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I giganti del monte delle palme

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: SARDEGNA
parole chiave: Nuraghi

 

Sisinnio Poddi e Battista Meli sono due agricoltori di Cabras, un centro dedito alla pesca e all’agricoltura ai margini della laguna che si affaccia nel golfo di Oristano, nella Sardegna centro occidentale. Mont’ e Prama è un piccolo rilievo nel Sinis a nord ovest della cittadina lagunare, in un’area che si affaccia verso est alla stessa laguna, chiamata stagno di Cabras, e a ovest verso un crinale più alto che a sua volta si butta nel mare di Sardegna. Mont’ e Prama nella lingua sarda significa monte delle palme e deve probabilmente il suo nome alla diffusa presenza della palma nana, una specie endemica, tipica della macchia mediterranea, molto frequente in questo territorio. Nel 1974, Sisinnio e Battista stavano arando a Mont’e Prama quando, sotto il vomere dell’aratro, scorsero un frammento di pietra che appariva scolpito.

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Iniziò così la storia di questi giganti di pietra, i Giganti di Mont’ e Prama. Nelle successive campagne di scavo si recuperarono oltre cinque mila pezzi appartenuti a statue alte circa due metri che, distrutte in antichità, insistevano su una necropoli monumentale che costituisce un unicum, allo stato attuale delle conoscenze archeologiche della cultura nuragica. All’epoca la stampa diede grande risalto alla scoperta. La Nuova Sardegna del 31 marzo 1974 la descriveva come un “eccezionale ritrovamento archeologico della penisola del Sinis.

La Cultura Nuragica è di fatto sconosciuta nelle sue articolazioni più profonde. Prende il nome dalle tipiche costruzioni in pietra che in un numero imprecisato (dalle 7 mila alle 9 mila unità) definiscono le alture e le piane, i declivi e i rilievi della Sardegna. Strutture semplici come i monotorre o complesse come i nuraghi polilobati affascinano il visitatore e inducono infinite domande a cui gli studiosi e le guide turistiche non possono che rispondere con ipotesi. Gli scavi archeologici importanti, il principale di questi a Barumini, non sono stati eseguiti con quel rigore scientifico che avrebbe potuto restituire maggiori informazioni e più attendibili verità. Più che il clamore della scoperta, furono le ripetute razzie dei tombaroli che sostennero la necessità di porre un freno alla dispersione e alla manomissione del luogo. 

Ricostruzione strada Monte Prama

Già 40 anni fa era evidente come la necropoli fosse sicuramente molto più estesa e articolata. In quei dieci giorni di indagini si recuperarono, oltre ai frammenti di statue e di modelli di nuraghe, anche alcuni (sebbene scarsi per la verità) frammenti di ceramica che il successivo studio di Giovanni Ugas collegò al periodo della prima età del ferro (IX-VIII sec. a.C.). Dopo questo primo e limitato intervento, per un paio d’anni ci si dimenticò della collina dei giganti fino a quando il recupero, da parte dell’ispettore onorario Peppetto Pau di Cabras, di una un’altra porzione di frammenti ed in particolare di un busto, sollecitò l’allora Soprintendente Ferruccio Barreca ed il Prof. Giovanni Lilliu dell’Università Cagliaritana ad occuparsi di queste evidenze archeologiche. Dopo un impegno congiunto della Soprintendenza e dell’Università fu affidata la direzione dei lavori al dott. Carlo Tronchetti e alla Prof.ssa Maria Luisa Ferrarese Ceruti. L’incarico si svolse ancora come intervento di urgenza durante tre uggiose settimane di dicembre. In quello scorcio del 1977 i lavori misero in luce una serie di lastre quadrate e allineate (successivamente si interpretarono come copertura dei sepolcri).

testaMontePramaNel successivo 1979 i finanziamenti concessi consentirono di lavorare al sito per poco meno di tre mesi dal luglio all’ottobre. La direzione del cantiere fu nuovamente affidata a Carlo Tronchetti che progettò l’opera di scavo soprattutto per tutelare il sito, conscio che il portare alla luce tutta l’area interessata dalla presenza delle statue e delle sepolture avrebbe esposto l’importante rinvenimento alla predazione dei tombaroli, molto frequenti e accaniti in quegli anni. Lo scavo fu affrontato quindi per piccole porzioni mettendo in luce, poco alla volta, i resti di quella che Tronchetti interpretò come uno spianamento funzionale a creare una strada selciata di terriccio giallastro frammisto a ghiaietto sottile, parallela ad un area, già da tempo adibita a necropoli con tombe semplici a pozzetto verticale conico dove gli inumati furono trovati rannicchiati, in posizione accucciata. Coeva alla costruzione della strada, egli ritenne di individuare l’opera di monumentalizzazione della necropoli attraverso l’esecuzione di un taglio della parte rocciosa, presente nella depressione, eseguito in antico per far posto così ad una nuova linea di sepolture di circa trenta unità, più profonde delle precedenti e coperte da quei lastroni quadrati di arenaria. Tronchetti ipotizzò quindi una prima fase di necropoli del sito e una successiva fase in cui la stessa necropoli veniva monumentalizzata posando, sopra le lastre a copertura delle singole sepolture, le statue dei giganti ricavate da una pietra locale (si scoprirà successivamente la cava da cui proveniva il materiale lapideo nelle vicinanze di Mont’e Prama).

Le statue, tutte distrutte in una fase antica, raffigurano diverse tipologie di eroi (arcieri, pugilatori, guerrieri) ed erano accompagnate da modellini di nuraghe semplici e complessi. 
Oltre ai frammenti di statue e dei modelli di nuraghe erano presenti anche diversi Betili, scolpiti da una pietra diversa di quella delle statue. Tronchetti ipotizzò che provenissero da una tomba di Giganti (la classica necropoli di epoca nuragica fino ad allora conosciuta come caratterizzante di questa Cultura). Un frammento di anfora punica rinvenuto sotto un torso di una statua definiva cronologicamente la devastazione dell’area sacra in un epoca vicina al IV secolo a.C.
monti Prama

Certamente passare dal ritrovamento di ben 5.178 frammenti al loro restauro ed alla successiva ricostruzione delle statue non è stato un gioco da ragazzi,  anche in considerazione del fatto che il materiale con cui furono scolpite è una calcarenite molto friabile che l’usura del tempo, i colpi accidentali dell’aratro, le razzie dei tombaroli e mille altri fattori hanno seriamente messo a dura prova. Purtroppo, come spesso capita nel nostro Bel Paese, i fondi necessari per affrontare l’enorme sforzo richiesto tardavano ad arrivare e per lunghi anni delle statue di Mont’e Prama non se ne parlò più, almeno nei canali di comunicazione più “frequentati” dall’opinione pubblica. Il mondo scientifico invero, non trascurò mai l’importanza di questi rinvenimenti ma la cronica e lacunosa politica sulla valorizzazione dei Beni Culturali, fatta da interventi urgenti, nessuna o scarsa programmazione, e pubblicazioni scientifiche preliminari che poi di solito, sono seguite dal nulla, condusse questa vicenda all’oblio dei più.

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Nel 2007, ovvero quarantadue anni dopo l’intervento di Bedini, l’archeologo Roberto Nardi, diplomato in restauro di materiali e strutture archeologiche presso ISCR, Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (nonché  direttore del Centro di Conservazione Archeologica di Roma – C.C.A., una società che si occupa di restauri da oltre 30 anni), iniziò ad occuparsi dei frammenti custoditi al Centro di Restauro Li Punti della Soprintendenza di Sassari. Con la direzione scientifica di Antonietta Boninu della Soprintendenza di Sassari e Nuoro le statue incominciarono a prendere forma. Dai piani in legno su cui poggiavano le migliaia di frammenti si incominciò a ricostruire le forme di 38 statue: tredici modelli di nuraghe (tra monotorre e polilobati), sedici pugili, quattro guerrieri, cinque arcieri. Durante tutto l’intervento del C.C.A. dal 2007 al 2011 il laboratorio di Li Punti a Sassari si rese disponibile alle visite guidate aperte al pubblico, riportando di nuovo alla ribalta l’importanza di questo ritrovamento archeologico e il valore storico custodito da queste statue. Al termine del restauro una magnifica mostra, allestita nello stesso centro di restauro, raccontò alla gente dell’esistenza dei Giganti, con i loro occhi concentrici, la loro possanza, l’imponenza delle forme, del messaggio che molti secoli prima di Cristo queste statue avevano trasmesso a tutti coloro che fossero transitati al cospetto di quel Heroon.

Ma come spesso accade in archeologia, all’aumentare delle fonti di cui possiamo disporre e da cui ricaviamo informazioni, corrisponde l’incremento esponenziale delle domande che si affacciano e diventano pressanti durante lo studio di queste fonti, di questi simboli. Statue di queste fattezze, nel momento del passaggio fra il secondo e il primo millennio a. C. in questo Mediterraneo occidentale, dimostrano una potenza culturale e una organizzazione sociale fuori dal comune e degna di approfondimenti che paiono non più rinviabili. Siamo di fronte ad un unicum archeologico che tende a ridisegnare i rapporti fra le popolazioni autoctone e i navigatori levantini.

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All’indomani della mostra l’opinione tutti volevano conoscere cosa rappresentano i Giganti di Mont’e Prama, da quale società furono concepiti e realizzati e a chi si rivolgeva il loro messaggio. Solo altri scavi, altre indagini e studi avrebbero potuto dare risposte a queste domande. La ricerca continua,
 

Ivan Lucherini

 

    

 

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