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. livello elementare . ARGOMENTO: STORIA NAVALE PERIODO: XVI SECOLO AREA: MAR MEDITERRANEO – MALTA parole chiave: assedio, Malta, Turchi, Ospitalieri
Nei primi tre articoli abbiamo vissuto la presa di Forte S. Elmo, che costò a Mustafà oltre 8.000 dei suoi uomini migliori, mentre i difensori maltesi avevano perso circa 1.500 fra Cavalieri e soldati. Il computo rimase comunque a vantaggio degli Ottomani, che continuarono a ricevere aiuti da migliaia di corsari provenienti dal nord Africa in cerca di bottino.
Una vittoria inutile
A S. Elmo, Mustafà spera di impadronirsi dell’artiglieria maltese; perde il senno quando capisce che i Cavalieri mutilati e più gravemente feriti hanno passato le ultime ore di vita a danneggiare tutti e 27 i pezzi rimasti, che risultano inutilizzabili. Dall’altra parte del Porto Grande, La Valette si trasferisce da S. Angelo all’Albergo d’Italia, negli appartamenti del Commendator De Mailloc. Non sopporta infatti la vista della mezzaluna che sventola sulle macerie di S. Elmo, ma al popolo e ai Cavalieri non mostra alcuno scoramento. Si reca anzi nella piazza del Borgo per parlare con i cittadini e rassicurarli; non annulla neanche i festeggiamenti (con fuochi pirotecnici) per il giorno di S. Giovanni. Il giorno dopo, come già ricordato nel precedente capitolo, i cadaveri mutilati e crocefissi dei Cavalieri arrivano, galleggiando, fino al Borgo. Il Gran Maestro si reca a osservare l’osceno spettacolo assieme al popolo. Stavolta non trattiene la rabbia. Mentre i cadaveri degli amici vengono portati sulla terraferma per avere degna sepoltura, tiene un discorso direttamente in loco, infuocando gli animi anche delle donne e dei fanciulli.
Agli armati si rivolge invece così:
Cosa potrebbe desiderare di meglio un Cavaliere, che morire con le armi in mano? E cosa potrebbe essere più adatto, per un membro dell’Ordine, che sacrificare la vita in difesa della propria fede? Non dobbiamo abbatterci perché i Turchi, alla fine, sono riusciti a piantare il loro maledetto stendardo fra le rovine di S.Elmo. I nostri Fratelli, che sono morti per noi, hanno insegnato loro una lezione che ha causato angoscia in tutto l’esercito Turco. Se il povero, piccolo e insignificante S.Elmo è stato in grado di resistere ad attacchi violenti per un mese, come può aspettarsi di avere successo contro la più forte e numerosa guarnigione del Borgo? Noi Vinceremo.
Il Gran Maestro non si dimentica degli altri combattenti, maltesi e mercenari, e parla anche a loro:
Siamo tutti soldati di Nostro Signore, anche voi fratelli miei. E se per sfortuna tutti i Cavalieri e gli ufficiali dovessero morire, sono sicuro che voi continuerete a battervi con la stessa veemenza.
È comunque interessante notare come il Vassallo, nella sua cronaca, non giustifichi la rappresaglia di La Valette, che fa piovere le teste dei prigionieri sul campo turco.
La Valette, caduto S. Elmo, chiede al Cav. Mesquita (il comandante della Notabile) di inviargli alcuni contingenti della milizia cittadina e di cercare, ancora una volta, aiuto dalla Sicilia. Nel frattempo, un Piccolo Soccorso proveniente proprio quell’isola giunge in vista di Malta. A guidarlo è Don Giovanni di Cardona, che però gira le vele appena vede le bandiere ottomane sventolare su S.Elmo. Il Vicerè è infatti stato chiaro: se S. Elmo è già caduto, non avvicinarti all’isola. La Valette dirige e partecipa in prima persona a tutti i lavori e alle opere necessarie a rendere il più sicure possibili le due penisole fortificate di Borgo e Senglea. In pochissimi giorni, fa abbattere tutti gli alberi dei giardini nelle vicinanze delle città e anche decine di abitazioni che i Turchi potrebbero utilizzare come riparo o come materiale di recupero per piattaforme o per altre difese. Davanti alle mura vuole tabula rasa.
Il 29 Giugno, a sei giorni dalla caduta di S.Elmo, arrivano alla Notabile (favoriti da una densa nebbia) i primi soccorsi dalla Sicilia. In tutto circa 600 uomini, fra cui 44 Cavalieri (compreso Enrico La Valette, nipote del Gran Maestro), 200 soldati spagnoli, 200 mercenari italiani e una quarantina di benestanti avventurieri europei.
Mesquita decide che il Gran Maestro deve sapere la buona novella, e quindi ha l’idea di spedire al Borgo un maltese, Bajada, in abiti ottomani. Bajada ha trascorso diversi anni come schiavo dei turchi e padroneggia la loro lingua. In pieno giorno, passa in mezzo ai ricognitori turchi e arriva senza problemi davanti al Gran Maestro. Il 3 Luglio l’intero contingente di soccorso giunto alla Notabile (con l’eccezione di 60 uomini trattenuti in città da Mesquita) percorre quasi 20 miglia a piedi per aggirare gli Ottomani e arrivare al Borgo passando dalla parte meridionale dell’isola. I Cavalieri sono a conoscenza, a grosse linee, del piano d’assalto di Mustafà, ma a confermarlo in modo completo è uno schiavo greco, Filippo Lascaris, che fugge dall’accampamento turco e raggiunge a nuoto la Senglea.
La storia di Filippo Lascaris merita un approfondimento. Egli è infatti un aristocratico greco, discendente degli Imperatori Romani d’Oriente, catturato in gioventù dai Turchi. Pur avendo raggiunto una buona posizione all’interno dell’esercito ottomano, egli racconta che la difesa dei Cavalieri ha fatto scattare qualcosa in lui, e che non può più accettare di stare dalla parte di coloro che hanno umiliato la sua famiglia. Definiamolo un ravvedimento operoso e tardivo.
I Turchi avrebbero attaccato in massa, via terra e via mare, la Senglea. Per evitare le cannonate di S.Angelo, Mustafà ha intenzione di trasportare le barche via terra, attraverso la penisola di S.Elmo, fino al Porto Grande. Mustafà ha inoltre già deciso anche la strategia post-conflitto: dopo aver massacrato tutti i Cavalieri, lascerà a Malta il Pascià di Rodi (l’isola strappata all’Ordine quaranta anni prima) con 10.000 uomini. Mustafà pensa infatti anche alla conquista de La Goletta, ossia il secondo obiettivo fissato da Solimano. Mentre la parte della penisola Senglea che guarda al Borgo è protetta dalla grossa catena che unisce le punte delle due penisole e da un sufficiente quantitativo di artiglieria, sul lato interno le mura non sono ancora abbastanza alte. La Vallette chiede ai suoi ingegneri di trovare una soluzione per impedire lo sbarco delle forze turche sul litorale, e il costruttore Orlando Zabbar, coadiuvato dai piloti Paolo Micciolo e Paolo Burlò, propone la costruzione di una palizzata lungo tutta la penisola, da piantare in acqua a 15 passi dal litorale. I pali, distanziati di 10 passi fra loro, saranno uniti da una grossa catena Si tratta dell’unica soluzione fattibile per impedire uno sbarco. La Valette ordina di costruirla solo nelle ore notturne, e gli operai riescono nell’impresa impossibile di ultimarla in poco più di una settimana. Altri intralci allo sbarco (alberi, tronchi, vecchie imbarcazioni) sono disseminati nei luoghi strategici. Il 4 Luglio, Mustafà viene a sapere che un contingente (di cui non conosce esattamente la consistenza numerica) è riuscito ad aggirare i suoi uomini e a raggiungere i Cavalieri. Dopo la rabbia iniziale, invia a Solimano una missiva per chiedergli nuove truppe, giustificandosi, a detta del Vassallo, così: “Perché le fortezze di Malta sono assai più bellicose ed ostinate di quello ch’era stato dato a intendere“.
Inizia inoltre a pensare di offrire ai Cavalieri dei termini di resa favorevoli, simili a quelli già concordati a Rodi nel 1522. Addirittura, vuole proporre una nuova isola ai Cavalieri, forse nell’Egeo, al prezzo di un modesto tributo annuo. Le teste dei prigionieri turchi, recapitate a colpi di cannone nell’accampamento, fanno però riflettere Mustafà sull’opportunità di mandare uno dei suoi come messaggero. Decide quindi di inviare un anziano schiavo cristiano. Il Gran Maestro pretende però che lo schiavo giunga a lui bendato, senza avere la possibilità di osservare le forze cristiane. Dopo aver ascoltato le condizioni turche, il Gran Maestro rimane in silenzio per qualche secondo e poi dice una sola parola: Impiccatelo. Lo schiavo lo prega di risparmiarlo e La Valette gli concede la grazia e la possibilità di tornare da Mustafà. Non prima, però, di averlo portato ai bastioni di Provenza e Alvernia, i più possenti e presidiati, e avergli fatto osservare l’altezza delle mura.
Il Gran Maestro gli indica soprattuto l’ampiezza e la profondità del fossato. Lo schiavo si sporge dalle mura e mormora “I Turchi non prenderanno mai questo posto“. La Valette risponde: “Dì al tuo padrone che (il fossato) è l’unico terreno che gli concederò. Ecco lì il luogo che potrà avere per i suoi. Lo riempirà con i corpi dei sui Giannizzeri.“.
La Valette non prende neanche in considerazione una possibile resa. Preferisce farsi massacrare come i difensori di S.Elmo. I maltesi di Borgo e Senglea sono della stessa idea: con i Cavalieri fino alla morte. Di fronte al rifiuto, Mustafà giura che ucciderà ogni Cavaliere e ogni maltese di Borgo e Senglea. Si rivolge poi alla Notabile, questa volta facendo leva direttamente sui maltesi. Cerca di convincerli che turchi e maltesi, una volta eliminati i Cavalieri, potrebbero vivere in pace e prosperità. Per la seconda volta in pochi giorni, i maltesi rifiutano di venire a patti con gli Ottomani, dicendo che hanno giurato alla Religione (ossia ai Cavalieri) “fedeltà inviolabile”.
Il giorno successivo, Mustafà ordina di aprire il fuoco sulla Senglea. Il posizionamento iniziale della sua artiglieria prevede sette cannoni sulle alture di S.Margherita, sette a Corradino e dodici sul monte Sceberras. Un drappello turco attacca il fronte della Senglea (la parte della penisola che dà sulla terraferma), dove alcuni difensori si sono sistemati fra il revellino e un riparo di botti piene di terra. L’avamposto maltese riesce a resistere per qualche tempo, ma alla fine è costretto a ritirarsi nelle mura; non prima, però, di aver fatto saltare in aria il revellino. I Turchi iniziano subito a lavorare a un ponte di assi per attraversare il fossato e tentare la scalata. Dall’altro lato delle difese cristiane, il 7 luglio tocca anche al Borgo subire un bombardamento. L’8 luglio, La Valette viene a sapere che ai Turchi sono arrivati nuovi aiuti: si tratta di Hassan Pascià, governatore di Algeri, con 28 galere e 2.500 soldati. Si risolve quindi a scrivere, per l’ennesima volta, alVicere di Sicilia, chiedendo il “Gran Soccorso” atteso da settimane. Il Gran Maestro descrive con minuzia di particolari le forze nemiche che stanno cannoneggiando Borgo e Senglea, e spera in una forza di sbarco cristiana di 12.000 fanti e 80 galere. Nel corso della missiva, considerando la penuria d’acqua che i Turchi sono costretti a fronteggiare, reputa sufficienti anche soli 6.000 uomini. Anche i Cavalieri hanno però quasi esaurito le riserve idriche, tanto che il Gran Maestro chiude così la sua missiva:
Il Vicerè però fa dei calcoli diversi. A Malta ci sono più di 200 galee turche e circa 40.000 (visto che i rinforzi avevano quasi pareggiato i caduti) uomini in armi. Don Garcia di Toledo ha a sua disposizione meno di 100 galee e sa che S.Elmo è già caduta. Il rischio di condurre alla distruzione buona parte delle forze armate poste a difesa della Sicilia è grande. Chiede quindi consiglio a Re Filippo. Nel frattempo però, a Messina si sono radunati 600 fanti, inviati dal Papa e comandati da Pompeo Colonna, 200 mercenari spagnoli e altri cavalieri e avventurieri per un totale di 1200 soldati. Caricati su 4 galee, i soldati sostano al Gozo e, la notte del 12 Luglio, arrivano nei pressi del Grande Porto, pronti a forzare il blocco turco. La Valette però segnala da S.Angelo che l’attracco non è sicuro e che il rischio di essere affondate dal fuoco turco è troppo grande. Le galee quindi riprendono la rotta per la Sicilia.
Pur essendo in numero sempre maggiore e con enormi quantità di artiglieria a disposizione, i Turchi non se la passano troppo bene. L’arrivo di Hassan crea infatti un altro triumvirato che raramente si trova d’accordo. Il governatore di Algeri vuole concentrare gli sforzi sulla Senglea (che vuole affidati al suo comando), mentre Mustafà preferirebbe un assalto generale a entrambe le fortificazioni. Inoltre, i pozzi fatti avvelenare dal Gran Maestro provocano una moria di soldati. Mustafà e i suoi, nonostante la costruzione notturna, si sono accorti della palizzata davanti alle sponde della Senglea e vogliono distruggerla prima dell’assalto generale. Alcuni soldati turchi in grado di nuotare sono inviati a smantellarla, ma dopo pochi minuti si gettano in acqua anche i maltesi, che nel nuoto sono molto più abili. Lo scontro acquatico si risolve infatti a favore dei maltesi, che non subiscono perdite, mentre i turchi lasciano sul fondo del mare uomini e strumenti. Alla fine comunque, prevale il piano di Hassan, che porta i suoi uomini e migliaia di guastatori alle porte della Senglea. I difensori non perdono tempo e, nell’attesa dell’assalto, costruiscono un ponte di barche (idea del Cav. Ottone Bosio) per favorire le comunicazioni fa la Senglea e Borgo e colpiscono con diverse sortite notturne.
fine IV parte – continua
Gabriele Campagnano .
articolo pubblicato originariamente su http://zweilawyer.com
Diplomato al Liceo Classico Francesco Vivona di Roma e laureato in Giurisprudenza (indirizzo storico comparatistico), ha esercitato la professione di legale d’azienda prima di dedicarsi alla comunicazione d’impresa e istituzionale. Ha conseguito il Master Universitario di 2° livello – CMU2 in Scienze Giuridiche presso la LUISS. La sua passione principale è sempre stata la storia. Ha letto Storia di Roma Antica, di M. Grant, a soli 7 anni, e da allora non si è più fermato. In tutto, la sua biblioteca storica digitale conta più di 4.000 titoli. È il fondatore e presidente di Zhistorica e Necrosword. Ha scritto più di 250 articoli e tre libri: Storia della Presa di Famagosta (2014), I Padroni dell’Acciaio (2017) e Zodd, Alba di Sangue (2018)
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