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Osmosi: il danno come nuova opportunità?

tempo di lettura: 7 minuti

 

livello elementare

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ARGOMENTO: NAUTICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Osmosi
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L’osmosi rimane, pur se circoscritto sempre più, un problema ancora attuale almeno fino ad “esaurimento scorte” di quell’usato anni ’80 e ’90 (che rappresenta almeno il 40% del parco nautico italiano) spesso il più contagiato dall’osmosi.

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è il caso di intervenire

Sebbene già da molti anni il fenomeno fosse ben noto insieme anche alle contromisure da adottare per prevenire e limitare, già in fase di produzione, spiacevoli sorprese per migliaia di armatori, si continuò ugualmente a stratificare con le stesse resine e metodi come se non fosse possibile altro. Per anni il sospetto di essere innocenti vittime di efficaci strategie commerciali con note tecniche di “obsolescenza programmata” ha accompagnato il pensiero di molti diportisti, che si sono sentiti traditi proprio … in profondità! Per alcuni furbetti di turno è stata anche occasione favorevole per ridefinire il ciclo vitale di uno scafo in poliestere fissandone data e ora di fine vita, seminando terrore. L’arte persuasiva del commercio negli ultimi vent’anni ha poi consentito a quelle condizioni predisponenti costruttive di diventare così problematiche da convincere gradualmente molti armatori a percepire (per diversi motivi) come vecchio il proprio scafo per desiderarne uno sempre più nuovo, forse migliore e privo di difetti! Confrontarsi con l’osmosi, può significare per alcuni una sconfitta non solo economica e di tempo, ma anche emotiva che invece potrebbe trasformarsi e vedere il danno come nuova opportunità, recuperando e valorizzando l’intervento in un vero punto di forza. Come l’arte giapponese del frammento “Kintsugi“ ricopre d’oro le fratture di oggetti rotti lasciando a vista preziose riparazioni, così anche i trattamenti curativi potrebbero mostrare le proprie “cicatrici” risanate e rafforzate attraverso quell’oro ” trasparente e costoso conosciuto col nome di resina epossidica bicomponente.

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dopo la sabbiatura

Oggi i nuovi materiali, oltre a strutturare la costruzione di una barca, potrebbero anche rigenerarla e decorarla. Fibre blu di composti di cobalto nei rinforzi strutturali o per trame decorative e stampaggi architettonici a vista, fibre di titanio prese dal settore aerospaziale o fibre naturali (come lino, sughero, canapa, ortica e bamboo) o miscele di chitosano estratto dell’esoscheletro dei crostacei, possono diventare i presupposti di un nuovo approccio verso un futuro non solo sostenibile ma anche “artistico” delle barche.

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dopo una carteggiatura orbitale

Alcuni di questi materiali hanno tra l’altro proprietà idro-regolatrici, cioè possono assorbire notevoli quantità di umidità senza però disgregarsi e forse possono evitare scissioni, idrolisi e processi degenerativi di stampo osmotico.

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prima mano gel shield

Epossidica o Poliestere?

E’ ormai risaputo che l’osmosi non colpisce a tradimento, ma diversi segnali e controlli costanti permettono una diagnosi anche molto precoce. Appare in media dopo diversi anni e colpisce soprattutto barche datate costruite principalmente con poliesteri ortoftaliche applicate e lavorate non sempre correttamente. Tutti gli scafi minacciati, colpiti e curati sono stati risanati sempre e solo con la più nobile, resistente, impermeabile e aderente epossidica, ma sicuramente la più costosa tra tutte le altre in commercio. Rispetto al passato la poliestere oggi è sicuramente migliore e da diversi anni viene proposta, ancora solo da operatori illuminati e preparati, in sostituzione di note matrici polimeriche più nobili e costose grazie all’ottimo rapporto raggiunto di prezzo/prestazioni. Le poliesteri sono sempre più performanti ed innovative in termini di resistenza, impermeabilità e soprattutto di aderenza.

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prima mano vegetativa

La possibilità di combinare acidi, glicoli e monomeri reticolanti (quasi sempre lo stirene), rende in pratica infinito il numero di combinazioni e quindi di resine ottenibili. Al momento dell’utilizzo finale la resina deve essere sempre polimerizzata mediante una reazione di ossido-riduzione, prodotta da un perossido organico, un sale metallo-organico o un’ammina che portano alla formazione di radicali reattivi verso i polimeri. Il settore delle resine poliesteri insature da diversi anni sta rispondendo in maniera positiva al mercato nautico che richiede prodotti sempre più performanti e sicuri (resistenza meccanica, aderenza, impermeabilità e lavorabilità), a basso costo e con tutte le dovute attenzioni a problematiche ecologiche, limitando spesso l’utilizzo di alcune materie prime usate molto in passato come lo stirene. Questi polimeri, seppur conosciuti e utilizzati da oltre mezzo secolo, possano offrire oggi, per la loro innovazione, versatilità, economicità e facilità di impiego, interessanti opportunità e alternative d’utilizzo.

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Quindi nuove matrici insature, pre-accelerate, con note e richieste proprietà tixotropiche (di regolazione della viscosità per ridurre le colature nella stratificazione in verticale e quindi sull’invaso), sciolte in stirene o più eco-friendly solvent free, iso-neopentiliche (a base di acidi e glicoli con ottime caratteristiche meccaniche e di resistenza al sole, all’acqua, ai prodotti chimici e all’invecchiamento in genere), ma soprattutto catalizzate alla perfezione con perossidi di qualità e in giusta quantità, potrebbero in alternativa anche ripristinare, con un ragionevole compromesso di tecnologia e costi di fornitura, la carena di tutte quelle barche datate, con valore di mercato spesso compromesso dall’età e dalla scoperta della “malattia”, che necessitano di trattamenti curativi.

Come si presenta l’osmosi?

Non tutte le vesciche visibili in carena sono causate da osmosi e lo sviluppo non è sempre certo e prevedibile, tanto che alcuni scafi possono presentare un eccessivo livello di umidità, suggerendo quindi la presenza di liquido contaminato e processi attivi, ma invece non svilupperanno bolle per molte stagioni o forse non le svilupperanno mai; in altri casi potrebbero esserci invece livelli molto inferiori di umidità con evidenti vesciche e acidi corrosivi. Per prima cosa la bolla dev’essere circolare (questo perché la pressione osmotica al suo interno è praticamente uguale in tutte le direzioni) e deve formarsi sotto lo spessore del gel coat, deformandone la superficie.

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bolla di osmosi con liquido acido

Nella fase iniziale potrebbero essere piccole e rade e pertanto non sempre facili da individuare, invece nei casi più avanzati l’osmosi si presenta più chiaramente con bolle rotonde sotto il gel coat e piene di liquido untuoso al tatto simile al glicole, il cui colore vira, nel caso di fenomeni recenti, dal trasparente al giallo chiaro paglierino fino al marrone scuro, quasi nero, per quelli più datati. Inoltre deve avere un tipico odore acetico come quello di molti diluenti, solventi e acceleranti largamente utilizzati nella catalizzazione della resina poliestere.

Il laminato sottostante, in particolare i primi strati di mat, si presenta “sgranocchiato”, sbiancato con filamenti secchi e fibre ben visibili prive di resina. È proprio l’idrolisi che genera questi sottoprodotti acidi corrosivi che, se concentrati in cavità interstiziali del laminato, possono portare alla formazione delle temute bolle.

Ogni vescica dovrebbe essere aperta e verificata per escludere che si tratti di “controfigure” e trovarci di fronte a innocue bolle d’aria intrappolate nell’antivegetativa, oppure piene di solventi, diluenti o semplicemente di acqua. Altre ancora possono apparire come rigonfiamenti irregolari confuse nelle rugosità superficiali di vecchie antivegetative sovrapposte, in alcuni casi “spacciate” per osmosi, come quel tipico assorbimento per effetto traspirante delle fibre ultra sottili del MAT che attirando umidità lungo i singoli filamenti si gonfiano con un leggero motivo in rilievo sul gel coat fino a scomparire asciugandosi a terra (il noto fenomeno del wicking). Questo “assorbimento” indica non solo la degradazione del gel coat ormai compromesso ma anche la presenza di umidità nel laminato ed un primissimo sintomo o addirittura un precursore che accompagna, in condizioni predisponenti, anche una più probabile formazione di bolle osmotiche.

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non dimentichiamo di effettuare un trattamento preventivo

Consigli base e precauzioni di uso e consumo  

– Ridurre l’uso di diluenti e solventi. Durante la lavorazione si è sempre tentati di “diluire” per impregnare più facilmente le fibre, rendere più scorrevole il pennello e risparmiare materiale prezioso. Una volta evaporati gli eccipienti del caso, residui e impurità all’interno e sulle superfici, creano un terreno favorevole per idrolizzarsi pericolosamente portando un possibile rischio osmosi.

– La resina poliestere a base di acido isoftalico tende a sviluppare bolle molto meno di quella a base di acido ortoftalico. Ottima è la resina glicolneopentilisoftalica o la difenolica. Utilizzare sempre resine adatte e di qualità per ogni intervento in carena (esterno ed interno scafo)

– Le emulsioni collanti a base di acetato di polivinile per “confezionare” e compattare i filamenti del Mat sono più vulnerabili a sviluppare bolle di collanti in polvere di poliestere o altri sistemi.

– Il gel coat mescolato troppo energicamente quando si aggiunge perossido per la polimerizzazione (catalisi reattiva) ingloba pericolose bollicine d’aria, cavità pronte a custodire eventuali liquidi acidi e spiacevoli “pressioni osmotiche”.

– L’acqua dolce e calda, meno densa e più fluida, penetra meglio nel gel coat ed accelera il processo osmotico.

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Certo di non essere stato esaustivo in questi due brevi articoli, vi invito a leggere il mio ultimo libro “Osmosi: come orientarsi tra dubbi e soluzioni, consigli pratici per affrontarla” per ogni ulteriore approfondimento. Si tratta di un manuale divulgativo e informativo e quindi non è un prodotto da utilizzare per la diagnosi o per la prevenzione o cura, delle nostre barche. Si rivolge a tutti gli appassionati del proprio “guscio” in vetroresina per riflettere, capire il perché, dove e come nasce il problema. Buona lettura

Sacha Giannini

 

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PARTE I PARTE II

 

Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

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