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Lo scafandro, i primi passi – parte I

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: IV SECOLO a.C. – XVII SECOLO d.C.
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: primi scafandri
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una ricostruzione della apparecchiatura ideata da Leonardo da Vinci per portare l’uomo a immergersi per tempi più lunghi di quelli concessi dall’apnea – Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, Milano

Inutile dire che la curiosità di guardare sotto la superficie dell’acqua sia nata con l’Uomo. Quindi non ci sono date precise ed è storia conclamata quella di intere popolazioni che nell’antichità traevano sostentamento dalla pesca di molluschi, delle perle e del corallo. E allora arriviamo, si fa per dire, più vicini ai giorni nostri, all’inizio della civiltà ellenistica e cioè nel IV secolo a.C. E’ la storia della discesa sul fondo del mare di Alessandro Magno, una storia che intreccia cronaca con leggenda ma che, in fin dei conti, poco importa; certe volte quello che è davvero importante è il parto dell’idea e non la realizzazione della stessa, questa avverrà ed è solo questione di tempo.

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Alessandro Magno fu aiutato da Aristotele e Nearco (valoroso comandante della flotta macedone) nella progettazione di una sorta di campana subacquea che avrebbe permesso al grande condottiero, insieme proprio a Nearco, di esplorare i fondali per vedere le temibili creature che vi abitavano. Si narra che questa macchina venne costruita da Diognetus e perfezionata poi dai carpentieri di Sidone.

A questo punto ci imbattiamo per la prima volta in una parola che ci seguirà nel corso della nostra storia. Infatti, Eraclide, filosofo e matematico greco, battezza questa “macchina per immersione” con le parole scaphé andros e cioè uomo barca, nome da cui deriverà poi la parola scafandro quale sinonimo di costume di galleggiamento per nuotare prima e apparecchiatura da immersione dei palombari dopo. Si narra che alcuni soldati di Alessandro Magno, oggi li chiameremmo degli “incursori”, danneggiarono le difese di Tyro respirando sott’acqua con una rudimentale strumento forse un rudimentale boccaglio, o forse un sacco di pelle di capra con un tubo per respirare.

IMMAGINE 1

Immagine 1

Da quel momento in avanti, al di là delle frequentazioni dei fondali attraverso la pratica dell’apnea, nulla accade in quel processo di elaborazione delle idee che, appunto, portarono alla nascita di un embrione. Uno di questi embrioni di apparecchiature di immersione individuale lo ritroviamo tra gli schizzi e gli appunti del Codice Atlantico, una raccolta degli scritti di Leonardo da Vinci, stilati tra il 1478 e il 1519.

Una curiosità
Il Codice Atlantico venne ribattezzato così perché Leonardo da Vinci, per i suoi appunti, aveva usato dei fogli di 64,5 per 43,5 centimetri, molto simili a quelli usati per gli atlanti geografici. Tra le pagine di questo Codice troviamo i primi studi di Leonardo su apparecchiature in grado di portare l’Uomo a immergersi per tempi più lunghi di quelli concessi dall’apnea.

L’embrione è proprio in questa idea di volersi affrancare dai limiti delle capacità polmonari umane. Gli schizzi e gli appunti non sono di facile traduzione ma al di là delle interpretazioni  è evidente che Leonardo da Vinci comincia un percorso di “progettazione complessa” delle attrezzature, disegnando lunghi snorkel irrobustiti da anelli di ferro per evitare che possano chiudersi, otri di aria da collegare a elmi “gran facciali” e posizionati all’altezza del petto in modo da costituire una riserva respiratoria. In un paio di schizzi si possono vedere anche dei guanti palmati e delle particolari pinne, almeno questo sembrano essere le propaggini del nuotatore. 

Insomma, Leonardo da Vinci dedica molto del suo tempo a sviluppare l’idea di uno scafandro che possa permettere la permanenza dell’Uomo sott’acqua. L’immagine 1, presente al foglio 377 del Codice Atlantico, rappresenterebbe un Uomo con una specie di imbuto in cuoio allacciato davanti alla bocca che prosegue con una cannula flessibile formata da vari segmenti rappresentanti (probabilmente) anelli metallici introdotti per evitare la torsione e la chiusura della stessa (lo stesso concetto della manichetta da palombaro che circa trecento anni dopo sarà costruita con all’interno una armatura elicoidale metallica per evitare lo schiacciamento). La cannula terminava in superficie con un galleggiante. 

IMMAGINE 2

Immagine 2

L’immagine 2, Foglio 346 del Codice Atlantico, mostra  la testa di nuotatore subacqueo che ha gli occhi protetti da una maschera legata al capo e il naso e la bocca introdotti in un sacco che l’uomo avrebbe portato legato al petto e pieno di aria. Evidentemente se usato, si sarebbe manifestato in breve tempo il problema dell’aria viziata, problema che Leonardo ben conosceva affermando “Dove l’aria non è proporzionata a ricevere la fiamma, nessuna fiamma vi può vivere, né nessuno animale terrestre o aereo… Dove non vive la fiamma, non vive animal che aliti” 

IMMAGINE 3

Immagine 3

Immagine 3: Foglio 333 del Codice Atlantico: abbiamo uno schizzo che chiarisce meglio il concetto leonardesco di apparecchiatura di respirazione subacquea probabilmente concepita per equipaggiare particolari sabotatori per attacchi ai navigli.

Il Codice Atlantico è la più vasta raccolta al mondo di disegni e scritti autografi di Leonardo da Vinci ed è conservato, dal 1637, presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, una delle prime biblioteche al mondo aperte al pubblico. Esso è composto da 1119 fogli che abbracciano la vita intellettuale di Leonardo per un periodo di oltre quarant’anni – dal 1478 al 1519. Gli schizzi affrontano vari temi: da disegni preparatori per le sue opere a ricerche di scienze, fino ad avveniristici progetti di pompe idrauliche, strumenti meccanici e macchine da guerra. La dotazione del palombaro ne e’ un esempio straordinario.

Dopo Leonardo da Vinci ci sarà un fiorire di questi progetti, si cimenteranno in tanti: matematici, naturalisti, inventori.Tra questi non possiamo non ricordare lo scafandro del matematico Niccolò Fontana detto il Tartaglia a causa di una evidente balbuzie derivatagli da una grave ferita al palato all’età di 13 anni durante la conquista di Brescia da parte dei francesi.

IMMAGINE 4

Immagine 4

Progettato negli anni immediatamente successivi alla compilazione del Codice Atlantico appare nel suo “Regola generale di solevare ogni fondata Nave e navilii con Ragione”.  

E’ interessante leggere una delle raccomandazioni che il Tartaglia scrive per la costruzione del suo apparecchio da immersione: “… voglio che si faccia far a Murano una balla vacua d’un vetro cristallino o chiaro, che il diametro di quella sia almen due buoni piedi di misura, con una bocca tonda, che il diametro di detta bocca sia almen un piede o alquanto più, cioè tanto che uno  vi possa comodamente e facilmente ficcare dentro il capo, o tirarlo anchora fora quando li piacerà…

IMMAGINE 5

Immagine 5

Ne viene fuori una specie di “basket” da immersione molto simile a quello usato dai palombari, dove un uomo in piedi può scendere sotto l’acqua con la testa infilata in una boccia di vetro. Il Tartaglia ne farà una versione anche più grande, dove la boccia sarà in grado di contenere l’uomo per intero. Nelle immagini 4 e 5 sono rappresentate le due apparecchiature per immersione di Niccolò Tartaglia, teniamo conto che siamo nella prima metà del 1500. Con queste attrezzature il Tartaglia teorizzava la possibilità di recuperare tesori dalle navi affondate.

In ultimo diamo un’occhiata a un altro famoso scafandro, quello del matematico, astronomo e fisiologo Giovanni Alfonso Borrelli che nel suo “De Motu Animalium” ci mostra un uomo in grado di respirare e variare il suo assetto per mezzo di un marchingegno a cremagliera.  La depurazione dell’aria avviene per condensazione della stessa.

IMMAGINE 6

lo scafandro di Giovanni Alfonso Borrelli

Nell’immagine sopra vediamo la rappresentazione dello scafandro di Giovanni Alfonso Borrelli. Questo “prototipo di palombaro” indossa un “sacco-elmo” con oblò anteriore provvisto di un sistema di circolazione del flusso respiratorio tale per cui l’aria, passando attraverso una sacchetta (indicata dalla K) avrebbe dovuto depurarsi dei residui tossici dovuti alla respirazione. Nella mano destra stringe un serbatoio a volume variabile che avrebbe dovuto servire da moderno GAV. Ai piedi quelle che sembrano essere delle pinne o meglio delle calzature ungulate per meglio camminare sul fondale.

Probabilmente nessuno di questi apparecchi fu mai costruito, anche se quello del Tartaglia poteva in realtà funzionare per breve tempo ed a poca profondità, ma come si dice il solco era stato tracciato e da qui a poco i semi avrebbero germogliato qualcosa di realmente utilizzabile. 

fine prima parte – continua

Fabio Vitale


immagini e disegni di corredo dall’autore

 

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