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livello elementare
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ARGOMENTO: ARCHEOLOGIA DELLE ACQUE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Archeologia, relitto
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originariamente pubblicato su www.sottacqua.info
Risale a oltre 17 anni fa la prima pionieristica indagine archeologica subacquea in alto fondale. Stiamo parlando di un relitto molto profondo, vedremo poi quanto, e ce ne da notizia nel numero 1 e 2 de “l’archeologo subacqueo” del 1995 a pagina 10 un articolo a firma di Giuliano Volpe. Nel contributo si descrive un lavoro del DRASM relativo al relitto denominato Arles 4. Si trattò di una prospezione complessa affrontata con la collaborazione dell’IFREMER in cinque giorni intensi, nei quali si indagò sui resti di un naufragio datato al secondo quarto del I° secolo d.C. affondato a circa 40 miglia nautiche dalla foce del Reno, vicino a Lione, nell’omonimo golfo.
L’operazione chiamata Nautilion coinvolse diverse professionalità e competenze poiché si trattò di indagare i resti di una oneraria romana, che giacciono ancora oggi, ad una profondità di 662 metri. Il costo dell’operazione raggiunse la stratosferica cifra di 250.000 franchi francesi per ogni giorno di ricerca, ovvero circa 213.000 euro per l’intera operazione ma propose, in contro canto, una splendida messe di risultati. Dal punto di vista metodologico si trattò di un’operazione chirurgica non distruttiva come invece normalmente sono gli scavi archeologici (e non fanno difetto ovviamente quelli subacquei).
Si effettuò un’accurata indagine fotografica con una resa stereo-fotogrammetrica del giacimento di anfore, preceduta dalla posa in opera di riferimenti metrici opportunamente progettati e realizzati. L’utilizzo di un sommergibile, il Nautile, consentì di svolgere un lavoro metodico e preciso teso al raggiungimento dell’obiettivo finale. Attraverso l’impiego dei suoi bracci meccanici furono posati galleggianti ancorati sul fondo con la funzione di mire altimetriche, squadre graduate e quadrettature campioni provviste di bersaglio. Questi accessori (ricordo ancora, progettati e realizzati dal DRASM stesso) avevano la funzione di dare le necessarie informazioni metriche per la gestione delle opportune correzioni al rilievo fotogrammetrico che si sarebbe poi andato a realizzare.
Successivamente, l’utilizzo di due camere Rollei semi metriche poste all’interno di cassoni opportunamente predisposti, insieme alla camera in dotazione del Nautile, consentiva agli operatori archeologi di rilevare una serie di immagini prima oblique e poi verticali per poi concludere con i rilievi fotogrammetrici veri e propri. Questo lavoro produsse, come detto dianzi, una cospicua serie di informazioni che, pur nell’impossibilità di operare un preciso campo di scavo archeologico, contribuì ad accrescere il patrimonio di conoscenze scientifiche.
Il relitto Arles 4 è quello che rimane di una nave oneraria romana della dinastia Giulio-Claudia, che era partita da un porto della Hispania Baetica, presumibilmente negli anni compresi fra il 25 e il 50 d.C., con un carico di anfore fra le 1.000 e le 2.000 unità. Il carico era completato da vasi, probabilmente usati per il garum, e da lingotti di rame. Il rinvenimento di questi pani di rame lascia supporre anche la presenza, sicuramente sotto il carico di anfore e nelle immediate adiacenze della stiva di pani di piombo che spesso viaggiavano in accoppiata al rame stesso. La prua dell’imbarcazione è segnalata dalla presenza di un ceppo d’ancora in piombo e da un ancora in ferro. Le anfore nella loro attuale giacitura riferiscono di una metodologia di carico conosciuta attraverso l’impilaggio su strati sovrapposti e sono tutte di tipologie note fra le quali le Dressel 7, 8 e 9, contenitori di salse a base di pesce. Nell’asse longitudinale interposto a chiave dei precedenti contenitori anforari descritti, c’è la presenza di alcune Dressel 20, anfore olearie notissime. Completano il carico due diversi modelli di anfore Dressel 28 insieme a alcune Dressel 12 e Haltern 70. Frammenti ceramici posti alle estreme periferie del sito di giacitura, testimoniamo a bordo la presenza di contenitori anforari provenienti dalle Baleari, dove probabilmente la nave fece scalo.
Alcuni frammenti di legno e porzioni dello scafo sono risultati visibili e apparentemente in ottimo stato, agli occhi delle camere fotografiche del Nautile e questo testimonia della probabile buona conservazione del fasciame della nave sotto i resti del carico, a confermare l’ipotesi che la grande profondità, impedendo il proliferare di organismi animali parassiti del legno, abbia preservato di fatto l’integrità dello scafo. L’elaborazione finale delle immagini, la relativa correzione e la loro restituzione grafica ha permesso di offrire agli archeologi uno strumento di studio avanzatissimo pur nella indisponibilità delle nozioni generate dal procedere con uno scavo stratigrafico sui resti dello scafo.
Le immagini sono state trattate quotidianamente da un laboratorio all’uopo predisposto a bordo della motonave Nadir dell’IFREMER in appoggio all’operazione, così come la realizzazione del foto-mosaico dell’intero sito. A terra presso i laboratori della Società di studi e lavori fotogrammetrici SETP si è provveduto, lavorando su coppie di foto a generare una restituzione tridimensionale che descrive egregiamente il sito di giacitura dello scafo affondato. Sebbene Arles 4 riposi ad oltre 662 metri di profondità ha reso meno incognite una serie di informazioni su di esso. Le scelte metodologiche e operative, dettate principalmente dalla notevole profondità del sito, hanno prodotto comunque molte informazioni e questo indica la possibilità di procedere anche in futuro con questi metodi di indagine auspicando che tale esperienza sia solo il primo esempio di molteplici attività di questo genere sui relitti profondi.
NDR: Nel 1993 fu rilevato il relitto Arles 4 a – 662 metri, insieme alla ‘Lune’ (1664) a –85 metri al largo di Tolone. Rilevato sotto tutti gli angoli e valorizzato su tre dimensioni sullo schermo di un computer, gli archeologi furono in grado di valutare la superficie totale del carico delle anfore. Secondo Long il rilievo fu tra i più precisi mai fatti. Vista la profondità del ritrovamento nessun oggetto fu mai recuperato dal relitto.
Ivan Lucherini
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archeologo subacqueo, appassionato ai temi della valorizzazione, della diffusione dei contenuti storici dei nostri Beni Culturali è iscritto all’elenco nazionale del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo come esperto abilitato alla redazione degli elaborati sulla VIARCH (valutazione di impatto archeologico). Si occupa di valorizzazione scrivendo progetti che rendano fruibili e contestualizzati gli apporti di ogni conoscenza materiale, e progettando percorsi multimediali provenienti dallo studio di siti di rilevanza storica. La sua attenzione si concentra soprattutto sugli ambienti costieri e marini, con approfondimenti sui temi del commercio e della navigazione antica. Laureato in Archeologia, curriculum tardo antico e medievale, all’Università di Sassari con una tesi dal titolo: “L’Archeologia subacquea di alto fondale, evoluzione delle metodologie di indagine e nuove prospettive nell’archeologia subacquea oltre i 50 metri di profondità” con una votazione di 110/110 e lode. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Archeologia alla scuola di dottorato in Storia, Letterature e Culture del Mediterraneo dell’Università di Sassari con una tesi dal titolo: “Evoluzione del paesaggio costiero nella Sardegna nord occidentale: Bosa e il suo fiume. Metodi avanzati di indagine.” Inoltre Lucherini è iscritto all’elenco regionale RAS delle guide turistiche e Course Director PSS (Valutatore nei corsi per istruttori subacquei) e OTS (Operatore Tecnico Subacqueo).