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La guerra di corsa nel Marchesato di Finale: uno sguardo sul XVII secolo

tempo di lettura: 12 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVII SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Mar Ligure, pirati, Genova
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Chi lo avrebbe mai detto? Le acque della Liguria nel XVII secolo furono teatro di pirati e corsari. Tamara Decia ci racconta la storia di un piccolo marchesato ligure, una spina nel fianco  di Genova, ma non solo.

Nel corso del XVII secolo il Marchesato del Finale [1] – piccola enclave spagnola che interrompe la contiguità territoriale della Repubblica di Genova [2] – si anima di corsari [3] che approfittano del comodo rifugio, sottoposto al dominio del Re Cattolico, per compiere le loro scorribande sui mari. L’obiettivo dei corsari spagnoli che si trovano ad agire nel Mar Ligure durante le guerre che nel Seicento contrappongono Francia e Spagna, [4] le due maggiori potenze dell’epoca, sono ovviamente i bastimenti nei nemici francesi ma, di fatto, spesso e volentieri le vittime delle loro depredazioni sono i legni genovesi, soliti trasportare merci per conto della Francia. 

Il Marchesato di Finale nel 1749, da una mappa di Tobias Mayer – autore Pampuco-Marchesato di Finale 1749 da mappa di Tobias Mayer.png – Wikimedia Commons

Questo aspetto consente di spiegare come i legami tra Genova e le due maggiori potenze dell’epoca si inserisca nella complessa rete di rapporti internazionali sull’asse Parigi-Madrid e nella contesa tra i due Stati per l’egemonia in Europa. Genova, vecchia alleata spagnola, [5] si sta orientando sul piano della neutralità: se gli spagnoli temono la perdita di un supporto che nel tempo si è rivelato fondamentale, i francesi dal canto loro cercano in ogni modo di contendersi i favori della Repubblica. Gli anni della Guerra d’Olanda e della Guerra della Lega d’Augusta sono ampiamente documentati grazie alle notizie ricavate innanzi tutto dalla serie del Tribunale delle Prede Marittime conservato nel fondo Camera dell’Archivio Storico del Comune di Finale Ligure, poi incrociate i dati ricavati da altre tipologie documentarie. La stessa fortuna non si ha, invece, per la prima metà del XVII secolo che, ad oggi resta poco documentata: sarebbe necessario un lungo e paziente lavoro attraverso diverse piste archivistiche quali, ad esempio, le carte notarili. Ed è proprio un instrumento rogato da Giacomo Casatroia, notaio del Finale, a fornirci quella che ad oggi è la prima notizia sul tema trattato: a lui si rivolgono alcuni finalini per il disbrigo di pratiche relative alla cattura, avvenuta al largo di Varigotti, di un bastimento francese ma, sfortunatamente, dal documento non emerge alcuna notizia sul nome del corsaro; ovviamente si tratta di un suddito del Re di Spagna ma non necessariamente un patrone del Marchesato.[6]

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è MAPPA-1738_map_of_Ligurian_Sea-WIKIMEDIA.jpg

Mappa del mar Ligure, 1738 ca. – Fonte Fondo Antiguo de la Biblioteca de la Universidad de SevillaFile:1738 map of Ligurian Sea.jpg – Wikimedia Commons

Effettivamente, in questo primo periodo ad agire nello scalo del Finale sono in particolar modo gli avvezzi corsari maiorchini, siciliani e napoletani e si è supposto che, inizialmente, i patroni del Finale, desiderosi di dedicarsi alla guerra di corsa, scelgano di appoggiarsi proprio a chi ha più esperienza nel campo: come accade, per esempio, a Gio Antonio Narancio il quale negli anni ’70 del XVII secolo si appoggia al messinese Domenico Parisio. [7] L’unione di forze tra finalini e corsari provenienti da altri domini della Corona spagnola perdura anche quando i primi hanno ormai acquisito dimestichezza in materia: si ricorda, infatti, l’impresa promossa nel 1696 da Giovanni Battista Saccone, il quale insieme a Donato Vernazza, Gio. Antonio Accame e il napoletano Domenico da Negri va in caccia di una tartana francese che si sta recando nel porto della Superba. [8]

I finalini si rendono sempre più intraprendenti negli scontri che sconvolgono il Mar Ligure ma è innegabile che i corsari meridionali vantino una “marcia in più”: basti pensare al fatto che alcuni di loro si organizzano in “società corsare” – come accade ai napoletani Andrea Perelli, Diego Soffio, Giuseppe Pesante con Giovanni Aideri presto imitati dal messinese Francesco Spagnolo e dal napoletano Ottaviano Scotto – la cui istituzione è sancita dagli atti notarili redatti da Nicolò Maria Picco. [9] Il messinese Domenico Parisio, invece, offre un ulteriore esempio della maggior spregiudicatezza, tipica dei “colleghi” più esperti: dimostra meno remore e pochi scrupoli nel ricorrere alla violenza tanto che nel 1675 contro di lui viene intentato un processo a causa dei maltrattamenti inflitti ad alcuni sudditi genovesi durante una presa in mare. [10]

Uno dei nomi principali della corsa finalina è quello di Battista Bergallo, attivo durante i principali conflitti del secolo ottenendo una prima “lettera di marca” nel 1674 [11] e una seconda nel 1689: [12] negli anni della guerra d’Olanda naviga “in traccia de’ legni nemici” soprattutto nelle acque francesi mentre durante la Guerra della Lega d’Augusta si muove anche nell’Alto Tirreno.

raffigurazione di una piastra del 1695 con effigie di Giovanni Battista I Ludovisi, principe di Piombino (1669-99) – immagine scannerizzata da “Monete di zecche italiane”, di Domenico Promis, Stamperia Reale Torino – autore Domenico Promis Piastra con effigie di Giovanni Battista I Ludovisi, principe di Piombino, 1695.jpg – Wikimedia Commons

Ciò è dovuto al fatto che la seconda patente – quella del 1689 – gli viene rilasciata da Giovanni Battista Ludovisi, Principe di Piombino, [13] nominato dal re di Spagna quale Tenente Generale del Mare: in virtù di questo titolo, il Principe è autorizzato a rilasciare le patenti corsare ma, presto, si sviluppano problemi in materia fiscale. Il Ludovisi, infatti, in quanto autorità che concede la patente pretende di incamerare “il quinto” nelle casse del proprio Stato andando ad intaccare gli interessi della corona spagnola: non a caso, negli anni ’90 del XVII secolo, il governatore del Ducato di Milano [14] emana precise disposizioni su questa materia e, in generale, regolamenta la corsa finalina [15] disponendo che i corsari che intendo agire nello scalo del Finale debbano regolarizzare la loro posizione registrando le patenti di corsa ottenute presso la Cancelleria del Marchesato. [16]

A volte, tuttavia, la corsa può non essere intenzionale bensì frutto del caso: a tal proposito, è legittimo parlare di corsa “occasionale”; una splendida testimonianza in tal senso è offerta nel 1678 da Gio Antonio Cerisola che, partito in veste di mercante dal Finale, scorge un’imbarcazione francese e non esita a catturarla. Senza ombra di dubbio, la stagione d’oro della guerra di corsa finalina si colloca però negli anni ’90, in occasione della Guerra della Lega d’Augusta, quando si assiste all’emergere di nuovi nomi. I corsari finalini che operano in questo momento sono, oltre al già noto Bergallo, anche Giovanni Battista Basso, i fratelli Francesco e Domenico Beggino, i fratelli Pietro Battista e Francesco Benzo, Gio Antonio Carenzo, Gio Antonio Fenoggio, i fratelli Bartolomeo e Francesco Massa, Giovanni Battista Saccone e Donato Vernazza. Compaiono anche altri esponenti della famiglia Bergallo: si tratta di Carlo Bergallo, fratello di Battista, e di Francesco Bergallo che, con buona probabilità, è un loro cugino. Inoltre, durante quest’ultimo conflitto del secolo, sono attestati casi di risonanza internazionale ancor maggiore: le mire dei corsari finalini si dirigono anche verso mercanti olandesi e, in un’altra circostanza, si assiste al coinvolgimento del console danese a Genova, il cui carico di pepe e garofani è predato all’altezza di Mentone. Questo è anche il periodo delle “prede illustri”: a cadere nella rete dei corsari non sono semplicemente merci ma anche persone, come alcuni religiosi, ebrei e nobili che sono spogliati dei loro beni. In ogni caso, bisogna precisare che i corsari meridionali e maiorchini vantano “una marcia in più” rispetto ai corsari finalini: se si ha traccia della stipulazione di due “società corsare” ad opera di alcuni corsari meridionali, allo stato attuale delle ricerche non si ha alcuna notizia del genere per i sudditi del Marchesato. Il tema della guerra di corsa è stato al centro di un’attenta analisi in occasione della ricerca condotta per la mia tesi magistrale in Scienze storiche, archivistiche e librarie. La tesi, seguita dal prof. Paolo Calcagno (Laboratorio di Storia Marittima e Navale – Università di Genova) ha ricevuto la dignità di stampa e nei prossimi mesi sarà oggetto di una pubblicazione specifica che renderà possibile accostarsi a tutti gli aspetti che, in queste poche righe, sono stati solo accennati.

Se in questo articolo si è cercato di far emergere i nomi e gli episodi più interessanti del “secolo” della corsa finalina, nella pubblicazione si  presta grande attenzione anche al rilievo politico del fenomeno, con un frequente riferimento alla corrispondenza intercorrente tra i Serenissimi Collegi e i loro ambasciatori di stanza a Milano o a Madrid. Il dizionario biografico dei corsari finalini conclude la ricerca: la consultazione dei registri parrocchiali conservati all’Archivio Storico Diocesano di Savona e l’analisi dei registri notarili all’Archivio di Stato di Savona hanno consentito di delineare i profili biografici dei finalini che hanno scelto di cimentarsi nell’attività di corsa. Ad arricchire quest’ultima parte è stata anche la preziosa documentazione della Confraternita di San Termo (o Sant’Erasmo) per i patroni di barche e marinai – anch’essa conservata all’Archivio Storico Diocesano savonese – che ha permesso di conoscere alcuni aspetti della vita di questi uomini, una volta esauriti i conflitti bellici.

In anteprima Sciabecco spagnolo, 1826 – autore Jean Baugean – fonte http://collections.rmg.co.uk/collections/objects/111560.html
Chebec espagnol en 1826.jpg – Wikimedia Commons
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Tamara Decia
Nel 2009 si iscrive al corso di laurea triennale in Storia che conclude nell’ottobre 2013 con una tesi di laurea dal titolo «L’Impero asburgico dalla rivoluzione del 1848/49 alla creazione della duplice monarchia visto attraverso le pagine della Nuova Antologia», ottenendo la votazione di 110 con lode. In seguito ottiene la  laurea magistrale in Scienze storiche, archivistiche e librarie presso lo stesso Ateneo discutendo, nel marzo 2016, la tesi di laurea «Contra los infieles y los enemigos de Su Majestad: i finalini e la guerra di corsa durante la dominazione spagnola», sotto la direzione del prof. Paolo Calcagno, tesi che è stata premiata con la dignità di stampa. Nel 2016 vince una borsa di studio triennale nell’ambito del corso di dottorato in Studio e valorizzazione del patrimonio storico, artistico-architettonico e ambientale dell’Università di Genova. Attualmente è dottoranda presso il Laboratorio di Storia Marittima e Navale (NavLab) con un progetto di ricerca sulla guerra di corsa spagnola durante la guerra per la successione a Carlo II.

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Alcune delle foto presenti in questo blog sono prese dal web, pur rispettando la netiquette, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o chiedere di rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

 

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[1] Questo articolo è la rielaborazione di un breve intervento apparso sulla rivista “Il Quadrifoglio” dell’Associazione E. Celesia di Finale Ligure.

[2] Si tratta di un territorio molto più esteso dell’attuale Finale Ligure: comprendeva le diverse ville corrispondenti agli attuali comuni di Calice Ligure, Rialto, Orco Feglino, Tovo San Giacomo, Magliolo estendendosi fino alla zona della Val Bormida con gli attuali comuni di Bormida, Osiglia, Pallare, Carcare, Calizzano e Massimino.  Il feudo, appartenente alle terre controllate dai marchesi Del Carretto, viene occupato dalle truppe spagnole nel 1571 per volere del re Filippo II: senza dimenticare un primo periodo di opposizione da parte dell’imperatore – il quale solamente nel 1619 riconosce il dominio spagnolo sul feudo – la dominazione degli Austrias dura fino al 1713 quando, alla fine della Guerra di Successione Spagnola, il Marchesato viene venduto alla Repubblica di Genova. Per conoscere la storia del Finale si rimanda al classico lavoro di A. Silla, Storia del Finale, Tipografia Priamar, Savona, 1964 e alla raccolta di saggi Storia di Finale, Savona, Daner Edizioni, 1993. Sull’incorporazione del Marchesato entro i domini spagnoli si ricorda J.L. Cano de Gardoqui, La incorporation del Marquesado (1602), in Estudios y documentos: cuadernos de Historia Moderna, 6, Facultad de Filosofia y litras de la Universidad de Valladolid. Escuela de Historia Moderna del C.S. de I.C., Valladolid, 1955. Il lavoro più compiuto su questo piccolo Stato in età moderna è il lavoro di P. Calcagno, «La puerta a la mar». Il Marchesato del Finale nel sistema imperiale spagnolo (1571-1713), Viella, Roma, 2011 senza dimenticare altri recenti lavori incentrati sullo stesso periodo: A. Peano Cavasola, (a cura di) Finale, porto di Fiandra, briglia di Genova, Fonti, memorie e studi del Centro Storico del Finale, 1, Centro Storico del Finale, Finale Ligure e P. Calcagno (a cura di), Finale fra le potenze di antico regime. Il ruolo del Marchesato sulla scena internazionale (secoli XVI-XVIII), Società Savonese di Storia Patria, Savona, 2009.

[3]Sulla storia di Genova si cita, a titolo di esempio, il lavoro a cura di D. Puncuh, Storia di Genova, Società Ligure di Storia Patria, Genova, 2003. Per uno studio sui legami tra Genova e la Spagna si suggerisce, invece, M. Herrero-Sanchez, D. Puncuh, Y.R. Ben Yessef Garfia, Genova y la Monarquia hispanica (1528-1713), Società Ligure di Storia Patria, Genova, 2011.

[4]È d’obbligo precisare quali sono gli aspetti che differenziano il corsaro dal pirata: differentemente da quest’ultimo, infatti, il primo non è un fuorilegge bensì una figura che opera entro i confini della legittimità ponendosi al servizio di uno Stato. Il corsaro si trova ad agire, naturalmente, in tempo di guerra e il suo compito è quello di infliggere danni al commercio nemico: la guerra di corsa, di fatto, diventa sostegno fondamentale alla guerra tradizionale, affiancandosi ad essa. A distinguere il corsaro dal pirata è la concessione che gli viene rilasciata per poter “correre i mari”: si tratta della patente di corsa (nota anche come lettera di marca) in cui si specificano quali sono gli obiettivi da colpire e le norme da rispettare. Il corsaro, inoltre, deve sottostare ad una serie di obblighi: denunciare la preda realizzata presso il Tribunale competente – nel caso del Finale, il Tribunale delle Prede Marittime – che, dopo aver avviato un’indagine sul caso, si pronuncia sulla legittimità della stessa. La preda riconosciuta come “buona” viene posta all’incanto procedendo all’asta pubblica e, alla fine, il corsaro deve corrispondere il 20% ovvero “il quinto” all’erario; di fronte ad un giudizio di “mala preda” il corsaro è obbligato a restituire quanto predato e, a volte, anche a risarcimenti di carattere economico. In cambio di tutto ciò, il corsaro ottiene la protezione da parte dello Stato al servizio del quale si è posto e gli viene concesso il libero approdo a porti di paesi alleati o neutrali. Se, a livello teorico, la distinzione tra guerra di corsa e pirateria appare netta in realtà nella pratica le cose non stanno esattamente così: il confine tra i due fenomeni è più sottile di quanto si possa pensare. Sulla distinzione tra  guerra di corsa e pirateria si suggerisce il saggio di M. Mollat du Jourdin, De la piraterie sauvage à la course réglementée (XIV°-XV° siècle), in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes T.87, N°1, 1975. Per un primo approccio ai due argomenti si ricordano R. Coulet du Gard, La course et la piraterie en Mediterranée, Editions France – Empire, Parigi, 1980, A. Lespagnol, La course comme mode d’entrée dans les trafics internationaux: réalité et limites, in Gonçal Lopez Nadal (a cura di), El comercç alternatiu: corsarism e contraban (sec XV-XVIII), 8. Jornades d’Estudis Històrics Locals celebrades a Palma, 23-25 de Novembre de 1989, Institut d’Estudis Baleàric, 1989, P. Gosse, Storia della pirateria, Sansoni, Firenze, 1991, G. Pietrostefani, La guerra corsara, forma estrema di libero commercio, Editoriale Jaca Book Spa, Milano, 2002, M. Verge-Franceschi, Guerre et commerce en Mediterranee, IXe-XXe siecles, Editions Veyrier, Parigi, 1991 e M. Lenci, Corsari. Guerra, schiavi, rinnegati nel Mediterraneo, Carocci, Roma, 2006.

[5] Si ricordano quali sono le fasi belliche considerate: gli ultimi anni della Guerra dei Trent’anni (precisamente, nel periodo 1635-1659), durante la Guerra di Devoluzione (1667-1668), la Guerra d’Olanda (1672-1678) e la Guerra della Lega d’Augusta (1688-1697). Sulla storia della Spagna nel periodo degli Austrias si possono considerare i seguenti studi J.H. Elliott, La Spagna Imperiale (1469-1716), Mulino, Bologna, 2015 e . Rivero-Rodríguez, La monarquia de los Austrias: historia del imperio español, Madrid, Allianza Editorial, 2017.

[6] A segnare il passaggio di Genova entro l’orbita spagnola è la scelta maturata da parte di Andrea Doria nel 1528. La bibliografia sul tema è vasta: solo per fare un esempio si cita la recente pubblicazione di G. Airaldi, Andrea Doria: un principe del mare che guidò la Repubblica di Genova, fra guerre, imperialismi e difesa della libertà, Salerno Editore, Roma, 2015.  Sull’argomento dell’alleanza Genova-Madrid intesa in maniera più generale si ricordano due lavori di L. Lo Basso, Una difficile esistenza. Il duca di Tursi, gli asientos di galee e la squadra di Genova tra guerra navale,finanza e intrighi politici (1635-1643) in Manuel Herrero Sanchez, Yasmina Rocío Ben Yessef Garfia, Carlo Bitossi, Dino Puncuh  (coor.), Genova y la Monarquia Hispanica (1528-1713), Società Ligure di Storia Patria, Genova, 2011 e con Carlos Alvarez Nogal e Claudio Marsilio, La rete finanziaria della famiglia Spinola: Spagna, Genova e le fiere dei cambi (1610-1656), in Quaderni Storici, 124/1 , Bologna, 2011.

[7] ASG, Marchesato, 64

[8] ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 109

[9] Ibidem.

[10]ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 2260.

[11]ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 106

[12]ASS, Notai distrettuali, Notai del Finale, 1722

[13]ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 107

[14] Sulla storia dello Stato di Piombino si suggeriscono L. Cappelletti, Storia della città e stato di Piombino dalle origini fino all’anno 1814 etc, Livorno, 1897 e il più recente U. Canovaro, M. Giachi, (a cura di), Piombino, storia di un Principato. Atti dei convegni dedicati alle dinastie dello Stato di Piombino, in Nuovi Quaderni dell’Archivio Storico, 3, Venturina, Archivinform, 2012.

[15] Il Marchesato del Finale, infatti, è controllato dal Ducato di Milano. Sui rapporti che intercorrono tra il Finale e il Ducato Milanese si suggeriscono i lavori di R. Musso Finale e lo Stato di Milano (XV-XVII secolo) in Storia di Finale, Savona, Daner Edizion, 1997 e “Al uso y fueros de Spaña”. I governatori di Finale tra autonomia e dipendenza dallo Stato di Milano, in A. Peano Cavasola (a cura di), Finale, porto di Fiandra, briglia di Genova, Finale Ligure, Centro Storico del Finale, 2007, R. Musso e C. Cremonini, I feudi imperiali in Italia tra XV e XVIII secolo: atti del convegno di studi, Albenga – Finale Ligure – Loano, 27-29 maggio 2004, Istituto internazionale di studi liguri, Roma, 2004 e C. Cremonini, Il caso di Finale tra interessi locali ed equilibri internazionali. Alcune considerazioni in Calcagno P., Finale fra le potenze di antico regime. Il ruolo del Marchesato sulla scena internazionale (secoli XVI-XVIII), Società Savonese di Storia Patria, Savona, 2009.

[16]ASM, Feudi Imperiali, 260.

[17]ASCF, Camera, Tribunale delle Prede Marittime, 1

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