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Le dotazioni delle apparecchiature del tiro durante la seconda guerra mondiale

tempo di lettura: 5 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: TIRO NAVALE
parole chiave: illuminanti, proiettori

Tra le due guerre si diffusero sistemi di calcolo meccanico/elettromeccanico dei dati nonché sistemi di controllo centralizzato del tiro ma questi non erano mirati a risolvere il problema del tiro notturno. Gravi problemi derivavano anche dal settore degli esplosivi. Come scrive Poddighe, “le difficoltà in questo settore erano negli standard produttivi, nel peso e l’equilibratura dei proiettili, ma le maggiori – e quasi eterne – difficoltà che si protrassero sino alla 2^ GM, riguardarono esplosivi e soprattutto propellenti, che non furono mai all’altezza e trascurarono evoluzioni fondamentali, come le cariche senza fumo e quelle a vampa ridotta per il tiro notturno (d’altra parte senza che il combattimento notturno fosse mai preso in considerazione da tattici e strateghi nostrani).L’adozione di cariche a vampa ridotta non serviva solo per facilitare la visione notturna dei bersagli; esse erano note e diffuse sin dal 1919 sulla base dell’esperienza di guerra e dell’acquisizione di proietti tedeschi di quel tipo. In Italia erano disponibili soltanto fino al calibro 120 mm ed erano utilizzate dalle unità leggere e siluranti per l’armamento principale e dalle unità maggiori in funzione anti-silurante.
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L’ammiraglio Lorenzo Gasparri, nato a Napoli nel 1894 entrò nel 1911 nella Regia Accademia Navale come Allievo Ufficiale del Corpo di Stato Maggiore nel Corso Normale Vecchio Ordinamento (3 Anni). Nel 2º Anno risultò essere 2° nella sua Classe; il 27 agosto 1914 uscì dall’Accademia Navale di Livorno con il grado di Guardiamarina. Si laureò successivamente in Ingegneria al Politecnico di Milano. Durante la Prima guerra mondiale fu Direttore di tiro a bordo dell’Incrociatore corazzato San Giorgio, partecipando alla Battaglia di Durazzo e meritando una Medaglia d’Argento al Valor Militare nell’ottobre 1918. Nel 1927 si brevettò Direttore Superiore di Tiro, destinato tra il 1927 ed il 1928 come Comandante del Distaccamento italiano presso la Concessione di Tientsin in Cina. Nel 1930 fu nominato Membro della Commissione Permanente di Artiglieria Navale. Nel 1934 fu Comandante della Corazzata Giulio Cesare, in armamento ridotto, prima di frequentare l’Istituto di Guerra Marittima. Promosso Capitano di vascello, passò al Comando della 1ª Flottiglia Cacciatorpediniere e dal 1º luglio 1938 all’8 gennaio 1940 ebbe il comando della Corazzata Conte di Cavour. In seguito divenne Capo della II Sezione della Divisione “Artiglierie e Servizio Tiro” della Direzione Generale “Armi e Armamenti Navali” del Ministero della Marina. Nel luglio 1941 fu promosso Contrammiraglio e, dal 16 settembre 1942 divenne Comandante del Gruppo Cacciatorpediniere di Squadra, distinguendosi nella scorta ai convogli diretti in Tunisia e in Libia. Il 3 gennaio 1943 fu promosso Ammiraglio di divisione, ma il 28 marzo successivo morì a Napoli investito dall’esplosione della Motonave Caterina Costa, mentre tentava di allontanare delle bettoline cariche di munizioni dalla nave in fiamme. Fu decorato con Medaglia d’Oro al Valor Militare, alla memoria; successivamente alla sua scomparsa fu insignito di un’altra Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Gli studi nazionali furono tardivi e le applicazioni ancora più, con notizie fuorvianti, come scrisse l’ammiraglio Lorenzo Gasparri nel 1941. Nella Marina tedesca si impiegava la carica a vampa ridotta soltanto fino al calibro da 105 mm e sembra che gli italiani le sperimentarono con i cannoni da 203 mm dell’incrociatore Fiume solo in una esercitazione del 25 marzo 1941. Il tiro battente veniva effettuato in maniera concomitante col tiro illuminante al fine di permettere la “retro illuminazione” del bersaglio. In pratica i bengala avrebbero dovuto accendersi sull’esatto rilevamento del bersaglio ma a distanza maggiore rispetto ad esso al fine di far bene stagliare il profilo del bersaglio rispetto alle tenebre circostanti.

Nel 1929 furono introdotti gli obici illuminanti da 120/15 che furono imbarcati su tutti I cacciatorpediniere dalla classe Freccia in poi; un’arma che risultò inadeguata con una portata di 6.400 metri essendo in grado di illuminare solo bersagli a non più di 4.000/5.000 metri; successivamente furono sviluppati altresì proiettili illuminanti di calibro 120, 100, 90 millimetri da impiegare con le artiglierie di calibro minore. Va precisato che Il tiro illuminante era una pratica accessoria, per la sporadicità dell’impiego e la breve durata dell’illuminazione, ed era impossibile usarlo per l’avvistamento ed il controllo della zona circostante le formazioni navali o i convogli. In sintesi, il tiro illuminante era un mezzo per agevolare il combattimento una volta scoperto il nemico, non certo un mezzo di scoperta. Le unità della Regia Marina erano dotate di proiettori per il combattimento notturno ravvicinato, però non tutti erano asserviti ai sistemi di puntamento delle armi né tutti erano dotati di persiane di oscuramento che permettevano di tenere il proiettore acceso e oscurato fino al momento dell’impiego. Inoltre, essendo privi di sistemi di stabilizzazione e di asservimento, il loro puntamento risultava difficoltoso in caso di mare agitato per cui se ne fece un uso molto conservativo degli stessi.

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Gli Inglesi invece avevano proiettori con le portelle di chiusura a persiana e stabilizzati; inoltre disponevano del sistema di controllo Evershed (Evershed Bearing Indicator) che permetteva di ottenere un puntamento accurato anche in modalità oscurata. Ciò facilitò di mettere a punto tattiche per l’utilizzo coordinato dei proiettori all’interno della formazione navale in modo che solo alcune unità li accendevano, svelando inevitabilmente la propria posizione al nemico, permettendo però di illuminare il bersaglio a tutte le altre navi.

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In campo italiano, le corazzate ammodernate e tutti gli incrociatori e le nuove navi da battaglia ricevettero APG (Apparati di Punteria Generale) per la direzione del tiro, ma il loro impiego non comprendeva tutte le armi impiegabili per il tiro ed il collegamento e la sincronizzazione di questi apparati era di difficile messa a punto, risultando farraginoso e non dando mai i risultati attesi.

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Dettaglio della sezione “brandeggio” dell’Apparecchio di Punteria Generale (A.P.G.) dell’incrociatore Raimondo Montecuccoli conservato presso il Museo Tecnico Navale di La Spezia APG Montecuccoli brandeggio.jpg – Wikimedia Commons

Per il puntamento notturno dei siluri le unità sottili furono dotate di traguardi ottici Panerai, posti sulle alette di plancia per il calcolo dell’angolo di mira dei siluri nel lancio notturno. Nel prossimo ed ultimo articolo parlerò degli aspetti tattici.
Gianluca Bertozzi

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