante della Guardia Costiera di Genova che si evitò il peggio. I mezzi anti incendio furono in grado di contenere il petrolio fuoruscito in mare (ed in fiamme) utilizzando barriere di contenimento (panne) per circoscrivere l’area e recuperare parte del greggio versato. L’incidente della Haven fu il più grave disastro ecologico nel mar Mediterraneo e si stima che nell’incidente bruciarono circa 90.000 tonnellate di petrolio.

Non sempre sono incidenti
Nella carrellata degli insulti ambientali, che purtroppo continuano ad affliggere il nostro mare, dobbiamo menzionare anche quelli intenzionali, ovvero causati dagli sversamenti volontari ed illegali da parte delle navi mercantili. Si tratta di una pratica illecita, che viene in genere effettuata nelle ore notturne, dovuta al lavaggio delle cisterne in alto mare da parte dei mercantili o allo scarico delle loro sentine in navigazione. Tutte azioni criminali che, nonostante il continuo controllo da parte della Guardia Costiera, necessitano una pronta segnalazione alle Autorità da parte di chi le scopre. 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è NAVI-RELITTO-640px-Costa_Concordia_wreck_front_view_-_Isola_del_Giglio_-_Tuscan_Archipelago_Italy_-_18_Aug._2013.jpg

recupero del relitto della Costa Concordia, isola del Giglio – autore Disma Ballabio File:Costa Concordia wreck (front view) – Isola del Giglio – Tuscan Archipelago, Italy – 18 Aug. 2013.jpg – Wikimedia Commons

La tecnologia ci aiuta
Per fortuna, i movimenti delle navi mercantili sono oggi costantemente ed accuratamente monitorati dai mezzi delle forze dell’ordine e, in particolare, dalle Guardie Costiere, che utilizzano per la sorveglianza specifica navi, mezzi aerei da ricognizione e satelliti. 
Considerando la situazione italiana, gli 8.000 chilometri di costa e la fascia territoriale antistante non ci aiutano, purtroppo i mezzi sono ancora insufficienti, cosa che influisce grandemente sui tempi di intervento. 

Il controllo del traffico marittimo è facilitato da numerosi sistemi elettronici di sorveglianza come l’A.I.S., l’L.T.I.R. ed il V.M.S. e dalle sempre più efficienti reti satellitari che, si spera, in un quanto più prossimo futuro, potranno essere federate per assicurare una più efficiente sicurezza marittima. Sebbene questi sistemi consentano già oggi una valutazione costante della situazione marittima, al fine di ottimizzare l’impiego dei sempre troppo limitati mezzi di soccorso navali ed aerei disponibili, il teatro di operazione è vastissimo. Il traffico mercantile viene seguito, 24 ore su 7 giorni, al fine di intervenire prontamente in caso di emergenza in situazioni sospette, come il travaso illegale di acque di sentina, e quindi di agire prontamente con i mezzi anti inquinamento, procedendo legalmente contro le compagnie di navigazione per punire severamente i colpevoli.

Sebbene le leggi esistano e le pene siano molto severe,  il contenzioso non è sempre facile anche perché il danno in alto mare non può sempre essere sempre valutato pienamente. Lodevole l’impegno di CONFITARMA per la sicurezza marittima.

In sintesi, si tratta di un lotta senza fine per prevenire e combattere questi fenomeni criminali che colpiscono l’inconsapevole cittadino, causando ricadute sanitarie ed economiche importanti. In altre parole, le navali militari e dell’ordine fanno quello che possono ma si tratta di una guerra senza frontiere in un mare vasto e difficilmente controllabile a causa della limitatezza di mezzi a disposizione. Non si tratta quindi di un vuoto normativo ma di una effettiva carenza di Uomini e Mezzi che necessiterebbe una maggiore attenzione a livello politico.

Le leggi ci sono
Recentemente, in Italia, è stata approvata una modifica legislativa che introduce nel codice penale nuovi delitti contro l’ambiente, nello specifico: l’inquinamento ed il disastro ambientale, il traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività, l’impedimento del controllo ed omessa bonifica. In particolare, il nuovo articolo 452-bis del codice penale, entrato in vigore il 29 maggio 2015, punisce per il reato di inquinamento ambientale, con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10.000 a 100.000 euro, chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento “significativi e misurabili” dello stato preesistente “delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo e del sottosuolo” o “di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna

Per questo tipo di reati sono inoltre previste delle aggravanti; se gli eventi lesivi derivati dal reato siano plurimi, ed a carico di più persone, può essere applicata la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo, fermo restando tuttavia il limite di 20 anni di reclusione. Nel caso di disastro ambientale è prevista la reclusione da 5 a 15 anni qualora si abbia un’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali. Il disastro ambientale è aggravato se commesso in un’area protetta (ad esempio un parco o un Area Marina Protetta) o sottoposta a vincolo o in danno di specie animali o vegetali protette.

esercitazione di controllo nel porto di Milazzo – photo credit Guardia Costiera

In sintesi
La legge c’è ed ora bisogna applicarla senza sconti. Le forze dell’ordine, a cui va sempre il nostro rispetto e gratitudine, devono essere però supportate da un sempre maggiore senso civico e collaborazione da parte dei cittadini e ricevere il giusto riconoscimento da parte della classe politica. Non li possiamo lasciare soli.

Solo per l’Italia
Per l’emergenza in mare è attivo il numero blu 1530, gratuito sul tutto il territorio italiano ed attivo 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. 

Come usufruire del servizio?
Contattando il 1530 si attiverà la Capitaneria di porto competente per giurisdizione. In caso di saturazione delle linee,  la chiamata sarà automaticamente smistata alla Centrale Operativa del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto che provvederà a raccogliere i dati e comunicarli alla Capitaneria competente.
Responsabile del servizio di Telefonia Mobile
Ufficiale Capo della Centrale Operativa Viale dell’Arte n.16 – 00144 Roma
Tel. 0659084527 – 0659084409 – Fax. 065922738
 

​E’ per questo che è molto importante essere vigili ed informare la Guardia Costiera prontamente di ogni sospetta alterazione o inquinamento dell’ambiente. Il futuro, oggi come sempre, appartiene a  noi.

Andrea Mucedola

foto in anteprima, parco marino della Maddalena, un’area marina protetta di successo – photo credit @andrea mucedola 

 

 


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