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livello elementare
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ARGOMENTO: REPORTAGE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: THAILANDIA
parole chiave: immersioni, Thailandia
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Ao Nang
Eccoci arrivati ad Ao Nang dove ci hanno segnalato un diving singolare, o quanto meno atipico, il Free Land Diving. Il diving è gestito da tre ragazzi italiani che, oltre alla loro attività commerciale, nel tempo libero portano avanti numerose iniziative per la protezione dell’ambiente tra cui la pulizia dei fondali dalle reti abbandonate e la posa di boe per l’ormeggio delle barche, necessarie per evitare i danni causati dagli ancoraggi selvaggi sulle formazioni coralline. Il loro impegno si rivolge in particolare verso i ragazzi tailandesi delle scuole elementari ed ai loro insegnanti ai quali vengono messe a disposizioni barche ed attrezzature per rendere sempre più partecipi le nuove generazioni dei problemi legati alla protezione dell’ambiente marino.
Questi ragazzi hanno un progetto di collaborazione con l’Istituto Thetys per supportare il gruppo di ricerca CHELON, impegnato in Thailandia per la protezione delle tartarughe. Lo sviluppo turistico di questa regione è iniziato solo da pochi anni e, per un insieme di circostanze favorevoli, sta avvenendo sotto i vincoli imposti dall’Autorità del vicino parco naturale di Khao Sok, la più estesa foresta vergine della Thailandia.
La zona di mare antistante il villaggio di Ao Nang è particolarmente ricca di isole, per lo più disabitate ed ancora poco conosciute, che si formarono in Ere lontane quando imponenti formazioni rocciose emersero dal mare. Di esse è restato solo il nucleo calcareo. Circondate da belle barriere coralline, pressoché vergini, in molte di queste isole sono presenti grotte marine naturali nelle quali è possibile penetrare sia dal mare sia dalle pareti scoscese dalle quali è possibile raggiungere, in arrampicata sportiva, alcune aperture e penetrare nei cunicoli interni.
Quest’area, a differenza della vicina Phuket, è ancora in parte sconosciuta al turismo di massa e si presenta quindi ideale per tutti coloro che desiderano effettuare una vacanza in un posto diverso dalle consuete mete turistiche. Basta uscire dai resort lungo la spiaggia e si entra subito in contatto diretto con la vita quotidiana dei locali; al mattino, i pescatori tornano dalla pesca e consegnano il pescato alle bancarelle del pesce che si alternano a quelle di frutta tropicale lungo le solo due strade che penetrano nell’interno della costa racchiudendo e limitando il piccolo centro abitato. Ai suoi confini, fra palme ed eucalipti, incomincia maestosa la foresta del parco di Khao Sok; una giungla di salgariana descrizione riccamente frequentata da animali di tutti i generi: dall’orso tailandese al gatto leopardo, un felino parente stretto del gatto selvatico. Fra gli arbusti ed i corsi d’acqua, come lungo i sentieri, si possono scorgere rettili di tutte le specie: dal piccolo kling dalla cresta rossa al cobra reale, dai varani ai temibili coccodrilli di acqua dolce che si spingono fino alle lagune paludose ricche di mangrovie in prossimità del mare. Pochi sanno che il parco naturale di Khao Sok comprende alcune tra le più antiche foreste della Terra. In particolare, vi sono vari fattori geologici e climatologici che forniscono una tipicità unica alla zona.
Il parco si trova al di sopra della piattaforma geologica delle Sonda, l’unica piattaforma continentale che rimase stabile rispetto all’Equatore per circa dieci milioni di anni mentre i continenti si spostavano nella loro deriva mutando condizioni climatiche ed ambientali sulla Terra. Da ciò deriva che l’attuale foresta tropicale è singolarmente erede di un ecosistema tropicale vecchio di milioni di anni. Grazie a questa stabilità geologica, la zona non subì mai gli effetti delle ere glaciali che alterarono invece la maggior parte delle vegetazioni della Terra. Inoltre, la costante presenza di acqua, favorita dal clima umido e caldo, fornì sufficiente umidità per far prosperare la foresta primordiale. Il fattore che contribuì all’alta diversificazione animale presente fu il ponte naturale che si creò durante il Pleistocene a causa dei movimenti delle zolle locali quando le acque scesero di circa 200 metri rispetto all’attuale livello del mare; le diverse specie animali poterono così migrare dalle aree vicine che erano state soggette ad una diversa evoluzione ed incrementarono così la diversità biologica. All’interno del parco si ritrovano ancora villaggi dove la civiltà non è ancora arrivata ed i pescatori ci raccontano di animali strani, di leggende legate alle superstizioni locali. Durante un giro alle cascate del parco, dove tra l’altro è possibile fare anche il bagno, vediamo un albero secolare di circa otto metri di diametro e quaranta di altezza. Intorno al tronco sono legati nastri e coroncine simili a quelle della case degli spiriti: sono eredità animistiche ancora molto vive nel tessuto sociale dei Thai per cui le meraviglie della natura hanno anch’esse uno spirito da rispettare. Se il parco merita certamente una visita, le isole non sono da meno.
Koh Yawabon
L’ immersione che ci viene proposta è una grotta all’isola di Koh Yawabon, un imponente muraglione di roccia calcarea che fuoriesce prepotentemente dal mare fino ad un’altezza di circa ottanta metri, dando asilo a numerose specie di uccelli marini tra le quali la maestosa aquila bianca di mare.
All’interno dell’isola si apre una grotta tutto sommato di dimensioni discrete, di circa sessanta metri di lunghezza in orizzontale contro una larghezza media di dieci, e ad una profondità variabile dai 12 ai 16 metri. Può sembrare forse un controsenso l’immergerci in una grotta oscura quando, tutto intorno, si può assistere allo spettacolo meraviglioso offertoci dalle barriere coralline, però la formazione naturale nel suo insieme e l’insistenza e l’entusiasmo dei ragazzi del diving a volercela proporre ci convince. Un ingresso della grotta è a circa dodici metri di profondità; si presenta regolare con una larghezza di circa dieci metri orizzontalmente e circa sei metri verticalmente; penetrando si allarga fino a circa quattordici metri, presentando, lateralmente delle nicchie di circa un metro dove, penetrando con le luci delle nostre lampade, abbiamo subito le prime sorprese: cinque squali nutrice riposano immobili, infilati nelle fessure ed un bellissimo esemplare di pesce istrice (Diodon Hytrix), uscito dal buio, ci attraversa tentando di fuggire alle nostre lampade. Spaventato, si gonfia visibilmente irritato dalla nostra intrusione, con le spine rizzate. Osservandolo e sapendo quale stress gli abbiamo involontariamente causato, mi ritornano in mente i racconti dei sub giurassici che si vantavano del numero di pesci Istrice afferrati per la coda in Mar Rosso; come è noto questo genere di comportamento è da condannare, ci sono stati casi provati in cui l’animale, nello sforzo di gonfiarsi, sia morto. All’interno della grotta riconosciamo alcuni esemplari di pesce scatola cubico (Ostracion cubicus) di colorazione giallastra a macchie nere; si tratta di esemplari giovani probabilmente penetrati all’ingresso della grotta per cibarsi di piccoli invertebrati bentonici.
La grotta prosegue regolarmente, tappezzata sul fondo da ricci diversi tra cui il riccio matita (Phyllacandius Imperialis); nel punto centrale si può notare, guardando verso l’alto, la sacca d’aria che conduce nella parte aerea della cavità. Da lì è possibile togliersi l’attrezzatura e proseguire in arrampicata fino ad una finestra nella roccia che si affaccia a circa quaranta metri di altezza sul mare. Giunti in prossimità dell’uscita, le sorprese non sono finite; un bellissimo esemplare di pesce scorpione raggiato (Pterois radiata), nascosto dietro una stalagmite, è in agguato attendendo che un branco di minuscoli pesci argentati, che sta pascolando su una formazione di madrepore a corna di cervo (Acropora Sp.), si avvicini incautamente. E’ uno dei punti più suggestivi della grotta dove, da un lato, un arco di roccia fa penetrare un raggio di luce trasversalmente all’uscita primaria, e dall’altro un sifone porta ad un altra uscita laterale. Al di fuori troviamo una spiacevole sorpresa; in una grande nassa, probabilmente abbandonata da tempo, cinque grossi esemplari di snapper (Anisotremus surinamensis), si dibattono disperatamente cercando di uscire; per fortuna siamo in quattro e riusciamo a rigirare la nassa ed a tagliare i legacci di un portello laterale liberando i malcapitati da sicura e inutile morte. Il problema delle nasse abbandonate ci era stato riferito anche a Pee Pee Don ma sembrerebbe che, grazie alla campagna governativa di responsabilizzazione dei pescatori, la situazione stia lentamente migliorando.
L’immersione nella grotta di Koh Yawabon è particolarmente interessante, non solo per la spettacolarità degli incontri possibili, comune a molte immersioni locali, quanto all’atmosfera che vi regna; tecnicamente non è molto difficile, anche se l’impatto emotivo del buio di questo lungo tunnel, è amplificato dalla frequenza degli incontri dei veri abitanti della caverna.
Koh Sii
Ci rechiamo quindi all’isolotto di Koh Sii (dove Koh, l’avrete ormai capito significa isola mentre Sii semplicemente quattro, la quarta isola). I pinnacoli di roccia all’estremità meridionale sono di solito casa di grandi branchi di Big Eye Snapper (Lutjanus lutjanus, Bloch 1790) e di giovani barracuda. Si possono osservare anche delle cernie tropicali di grandi dimensioni che vivono tra le rocce ma, per loro fortuna, sono ancora molto diffidenti.
Ci hanno detto che purtroppo la pesca illegale è ancora molto praticata anche nelle aree protette. Gli stessi diving fanno da guardiani ma non è facile ed a volte pericoloso confrontarsi con pescatori senza scrupoli. La guida ci vuole mostrare come, in poche decine di metri orizzontali, si possa passare da una vasta superficie di acropore abitate da coloratissimi pesci, ad una parete verticale che scende rapidamente a quindici metri, costellata di cunicoli abitati da bellissime forme animali, ad un fondo sabbioso frequentato da grandi pesci che si aggirano fra torrioni di roccia ricoperti di gorgonie e di spugne a calice. Il tutto in un’acqua cristallina che si presta particolarmente per la fotografia subacquea e soprattutto la macro d nudibranchi e piccoli pesci.
Ci immergiamo, facendoci trascinare dalla corrente nello stretto canale che taglia l’isolotto in due; le acropore sono bellissime e si osservano degli splendidi esemplari di Pesce angelo arcobaleno (Pygoplites diacanthus) e di un pesce scorpione leggermente diverso da quelli osservati in precedenza, da queste parti chiamati leone, ed identificato come Pterois vetula. Un branco di Anthias rossi al pascolo fugge improvvisamente, richiamando la nostra attenzione verso il lato esterno della piattaforma madreporica: due piccoli e voraci squali pinna nera (Carcharinus Melanopterus) sono a caccia. Non pericolosi per l’uomo ma territoriali inizialmente rifuggono la nostra presenza per poi ritornarci sempre più vicini.
Proseguendo, arriviamo alla parete verticale e scendiamo lentamente verso il fondo; come preannunciato si aprono lungo la parete rocciosa decine di piccole grotte, abitate da un’intensa vita animale e vegetale, che talvolta bucano la montagna fino alla superficie; un gran numero di ricci diadema (Diadema setosum) sono nascosti negli anfratti e ci rendono talvolta difficile l’ingresso. Come è noto la loro puntura e particolarmente dolorosa ed è meglio evitarla, come è meglio evitare i bellissimi ed urticanti crinoidi color giallo nero, presenti ovunque, e, soprattutto, un non altrettanto bello ma sicuramente più pericoloso esemplare di pesce pietra (Synanceia verrucosa) che scorgiamo, immobile in una concavità, perfettamente mimetizzato in una colorazione verde militare. La sua presenza è tradita, ironicamente, solo … dagli occhi. Da una statistica degli incidenti locali, ogni anno si registrano ancora un certo numero di incidenti causati da punture accidentali con le spine di questo pesce che, tutt’altro che aggressivo, viene maldestramente urtato dagli incauti subacquei con conseguenze gravissime se non letali per i malcapitati. Una grossa cernia (Epinephelus tauvina), di circa trenta chili, si concede per un attimo alla nostra vista prima di rintanarsi in una fessura mentre due razze a punti blu (Taeniura Lymma) si nascondono al nostro passaggio timidamente sotto il sedimento di sabbia bianca.
Dal fondo escono come serpenti, i sottili steli allungati della gorgonia frusta (Juncella juncea), denunciando la presenza di forti correnti nell’area. Ce ne rendiamo conto, girando il promontorio; la corrente di circa un nodo non solo ci rallenta, ma riduce drasticamente la visibilità. Penetriamo in un passaggio nella roccia che ci riporta sulla piattaforma di acropore iniziale; il fondo è ricoperto di ghiaia colorata, ben diverso dal sedimento presente alla base della parete verticale; ne raccogliamo alcuni campioni che, al nostro rientro in Italia, agli occhi esperti di un amico geologo, ci riveleranno la presenza di forme granitiche ben diverse dalle rocce costituenti l’isolotto. Alla sera, dopo una lauta cena presso un ristorante locale, la guida ci racconta delle lotte che tutt’oggi avvengono fra i pescatori locali e quelli malesi.
Una notte di pochi anni fa, alla vicina isola di Koh Pannyi, le barche dei pescatori locali, appartenenti al gruppo etnico degli zingari del mare, erano uscite improvvisamente in mare; poi, nel silenzio rotto solo dalla raffiche del monsone, si erano uditi lontano, nel buio, alcuni spari di fucile. Come se nulla fosse successo, i pescatori erano quindi tornati a terra, portando sulla fiancata delle long tailed boat i segni tangibili di uno scontro a fuoco. Era stato uno dei non rari scontri fra i clan dei raccoglitori di nidi ed i pescatori dell’isola. Il giorno dopo, dei vecchi pescatori ci raccontarono che in un tempo passato, quando gli uomini combattevano sul mare da guerrieri, si spingevano fino in Malesia per combattere i feroci pirati, che ora, per fortuna, hanno quasi abbandonato del tutto le razzie degli antenati per limitarsi alla raccolta forse più redditizia dei nidi di rondine.
Dalle parole dei ragazzi del diving traspare un grande amore per questa terra che li ha accolti amichevolmente e che loro rispettano e proteggono come se fosse la loro; sono entrati in perfetta simbiosi con il modo di vivere Thai che, alla fine ci sembra aver vinto, con saggezza e con l’immancabile sorriso, il consumismo ed il continuo rincorrersi affannoso della società occidentale. Il mare delle Andamane è diventato la loro seconda casa e, sinceramente, camminando sulla spiaggia di Ao Nang al tramonto, sotto alcuni aspetti li capisco; nei momenti di libertà, con la loro barca a vela, si spingono più a sud, fino alle secche di Hin Daeng ed Hin Muang ed alle isole di Koh Rok e di Koh Turatao, ai confini con la Malesia, isole che non hanno nulla da invidiare alle forse più famose ma certamente più frequentate isole Similan.
Particolarmente interessante è l’isola di Turatao che si trova nell’arcipelago delle “51 isole”, in prossimità della Malesia, a circa tre miglia dall’isola di Langkawi. Turatao prende il nome da un antica espressione malese che può essere tradotta come “isola antica, misteriosa e primitiva”.
Ex colonia penale, divenuta parco nazionale nel 1972, ha mantenuto una natura selvaggia e ricca di fascino; le sue coste presentano numerose insenature nelle quali sfociano ruscelli, a tratti navigabili con il gommone, che penetrano nella fitta giungla rifugio nei secoli passati dei pirati locali. Essendo l’impatto turistico ancora molto limitato, vista la distanza dai normali flussi turistici, le barriere coralline sono pressoché intatte e vale certamente la pena di effettuare qualche ora di navigazione, magari in barca a vela, per godere le sue bellezze naturali. Nella stagione del monsone da Nord-Est (da novembre a maggio), la variazione di direzione delle correnti marine crea nelle Andamane un massiccio aumento del zooplancton e, di conseguenza, favorisce l’avvicinarsi dei grandi pelagici come lo squalo balena e le maestose mante; questi ultimi, un tempo facilmente avvistabili fin sotto costa a Phuket, sembrano attualmente preferire le isole meridionali come Terutao e le secche di Hing Daeng, evitando le aree turistiche sempre più affollate ed invadenti. I vecchi pescatori sono però convinti che un giorno ritorneranno; forse, quando l’Uomo, evitando la stupida ripetizione di errori già compiuti altrove, imparerà a rispettare maggiormente i propri compagni di viaggio su questo pianeta di cui troppo spesso ignora e tradisce l’esistenza. Per ora, saggiamente, preferiscono incrociare nelle isole più lontane, nel silenzio delle profondità marine, incuranti dei nostri problemi e dei nostri affanni. Non possono parlare… ma se potessero, giurerei che anche loro ci direbbero “Mai Pen Rai”.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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