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livello elementare.
ARGOMENTO: MITI E LEGGENDE
PERIODO: II SECOLO A.C. – VIII SECOLO D.C.
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: Nan Madol, Mu, Lemuria, Oceano Pacifico
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Esistono leggende, basate su racconti mitici, che vengono tramandate alle nuove generazioni … a volte alcune di esse hanno un fondo di verità e portano ad incredibili scoperte.
Mappa di Nan Madol – autore Holger Behr Map FM-Nan Madol.PNG – Wikimedia Commons
Oggi raccontiamo la storia di Nan Madol, una straordinaria città marittima costruita tra il II e l’VIII secolo d.C., su una barriera corallina in Micronesia. La cosa che la distingue è che la città si sviluppò su circa 100 isole artificiali, ricavate da enormi blocchi di basalto poggiati sul substrato corallino, collegate fra loro con dei canali che ricordano Venezia. Una grande operazione di ingegneria che fu realizzata circa mille anni fa, trasportando grandi blocchi di basalto con le loro imbarcazioni.
I costruttori impiegarono 250 milioni di tonnellate di basalto trasportandole di fatto in mezzo al nulla. In che modo questi blocchi furono estratti, trasportati e posizionati perfettamente? Anche per gli standard odierni, sarebbe un’impresa ingegneristica non semplice (specialmente considerando che le imbarcazioni erano in pratica delle canoe) ed il ragionamento alla base del suo sviluppo rimane un mistero che gli archeologi non hanno ancora svelato.
Nan Madol una capitale nella Micronesia
La città era la sede cerimoniale e politica della dinastia Saudeleur, che mantenne una popolazione di circa 25.000 individui fino al 1628 circa. Sebbene sono state trovati resti di attività umane già nel II secolo d.C., la costruzione principale, tra l’isola principale di Pohnpei e quella di Temwen, iniziò tra l’VIII ed il IX secolo dopo Cristo. In seguito avvenne la caratteristica architettura megalitica probabilmente tra il 1180 e il 1200 d.C..
Le leggende di Pohnpeian raccontano che i costruttori del sito archeologico erano provenienti da Leluh e Kosrae (un sito anch’esso composto da enormi edifici in pietra) e migrarono a Pohnpei dove usarono le loro abilità ed esperienza per costruire l’imponente complesso di Nan Madol. In realtà, recenti studi di datazione al radiocarbonio hanno rivelato che Nan Madol potrebbe essere addirittura antecedente a Leluh. Il mistero quindi resta.
Secondo la leggenda, Nan Madol fu costruita dai gemelli stregoni Olisihpa e Olosohpa del mitico Katau occidentale, o Kanamwayso. I fratelli arrivarono in una grande canoa alla ricerca di un posto dove costruire un altare in modo che potessero adorare Nahnisohn Sahpw, il dio dell’agricoltura. Dopo diversi tentativi i due fratelli costruirono con successo un altare al largo dell’isola di Temwen, dove eseguirono i loro rituali. Nella leggenda, questi fratelli erano in grado di far levitare le enormi pietre con l’aiuto di un “drago” volante. Quando Olisihpa morì di vecchiaia, Olosohpa divenne il primo saudeleuro (parola che significa signore di Deleur) e sposò una donna del posto, generando dodici generazioni, che produssero altri sedici governanti saudeleur del clan Dipwilap (“Grande”). Sempre secondo la leggenda i fondatori della dinastia governarono gentilmente, cercando solo di imporre le loro divinità, ma i successori incominciarono a fare richieste sempre crescenti ai loro sudditi. Il loro regno terminò quindi con l’invasione di Isokelekel, di origini probabilmente papuasiche che alla testa di 333 uomini, donne e bambini attaccò Pohnpei. Si racconta che la sua partenza fu consacrata con un sacrificio umano, un rituale diffuso nella cultura polinesiana ma non a Pohnpei. Nel suo viaggio si fermò all’isola delle Formiche dove conobbe una donna indigena di nome Likamadau (“Donna che pensa”), che lo convinse a coltivare stretti legami con i Pohnpeiani e ad opporsi solo ai Saudeleur. Di fatto il guerriero sbarcò a Nan Mandol e provocò i pacifici abitanti, prendendo poi il potere.
La storia reale
L’etnografo e oceanografo polacco John Stanislaw Kubary fece la prima descrizione dettagliata di Nan Madol nel 1874. La città era un luogo speciale di residenza per la nobiltà in cui avvenivano attività funerarie presiedute dai sacerdoti. La sua popolazione quasi certamente non superava i mille individui. Sembrerebbe che Nan Madol servì, in parte, per organizzare e controllare potenziali rivali, richiedendo loro di vivere in città piuttosto che nei loro quartieri d’origine, dove le loro attività erano difficili da monitorare.
Madol Powe, il settore mortuario, contiene 58 isolotti nella zona nord-orientale di Nan Madol. La maggior parte di essi erano occupati dalle abitazioni dei sacerdoti. Alcuni isolotti avevano uno scopo speciale: preparazione del cibo, costruzione di canoe a Dapahu e preparazione dell’olio di cocco a Peinering. Alte mura che circondano le tombe si trovano a Peinkitel, Karian e Lemenkou, ma la più prominente è l’isolotto funerario reale di Nandauwas, dove furono eretti dei muri alti 5,5-7,5 m che circondano un recinto tombale centrale all’interno del cortile principale. Si ritiene che fu costruito per il primo regnante della dinastia Saudeleur.
Su Nan Madol non c’era né acqua fresca né cibo; l’acqua doveva essere raccolta e il cibo coltivato nell’entroterra delle isole. Durante il governo saudeleuro, i Pohnpeiani trasportavano il cibo e l’acqua via mare. Intorno al 1628, quando Isokelekel rovesciò i Saudeleuri. Fu l’inizio dell fine perché si pensa che i nuovi regnanti decisero di abbandonare Nan Madol e tornare nelle proprie isole. Di fatto la città si spopolò e morì.
Vista del complesso dell’isolotto di Nan Madol. Ricostruzione computerizzata degli isolotti e delle caratteristiche principali, comprese alcune strutture delle case. L’isolotto principale di Pahn Kadira (PKI), il complesso residenziale dei capi Sau Deleur, è lungo 115 metri. Immagine sviluppata da mappe archeologiche originali utilizzando il software Microstation di Intergraph Corporation – tratta dall’articolo Nan Madol, Madolenihmw, PohnpeiNan Madol (uoregon.edu)
La ricerca archeologica
Oggi Nan Madol forma un distretto archeologico che copre più di 18 chilometri quadrati (6,9 miglia quadrate) e comprende l’architettura in pietra costruita su una barriera corallina lungo la costa dell’isola di Temwen, diversi altri isolotti artificiali e l’adiacente costa dell’isola principale di Pohnpei. In particolare, il sito racchiude un’area di circa 1,5 per 0,5 chilometri contenente quasi 100 isolotti artificiali, in pratica delle piattaforme artificiali di pietra e corallo, delimitate dai canali di marea. Una Venezia della Micronesia nata per motivi rituali e non certo per convenienza. La datazione al carbonio indica che la costruzione megalitica a Nan Madol iniziò intorno al 1180 d.C. quando furono prelevate grandi pietre di basalto da un affioramento vulcanico sul lato opposto di Pohnpei. Il primo insediamento su Pohnpei fu probabilmente intorno al I secolo d.C., sebbene la datazione al radiocarbonio mostri che l’attività umana iniziò intorno all’80-200 d.C.
Ma perché tanto interesse per questa città perduta?
A di là dell’interesse archeologico e antropologico degli studiosi delle popolazioni micronesiane, Nan Madol è stata interpretata da alcuni come uno dei resti dei leggendari e misteriosi “continenti perduti” del Pacifico. James Churchward, nel suo libro The Lost Continent of Mu Motherland of Man del 1926 sostenne che Nan Madol avrebbe potuto far parte del continente perduto di Mu.
In seguito, nel libro Lost City of Stones (1978), lo scrittore Bill S. Ballinger teorizzò che la città fosse stata costruita addirittura da marinai greci nel III secolo a.C.. Non ultimo David Hatcher Childress, ipotizzò che Nan Madol fosse stata parte del continente perduto di Lemuria. Insomma la fantasia non ha limiti … ma, di fatto, la straordinaria struttura architettonica nasconde ancora il suo segreto e, nel 1985, le sue rovine furono dichiarate monumento storico nazionale.
Andrea Mucedola
in anteprima rovine di Nan Madol – autore CT Snow da Hsinchu, Taiwan Nan Madol 4.jpg – Wikimedia Commons
Fonti
Upon a Stone Altar: a Hiistory of the Island of Pohnpeo to 1890 di David Hanlon University of Hawaii
Nan Madol, Pohnpei di Ayres, William S.. Bollettino SAA. Vol. 10, novembre 1992. Society for American Archaeology.
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