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livello elementare
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ARGOMENTO: ASTRONOMIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: pianeti
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Venere
Dopo aver visitato, anche se solo virtualmente, il piccolo Mercurio, ci allontaniamo dal Sole dirigendoci verso la Terra. Il secondo pianeta che incontriamo nel nostro cammino è Venere, che si trova ad una distanza media di 67 milioni di miglia (108 milioni di chilometri) dal Sole. Anche Venere, come Mercurio, non possiede satelliti. E’ forse uno dei più facilmente identificabili pianeti essendo ben visibile al sorgere ed al tramonto del Sole. Uno spettacolo del cielo che possiamo ammirare anche durante la notte, essendo l’oggetto naturale più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna. Venere ha più o meno le stesse dimensioni della Terra con un raggio di circa 6000 chilometri.
Come nacque
Quando circa 4,6 miliardi di anni fa l’enorme nuvola di gas e polveri si stabilizzò nella sua forma attuale, incominciarono a formarsi i pianeti del sistema solare. Prima i grandi pianeti esterni come Giove e poi quelli che chiamiamo interni come Mercurio, Venere, la Terra e Marte. Oggi parliamo di Venere, un pianeta tanto luminoso da essere scambiato per una stella. Se arrivassimo dallo spazio potremmo incontrare quel pianeta di color bianco, decisamente brillante, coperto da nuvole che riflettono la luce solare al punto da impedire l’osservazione della sua superficie. La sua atmosfera presenta molti strati composti principalmente da anidride carbonica che intrappolano il calore rendendolo il pianeta più caldo del nostro sistema solare. In pratica, un vero inferno. Per darvi un’idea, a circa trenta miglia dalla superficie del pianeta, la sua temperatura è equivalente a quella della superficie terrestre ma, scendendo verso il suolo incontreremmo temperature tanto calde da fondere metalli e circuiti elettronici. Temperature che raggiungono gli 880 gradi Fahrenheit (471 gradi Celsius) indifferentemente dalla latitudine del pianeta. Essendo avvolto tra le nubi, per poter osservare le sue montagne, valli ed i migliaia di vulcani ancora attivi, dovremmo prima penetrare una fitta coltre di nubi di … acido solforico.
Venere ha un suo nucleo centrale, un mantello roccioso e una solida crosta. Per molti aspetti è simile alla Terra con un nucleo ferroso che ha un raggio di circa 3.200 chilometri al di sopra del quale galleggia un mantello fatto di lava e densa che si muove lentamente a causa del calore interno del pianeta. Si ritiene che la superficie del pianeta sia costituita da una crosta di roccia sottile che si muove al di sopra del mantello. Probabilmente la sua attività vulcanica principale ebbe termine tra i 300 ed i 500 milioni di anni fa. I dati sulla sua superficie, ricavati dalle sonde, hanno rivelato la presenza di due grandi aree montuose: Ishtar delle dimensioni dell’Australia sita nella regione polare nord e Afrodite, grande quanto il Sud America, a cavallo dell’equatore che si estende per quasi 10.000 chilometri. La montagna più alta, il Maxwell Montes, è alta 8800 metri, praticamente quanto il nostro Everest.
Rilievo raffigurante Nabonide che venera Sin (la Luna), Shamash (il Sole) e Ištar (il pianeta Venere)
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Una conoscenza antica
Essendo il corpo celeste meglio visibile dopo la Luna, il pianeta fu osservato sin dall’antichità; chiamato dai Babilonesi Ištar, in onore della dea dell’amore, dell’erotismo e della guerra era noto anche a Egizi, Greci e Romani che distinguevano le sue brillanti apparizioni mattutine e serali, chiamandolo Lucifero prima dell’alba e Vespero al tramonto del Sole.
Il primo a studiare scientificamente i pianeti del sistema solare con un telescopio fu il grande astronomo italiano Galileo Galilei che arrivò ad osservarne le fasi simili a quelle della Luna. Questa scoperta dimostrò la correttezza della teoria eliocentrica predetta qualche decennio prima dall’astronomo polacco Niccolò Copernico che sosteneva che Venere era posto tra la Terra e il Sole e ruotava attorno a quest’ultimo. Purtroppo sappiamo come andò a finire; Galileo fu processato e costretto ad abiurare le sue tesi ritenute contrarie alla dottrina della chiesa. Nel 1677 Edmond Halley suggerì di misurare la distanza Terra-Sole con osservazioni da diversi luoghi della Terra, proprio durante i transiti di Venere. Fu quello del 1761 a permettere all’astronomo russo Michail Lomonosov di ipotizzare la presenza di un’atmosfera su Venere. Lo scienziato notò un leggero bagliore intorno al pianeta mentre passava attraverso il disco del sole, una prima prova della presenza di un’atmosfera attorno a Venere resa evidente dalla rifrazione dei raggi luminosi.
Il pianeta Venere è visibile come un punto nero mentre transita attraverso la faccia del sole visto dall’Osservatorio di Greenwich l’8 giugno 2004 a Londra. Il raro evento astronomico si era verificato prima nel 1882, e si è ripetuto nel 2012. (Foto di Ian Waldie / Getty Images)
Giovanni Schiaparelli ipotizzò che, come Mercurio, anche Venere fosse in rotazione sincrona. Nel 1932, W. Adams e T. Dunham mediante osservazioni spettroscopiche nell’infrarosso scoprirono linee di assorbimento del carbonio che permisero di ipotizzare che l’anidride carbonica fosse predominante nell’atmosfera venusiana. Successivamente, nel 1961, il suo periodo di rotazione fu misurato con il radiotelescopio di Goldstone, California, e nel 1964 fu confermato il suo moto retrogrado.
Le esplorazioni spaziali verso Venere iniziarono nel 1961 con la missione sovietica Venera 1 che effettuò il fly-by (sorvolo) del pianeta senza però riuscire a trasmettere alcun dato. Le scoperte maggiori si ottennero nel 1962 con la missione della NASA Mariner 2 che raggiunse con successo il pianeta scoprendo la presenza di spesse nubi ed una superficie estremamente calda. Mariner 2 scoprì che Venere non aveva un campo magnetico significativo, cosa che fu giustificata a causa della sua lenta rotazione. Il programma russo Venera continuò fino al 1983 con 16 missioni di successo. In particolare, Venera 7 fu lanciata il 17 agosto 1970 ed il 15 dicembre dello stesso anno atterrò sul pianeta, senza fondersi nel tragitto come le sonde precedenti.
La superficie di Venere ricostruita in base alle misure radar della sonda Magellan: per esigenze di migliore comprensione, la dimensione verticale in questo tipo d’immagine è moltiplicata di un fattore 10; in realtà le altezze delle montagne e le profondità delle valli sono dieci volte inferiori a quanto mostrato (dimensione 630 x 480 pixel) Image credit: NASA/JPL/Magellan
Nel 1975 i sovietici inviarono le sonde gemelle Venera 9 e 10, equipaggiate con un disco frenante per la discesa nell’atmosfera e ammortizzatori per l’atterraggio. Queste sonde trasmisero le prime immagini in bianco e nero della superficie di Venere mentre per il colore si dovette aspettare le sonde Venera 13 e 14. Negli anni ottanta i sovietici proseguirono con le sonde Venera 15 e 16 (1983), dotate di radar ad apertura sintetica, che mapparono l’emisfero nord del pianeta rimanendo in orbita attorno al pianeta. Nel 1985 i sovietici lanciarono le sonde Vega 1 e 2 che rilasciarono dei moduli sulla superficie del pianeta prima di dirigersi verso la cometa di Halley. Il modulo di Vega 2 atterrò nella regione Aphrodite raccogliendo un campione di roccia contenente anortosite – troctolite, un materiale raro sulla Terra, ma presente anche negli altopiani lunari.
sonda Magellan – NASA
Nel 1989 la NASA, utilizzando lo Space Shuttle, lanciò verso Venere la Sonda Magellan, dotata di un sistema radar che permise una mappa quasi completa del pianeta con una risoluzione nettamente migliore di quella delle precedenti missioni. Magellan continuò ad operare per ben quattro anni prima di precipitare e distruggersi nell’atmosfera venusiana. La sonda dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) Venus Express, lanciata nel 2006, eseguì una nuova mappatura completa della superficie. In otto anni la sonda fornì prove della passata esistenza di oceani venusiani, ormai definitivamente evaporati, ed evidenze nella sua atmosfera di violentissimi fulmini e di un gigantesco vortice concentrato al polo sud venusiano. Il 26 novembre del 2013 la NASA lanciò il Venus Spectral Rocket Experiment (VeSpR), un telescopio suborbitale per lo studio dell’atmosfera di Venere nell’ultravioletto, allo scopo di individuare la quantità di atomi di idrogeno e deuterio nell’atmosfera venusiana.
Le sue stranezze
Venere presenta alcune caratteristiche decisamente insolite. La prima è la sua lentissima velocità di rotazione per cui un suo giorno dura, grosso modo, 243 giorni terrestri. Questo comporta che il Sole non sorge e tramonta ogni “giorno”, come accade sulla maggior parte degli altri pianeti, ed il suo ciclo diurno o notturno impiega 117 giorni terrestri. Decisamente bizzarro.
Inoltre, Venere è uno dei due soli pianeti (l’altro, lo conosceremo più avanti, è Urano) che ruotano da est a ovest. La sua orbita intorno al Sole è la più “circolare” di qualsiasi altro pianeta del nostro sistema solare, quasi un cerchio perfetto. Infine, ha un’inclinazione assiale di soli tre gradi, girando quasi in posizione verticale, per cui non sperimenta stagioni evidenti. Mentre ruota lentamente sul suo asse, le sue nuvole ruotano attorno al pianeta ogni quattro giorni terrestri, spinte da venti che viaggiano a circa 200 miglia all’ora.
immagine catturata dal Mariner 10, evidenziata con falsi colori, che mostra i grandi fasci nuvolosi in rotazione – NASA
La velocità dei venti diminuisce man mano che ci si avvicina alla superficie dove scendono a poche miglia all’ora. Ciò nonostante un astronauta che passeggiasse sul suolo venusiano attraverserebbe deserti rocciosi sormontati da un cielo molto nuvoloso ed illuminato da fortissimi lampi luminosi.
Se camminassimo sulla sua superficie, ci accorgeremmo con piacere di essere sottoposti ad un’accelerazione di gravità (G) minore di quella presente sulla Terra (circa il dieci per cento di quella terrestre). In altre parole, un Uomo, del peso di 100 chilogrammi sulla Terra, su Venere potrebbe leggere su una bilancia un peso di circa 90 chilogrammi.
Un grande cratere da impatto visto da un’angolatura intermedia, con al centro la montagna formatasi per il rinculo dell’onda d’urto dell’impatto; inquadratura ricostruita in base alle misure radar della sonda Magellan (dimensione 632 x 480 pixel) Image credit: NASA/JPL/Magellan
Possibilità di colonizzazione?
Purtroppo i veicoli spaziali inviati sulla superficie di Venere non sono durati molto a lungo. Le alte temperature superficiali di Venere hanno fatto fondere l’elettronica delle sonde in breve tempo. Appare quindi improbabile che un astronauta possa sopravvivere a lungo sulla superficie venusiana se non all’interno di una struttura termicamente altamente protetta. Inoltre, sarebbe sottoposto ad una pressione atmosferica sulla superficie del pianeta pari a 92 volte quella sulla Terra.
Una curiosa proposta di Geoffrey A. Landis, scienziato e ricercatore della NASA nei campi dell’esplorazione planetaria e della propulsione interstellare, ha ipotizzato la realizzazione di stazioni spaziali di grandi dimensioni, simili ad aerostati, in sospensione nella sua atmosfera. Un’ipotesi affascinante che dovrebbe però trovare una soluzione ai fortissimi venti che la sconvolgono. Un altro problema è la presenza di grandi quantità di acido solforico in atmosfera, un gas estremamente aggressivo per le strutture. L’impiego al momento fattibile è l’uso del pianeta Venere come fionda gravitazionale (fly by) per missioni dirette verso altri pianeti del sistema solare. Questa funzione è stata già adottata con successo per la sonda Galileo, diretta verso Giove e le sue lune, e per la missione Cassini-Huygens, diretta all’esplorazione del sistema di Saturno. Quest’ultima effettuò due fly-by con Venere tra il 1998 e il 1999 prima di dirigersi verso le regioni esterne del sistema solare.
Andrea Mucedola
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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