.
livello elementare
.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Malta, Ottomani, assedio
,
Nei precedenti articoli abbiamo trattato la prima fase dell’Assedio (fino alla Caduta di S. Elmo) e la seconda fase (l’inizio dell’Assalto alla Senglea). Prima di leggere questo articolo, vi consiglio di leggere anche i precedenti (link in calce).
Avevamo lasciato l’ingegnere maltese Evangelista Menga e il suo allievo Girolamo Cassar alle prese con lo studio di un piano atto a distruggere il ponte di assi gettato dai Turchi sul fossato. Girolamo Cassar decide di rischiare la vita per effettuare le accurate misurazioni necessarie al progetto. Fa costruire una cassa di legno, un pò più lunga di lui ed imbottita con diversi materiali per attutire un eventuale colpo di artiglieria. Entra nella cassa disteso a pancia in giù e, piano piano, si fa spingere fuori dalle mura.
Dobbiamo immaginarla come una specie di bara con la parte anteriore, quella che sbuca oltre il parapetto, ben corazzata. Cassar rimane quasi sospeso, grazie alle due funi che permettono alla cassa di “uscire” dalle mura, sul ponte dei Turchi, ed è quindi in grado di prendere le misure necessarie con il filo a piombo (calato da un’apertura sul fondo della “bara”). Con tutti i dati a disposizione, Menga e Cassar ricavano una nuova troniera (un’apertura per l’artiglieria) all’interno di una casamatta, che guardi esattamente al centro del ponte. Il cannone viene posizionato e fa fuoco a ripetizione, mandando in frantumi parte del ponte. Vista la grande quantità di schegge e detriti prodotti, i maltesi completano l’opera incendiandolo con pignatte infuocate. Il ponte brucia per tutta la notte del 17 Luglio. I Turchi provano a rimetterlo in sesto durante la mattinata, ma non c’è più nulla da fare.
Nel frattempo, a quasi tre mesi dall’arrivo a Malta, il campo degli assedianti continua a essere fiaccato dalle malattie e dalla mancanza d’acqua. Si sparge inoltre la voce che il Gran Soccorso stia arrivando; Mustafà (anche per tenere buoni i suoi) manda Hassan di Algeri a pattugliare le acque intorno all’isola, mentre Uccialì (corsaro rinnegato italiano, nato Giovanni Dionigi Galeni), governatore di Tripoli, è costretto a ritornare ai suoi possedimenti a causa di una rivolta araba. Le defezioni non si fermano qui, visto che anche Pialì Pascià, infuriato per essere bloccato a Malta da mesi con tutta la flotta, decide di riprendere il largo con operazioni di pattugliamento. Giovane e favorito di Solimano, Pialì Pascià è a malapena tollerato dal vecchio Mustafà, che, dal canto suo, ha inanellato una serie di sconfitte inaspettate. Proprio per questo, Mustafà riesce a convincere Pialì a rientrare in Malta e guidare egli stesso il prossimo assalto, diretto al Borgo. Egli riesce a convincere l’Ammiraglio (più volte definito “giovane” nonostante avesse 50 anni) dicendogli che a vittoria è certa, ma in realtà vuole qualcuno con cui condividere un eventuale fallimento. Altra spina nel fianco è la cavalleria della Notabile (la vecchia capitale di Malta, una roccaforte al centro dell’isola), che per tutto l’assedio ha continuato le sue scorribande, intercettando ogni drappello turco che prova a staccarsi dal grosso dell’esercito.
Le disavventure dell’esercito turco sono boccate d’ossigeno per il Gran Maestro, che reputa imminente anche l’arrivo del Grande Soccorso (lo aspetta per il 25 Luglio). Purtroppo per i Cavalieri però, i Turchi cominciano i preparativi per il nuovo assalto. A preoccupare maggiormente i difensori sono le mine che i Turchi iniziano a scavare sotto i bastioni. Protetti infatti dal tiro di ottimi cecchini, che rendono quasi impossibile affacciarsi ai parapetti senza il rischio di una palla in fronte, i manovali ottomani non hanno problemi ad arrivare fin sotto le mura.
Il 22 Luglio, le artiglierie di Mustafà e Pialì cantano all’unisono sul Borgo. Sessanta cannoni e altri pezzi di piccolo calibro. I Turchi bersagliano soprattutto le abitazioni, volendosi vendicare sui maltesi, rei di non aver tradito di Cavalieri. Il Gran Maestro, a rischio della vita, continua a percorrere le vie del Borgo senza mostrare preoccupazione, in armatura completa e con picca e scudo. Vacilla solo il 25 Luglio, quando capisce che del Gran Soccorso non c’è traccia. Raduna quindi tutta la popolazione nella piazza del Borgo e tiene l’ennesimo discorso, in cui sostiene che ormai Malta deve contare solo sulle proprie forze e sperare nell’aiuto divino. Si dice pronto a morire per primo e giura di non abbandonare mai il suo popolo. Alle parole, La Valette fa seguire i fatti. Abbandona infatti la sua residenza nell’Albergo d’Italia e si trasferisce nella bottega di un mercante nella piazza del Borgo. L’effetto psicologico di questa sua azione sulla popolazione è enorme: il Gran Maestro è lì con loro, sotto il tiro dei cannoni turchi. Forse non tutto è perduto.
Il cannoneggiamento delle abitazioni civili lascia anche presumere che Mustafà punti molto sulla guerra di mina. Tuttavia, le controgallerie dei Cavalieri riescono spesso a intercettare e vanificare il lavoro dei Turchi. Ad ogni modo, Mustafà non abbandona neanche l’idea di ottenere la resa dei Cavalieri. A questo fine sfrutta Orlando Magri e Giorgio Malvasia, due messaggeri del Viceré di Sicilia, catturati al largo di Malta. Orlando Magri riferisce a Mustafà che l’armata cattolica conta già 210 vascelli, ma quest’ultimo lo costringe a dire tutt’altro al Gran Maestro. Lo porta infatti davanti alle mura, dove Magri urla al Balì Felizes che il Viceré ha solo 50 navi malconce e che quindi è meglio arrendersi.
In realtà il Viceré, su ordine di Filippo II, sta effettivamente preparando un contingente di 12.000 uomini, e invia un nuovo messo per avvertire il Cav. Mesquita, che continua a mantenere il controllo delle comunicazioni fra l’isolotto del Gozo e la Notabile. Il messaggio però contiene anche una data, fine Agosto, per l’arrivo del Gran Soccorso. Ancora un mese.
Poco dopo, Mesquita dà al Gran Maestro un notizia ben peggiore: i Turchi tenteranno un altro assalto generale il 2 Agosto. Un’ora dopo mezzogiorno, tutte le artiglierie turche tornano a tuonare. Si tratta del cannoneggiamento più devastante dell’intero Assedio. S.Angelo è bersagliato da un fuoco incrociato proveniente da Gallows Point, dal Salvatore, dal Monte Sciberras e addirittura da S.Elmo, dove i Turchi sono riusciti a piazzare, fra i detriti, altra artiglieria. Verso la Senglea invece, Mustafà è talmente convinto di uscire vittorioso da ordinare ai cannonieri di sparare alto sopra le mura o senza palla. Fare frastuono, insomma, senza rovinare le fortificazioni, che immagina di poter utilizzare a proprio favore negli anni successivi.
Ma c’è poco da festeggiare. Un soldato spagnolo ha infatti disertato, unendosi ai Turchi, e ha reso nota la tremenda situazione all’interno delle fortificazioni: fra Cavalieri e mercenari, sono rimaste solo 500 persone in grado di combattere. E le munizioni scarseggiano. La Valette decide di lasciare solo pochi difensori sul lato marino delle due penisole (dove i Turchi effettuano finte manovre di attacco da giorni) e di concentrarsi sulla difesa nell’entroterra. Per avere a disposizione più armi, fa demolire alcune case e utilizzare i detriti come proiettili da tirare sugli assedianti. La mattina del 7 Agosto, parte un nuovo cannoneggiamento generale della Senglea. Gli imam intonano canti, promettendo 72 vergini ai martiri, e Mustafà è ben lieto di mandare all’assalto buona parte dei suoi. È un assalto generalizzato, contro tutte le poste della Senglea; i difensori riescono a malapena a coprire tutti i bastioni. I Turchi lanciano oltre i parapetti un gran numero di fuochi artificiali e ordigni incendiari, sperando di costringere i Cavalieri a ritirarsi. In realtà, sia i Cavalieri che i Maltesi sono molto abili nel maneggiare gli ordigni e rispedirli al mittente prima dell’esplosione. Sugli assedianti precipitano massi e ogni tipo di materiale infiammabile a disposizione dei Cavalieri. Il combattimento diviene molto intenso sulla posta difesa da Robles, ma l’assalto più duro e prolungato impegna la posta di Burmola.
Dopo un’ora, entra in azione Pialì Pascià, che bombarda il Borgo mentre i suoi attaccano la posta di Castiglia. La Valette ha però previsto un attacco in quel punto e l’ha dotata del miglior rifornimento possibile di uomini e munizioni. Colpita duro dal tiro laterale proveniente dalle batterie posizionate sul Salvatore, la posta barcolla, ma regge. Non ci sono però defezioni o fughe: Maltesi e Cavalieri rimangono alle loro postazioni anche quando vedono che i loro vicini sono straziati o spazzati via da una palla di ferro. Candelissa, il rinnegato che, poche settimane prima, aveva tentato il disastroso sbarco sullo sperone della Senglea (dove avevano perso la vita 800 Giannizzeri), vuole rifarsi agli occhi di Pialì. Getta la scala contro le mura e guida in prima persona il nuovo assalto. Ad attenderlo dietro il parapetto c’è però un archibugio cristiano, che lo centra in fronte; il suo cadavere precipita nel fossato. I Musulmani cercano di entrare in ogni breccia scavata dall’artiglieria, ma sono respinti ogni volta e subiscono enormi perdite nel tentativo di avere la meglio sulle guarnigioni della Posta d’Alemagna e d’Inghilterra. A quattro ore dall’inizio dell’assalto, assediati e assedianti sono allo stremo. La Valette è convinto che, a breve, i nemici suoneranno la ritirata, ma si sbaglia. Mustafà e Pialì giungono insieme sotto le poste e ordinano ai loro di continuare. I Turchi hanno mostrato un grande coraggio nel continuare le scalate nonostante abbiano assistito al massacro di migliaia di commilitoni, ma ai due generali non basta. Il Cav. Robles, che da giorni non si toglie l’armatura completa, osserva con rassegnazione i preparativi dei Turchi. Si gira verso i suoi, forse un centinaio di uomini, e si toglie il crocifisso. Lo alza in aria e gira per le poste esortando Cavalieri e Maltesi a ricevere la palma del martirio. Allora anche i vecchi e i bambini si gettano sulle mura, e in generale tutti i Maltesi sono percorsi da un furore innaturale. L’inerzia psicologica vira in pochi minuti, e ora i Turchi si ritrovano Maltesi armati fino ai denti che li insultano nella loro lingua e li massacrano senza pietà.
La Valette, settantunenne, si presenta sulla breccia in armatura completa e guida il contrattacco. Tutti i soldati – mercenari, maltesi e Cavalieri – lo guardano come un’apparizione divina. A risolvere la battaglia è anche l’intuizione del Cav. De Lingny, che piomba con la cavalleria sul campo Turco della Marsa, pieno di feriti, e massacra sia loro che il corpo di guardia. Le voci di un attacco al campo raggiungono gli assedianti, che cercano di tornare indietro sotto le cannonate e gli scherni provenienti dalle mura. Gli ottomani si ammassano gli uni sugli altri e le chiacchiere circolano senza freni; a un certo punto, lo stesso Mustafà si convince che sia arrivato il Gran Soccorso! Degli aiuti siciliani non c’è però traccia, e l’8 Agosto le postazioni di artiglieria ottomane ritornano all’opera. La Valette è addirittura costretto a non far entrare in porto due galee dell’Ordine che sono in attesa del momento propizio per forzare il blocco. Da S.Angelo segnala loro di tornare in Sicilia. L’unico a sbarcare, di soppiatto, è il Capitano Andrea Salazar, incaricato dal Viceré di raccogliere (grazie all’aiuto di Mesquita e della Notabile) tutte le informazioni necessarie all’attacco e alle modalità per portarlo a termine con successo. Il 10 Agosto, Pialì Pascià lascia le operazioni nei dintorni di Borgo e Senglea e si porta con 5.000 uomini in vista della Notabile. Visti gli enormi danni fatti dalla cavalleria della città (che rappresentava anche il centro direzionale dell’intelligenza di Malta), molti pensano che Pialì voglia assediarla. Tuttavia, egli si limita a tagliare le vie di rientro ai cavalieri cristiani, che si frammentano in decine di bande per sfuggire ai blocchi con maggiore facilità. Negli scontri perdono la vita diversi uomini ma, cosa peggiore, ne cadono prigionieri 11. Una volta giunti davanti a Mustafà, questi ultimi sono costretti a svelare parte della corrispondenza fra la Notabile e il Viceré. Lo stesso giorno, i Cavalieri sono protagonisti di un altro evento sfortunato. Il Cav. Robles, che pochi giorni prima era stato fondamentale a respingere gli assalti turchi, decide di affacciarsi a un parapetto per controllare in prima persona l’opera di un gruppo di ingegneri ottomani sotto una posta della Senglea. Fra i Giannizzeri ci sono però dei cecchini davvero straordinari, e uno di loro gli piazza una palla in mezzo alla fronte.
Gabriele Campagnano
Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, pur rispettando la netiquette, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo
PARTE I PARTE II PARTE III PARTE IV PARTE V PARTE VI PARTE VII PARTE VIII
- autore
- ultimi articoli
Diplomato al Liceo Classico Francesco Vivona di Roma e laureato in Giurisprudenza (indirizzo storico comparatistico), ha esercitato la professione di legale d’azienda prima di dedicarsi alla comunicazione d’impresa e istituzionale. Ha conseguito il Master Universitario di 2° livello – CMU2 in Scienze Giuridiche presso la LUISS. La sua passione principale è sempre stata la storia. Ha letto Storia di Roma Antica, di M. Grant, a soli 7 anni, e da allora non si è più fermato. In tutto, la sua biblioteca storica digitale conta più di 4.000 titoli. È il fondatore e presidente di Zhistorica e Necrosword. Ha scritto più di 250 articoli e tre libri: Storia della Presa di Famagosta (2014), I Padroni dell’Acciaio (2017) e Zodd, Alba di Sangue (2018)
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.