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Palombari russi, una lunga storia

tempo di lettura: 13 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: RUSSIA
parole chiave: palombari

 

Tra i libri pubblicati sulla storia della subacquea a volte ve ne sono alcuni che offrono notizie e fotografie inedite che sono una vera manna per gli appassionati. Parliamo oggi del libro del Dott. Pavel BorovikovIllustrated History of Russian Diving 1829-1940‘ che ci dà l’occasione per parlare della storia dei palombari russi dal 1829 ai 1940.

Pavel Borovikov è un esperto di storia della subacquea russa conosciuto in tutto il mondo e membro della Historical Diving Society della Russia e della Gran Bretagna. Ha scritto molti libri ed articoli dedicati a questo argomento, e questo è il suo ultimo lavoro.

Il libro è infatti un pregevole “album” con una collezione unica di fotografie pre-1940, stampate su 152 pagine di 25 x 27 cm, e contiene la storia dagli albori dell’immersione in Russia, nel 1829, fino al 1940. L’opera è stata scritta in bilingue russo e inglese e quindi facilmente leggibile da molti. Il libro non è di facile reperibilità sul mercato (esaurito) ma potete contattare david@divinghelmet.nl per ulteriori informazioni. 

Palombari russi: una lunga storia.
Nel suo libro Borovikov ci racconta che le prime testimonianze di attività subacquee nelle gelide acque russe risalgono addirittura al 1600 (in apnea), dedicate soprattutto alla pesca di ostriche perlifere nei più lontani mari dell’impero russo. Nel XVIII secolo la Russia, durante il regno dello zar Pietro il Grande, era un Paese europeo tecnologicamente all’avanguardia; i suoi ingegneri e scienziati venivano da tutto il continente e in quel periodo si svilupparono delle interessanti campane di immersione per la costruzioni delle opere marittime e per i lavori navali nei porti. 

Nella prima metà dell’Ottocento arrivarono in Russia anche i primi scafandri da palombaro sviluppati dai fratelli Deane in Inghilterra e, nel 1882n fu fondata la prima scuola per palombari a Kronstad, non a caso un importante centro di addestramento per la Marina russa in cui servirono famosi ammiragli come Feodor Ushakov, Georgy Spiridov, Pavel Nakhimov, Stepan Makarov ed esploratori come Yuri F. Lisianski, Vasili Golovnin e Friedrich Benjamin Lutke. Sempre a Kronstadt, il fisico Alexander Popov, allora docente della Torpedo School della Marina, inventò la radio nel 1895, effettuando la sua prima storica trasmissione di un messaggio due mesi e 8 giorni prima di quella del premio Nobel Marconi. Ma la sua invenzione non fu brevettata per motivi di sicurezza.

Palombaro in una rappresentazione del 1849

Alla scuola palombari di Kronstad fecero seguito quelle di Sebastopoli e di Leningrado e l’istituzione, nel 1923, dell’EPRON, una società di ricerche subacquee al servizio della OGPU, l’antenato del KGB, che operò in Mar Nero per il recupero di navi affondate durante la guerra di Crimea.  

Nel 1828 un certo Gauzen, esperto di costruzioni meccaniche, sottopose al Comitato Scientifico del Ministero della Marina russa un apparecchio per immersioni molto simile a quello dei Deane, che fu poi usato fino al 1870. Nel 1931, Hermann Stelzner, della Divisione subacquea di Draegerwerk, pubblicò il famoso libro “Tauchertechnik“, un’enciclopedia su tutto ciò che era conosciuto all’epoca nel campo delle immersioni subacquee, divenendo il manuale di lavoro per tutti coloro che si affacciarono a quella dura professione.

Nel 1935, Robert H. Davis (amministratore delegato della Siebe Gorman in Inghilterra) pubblicò “Deep Diving and Submarine Operations“, un manuale che conteneva molte informazioni sugli ultimi sviluppi di apparati e tecniche di immersione, anche se, principalmente, (solo) apparecchi prodotti dalla Siebe Gorman. I Russi non persero l’occasione e pubblicarono un’intera serie di libri sulle immersioni spesso estratti dagli articoli della marina statunitense o dal libro di Robert H. Davis e poi tradotti in russo. Tutti i libri russi furono pubblicati dall’Istituto EPRON di Balaklava.

Il professor Ruben Orbeli, uno dei maggiori storici russi della materia, durante gli anni ’30 pubblicò diversi articoli nei libri della collana della casa editrice della EPRON,  descrivendo con cura anche gli apparati subacquei ideati da Leonardo Da Vinci. Il contributo del professor Orbeli fu fondamentale per la subacquea russa e, dopo la sua morte avvenuta nel 1943,  nel 1948 fu pubblicato un libro contenente tutte le sue ricerche.

Attualmente la filiale russa della Historical Diving Society è chiamata in suo onore con il suo nome ‘Ruben Orbeli’. Durante la II guerra mondiale e nella guerra fredda nell’allora Unione Sovietica furono pubblicati vari libri dalla ASU VMF, in seguito ribattezzata SSA CMV (entrambi i nomi sono sinonimo di ‘direzione di salvataggio’ della Marina sovietica. Quest’ultima nel 1942 aveva anche acquisito l’Istituto EPRON. Questi libri erano chiamati ‘Svorniks‘ (procedimenti) e, nel periodo post-bellico, e sono oggi una fonte di informazione preziosa per conoscere le attrezzature da palombari che erano state prodotte in URSS. Sulla base di questi testi siamo oggi in grado di poter ricostruire il lungo cammino verso gli abissi dei palombari russi.

Il dopo guerra
In quel periodo l’Unione Sovietica aveva sviluppato una grande esperienza nella lavorazione dei metalli, una capacità tecnica che la facilitò nella produzione di macchinari sviluppati per stampare elmi di rame, pressoché sferici, da lastre di rame piatte. Ma non solo in metallo. Tra i tanti prototipi, nel 1946, apparve un curioso elmo da palombaro che vale la pena ricordare perché realizzato in plexiglas, un prodotto chimico complesso, duro ma incolore, che poteva essere forato, lucidato, tornito, tagliato a macchina ed era chimicamente inerte. Inoltre, quando riscaldato sopra gli 80 ° C , poteva essere piegato e modellato nella forma voluta e, una volta raffreddato, la manteneva. I primi elmi sperimentali furono realizzati con materiale in fogli riscaldati in un bagno d’acqua a 80 ° C e poi posti in uno stampo per realizzare una semisfera. Due semisfere erano poi sono unite insieme con una colla speciale. 

Era ovviamente più comodo e facile da indossare di quelli tradizionali ed aumentava il campo di vista del subacqueo, non più limitato dai tradizionali tre oblò di quelli di rame. Una variante del primo modello aveva una piastra frontale standard avvitabile. Questi elmi in plexiglas furono progettati sia con le versioni a tre che a dodici bulloni. La parte inferiore  erano una standard in rame. Anche se non ebbe molto successo fra gli specialisti, che li consideravano troppo fragili, alcuni elmi  furono effettivamente realizzati. Secondo la loro descrizione dell’epoca erano più “igienici” e la sua superficie dell’elmo raccoglieva meno condensa. Sicuramente questo materiale più elastico del metallo rendeva il contatto fisico con la testa del subacqueo meno ruvido. Apparentemente questa plastica trasparente non produceva composti chimici dannosi nella respirazione per l’operatore subacqueo, come l’ossido di rame in quelli tradizionali.

Una altra caratteristica dichiarata era che non era soggetto ad elettrolisi durante i lavori di saldatura e di taglio sott’acqua. D’altra parte c’erano molti dubbi sulla fragilità del materiale ma fu il Narkomkhymprom,  il commissariato del popolo dell’industria chimica, che spinse per produrre del plexiglas in grado di sopportare un impatto pesante.

Ci furono nuovi test ed esperimenti all’inizio del 1945 vicino a Mosca, ed una delle fabbriche Narkomkhymprom costruì un nuovo modello sperimentale di elmo realizzato con del Plexiglas da 1/2 pollice (12 mm) con una cucitura rinforzata. Le nervature rinforzate furono incollate alla superficie esterna e i raccordi di bronzo tradizionali furono montati con rondelle di gomma sui lati. Alla fine il GRVU ne ordinò cento modelli sperimentali a 12 bulloni.  In realtà pochi anni dopo questi elmi non furono più menzionati ed apparvero nella collana della EPRON degli articoli illustrati, con nuove attrezzature per effettuare le prime immersioni ad elio-ossigeno. 

1943 elmo SJA 3 da www.divinghelmet.nl a cui si rimanda per maggiori informazioni

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La fucina di Leningrado

La città di Leningrado soffriva da due anni e mezzo l’assedio da parte dell’esercito tedesco. Nonostante tutto i Russi mantenevano in vita le officine meccaniche di riparazione per i carri armati e l’artiglieria ma anche un laboratorio per la produzione di attrezzature per palombari. Nacque forse in quella devastata città l’elmo SJA-3, dove SJA deriva da Sjlem, in russo Elmo, e “3” indicava il numero di bulloni. Furono costruiti anche dei modelli a dodici bulloni, ovviamente, denominati SJA-12. Lo SJA-1943 3 fu inizialmente costruito senza riportare stampigliato il suo modello ma riportava la data e il numero di serie stampato direttamente negli anelli del collare in ottone. Il più antico conservato riporta l’anno 1947 ed un suo modello si trova conservato a Leningrado (ora San Pietroburgo).

SKD
Nel 1945 fu pubblicato da EPROM un articolo illustrato sulla decompressione ad ossigeno tramite un casco da immersione. Nel 1948 fu costruito il casco prototipo “SKD“, il primo “Injector Skafander” russo dove l’acronimo stava per ‘Skafandr Kislorod Dekompressia’ (Scaphander Oxygen Decompression).

1948 elmo SKD – immagine da www.divinghelmet.nl a cui si rimanda per maggiori informazioni sull’elmo

Al termine della seconda guerra mondiale i porti erano ostruiti da navi affondate e relitti che creavano impedimenti per la loro accessibilità. In quel periodo la grande quantità di lavoro subacqueo richiese anche in Russia lo sviluppo di nuovi mezzi adatti allo scopo. A tal fine, la Marina russa commissionò il SKD “Factory Number 3” che permetteva una decompressione più veloce dell’operatore subacqueo dopo un’immersione profonda. In realtà l’elmo derivava dal “SJA-3” ma era dotato di un sistema di respirazione diverso. Una caratteristica interessante di questo prototipo era il “connettore di aria e comunicazione” che divenne poi  la nuova caratteristica standard su tutti gli elmi dal 1950 in poi.

GKS 3
Nel 1919 un americano, Elihu Thomson,  aveva identificato l’elio come componente per le miscele respiratorie. L’elio generò notevole interesse anche in Unione Sovietica. Nel 1936 Pavlovskiy e Êråps iniziarono a studiare l’influenza della miscela di elio-ossigeno sugli animali. Nel 1939, nel Mar Nero, furono eseguite alcune immersioni sperimentali a profondità di oltre 100 metri. Nel 1940, a Leningrado (oggi San Pietroburgo), durante i test in una camera con miscele ad elio, fu raggiunta una profondità di 200 metri a pressioni di 18, 19 e 20 atmosfere. Durante questi esperimenti, si notò il diverso spostamento delle dita e delle mani che si rifletteva in una distorsione della scrittura a mano. Nel 1946, sotto la direzione di Orbeli e Kreps, i sommozzatori sovietici Viskrebenzev, Ivanov, Kiyko, Kobzar e altri raggiunsero a 200 metri di profondità nel Mar Nero immergendosi dalla nave Altay con una campana aperta denominata Phaeton, ed un apparato a circuito chiuso “ISA“. Nel 1952, i subacquei Shvez e Martinovskiy raggiunsero una profondità di 255 metri nel Mare di Barents usando una campana chiusa dalla nave Hibini.

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Nel 1954 fu sviluppato il primo GKS 3,  acronimo per Gelii Kislorod Smers Model 3 per Helium Oxygen mix gas model 3. L’elmo GKS 3 era adatto per immersioni profonde ed utilizzava un gas respirabile costituito da una miscela di elio e ossigeno. La miscela veniva fornita da un apertura sul retro del casco come nel modello SKD.  Le profondità massime dichiarate erano di 200 metri, ma sembra che occasionalmente la marina russa li utilizzò fino a 300 metri. Il primo manuale di immersioni che descrisse l’apparato GKS 3 apparve nel 1954 e venne pubblicato nel 1955. Questo sistema a gas misto era considerato l’apparecchio di immersione subacquea meglio progettato al mondo in quel momento. Era costruito in ottone e rame ed il suo peso, compresa la piastra pettorale, era di 45 chilogrammi. I sommozzatori russi si immergevano in squadre di due sub alla volta e la loro discesa e salita era effettuata in una campana subacquea. 

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Il sistema a tre bulloni dei caschi standard “GKS3” poteva causare difficoltà in caso di emergenza di uno dei subacquei poiché entrambi erano tenuti ad aiutare l’altro a rimuovere le proprie attrezzature dopo l’entrata nella campana subacquea. Di solito i sommozzatori entravano nella campana in piedi e l’elmo veniva poi fissato a un gancio che pendeva dall’interno della campana. Il secondo palombaro doveva svitare i tre bulloni del casco: due davanti e uno sul retro del casco, il tempo necessario per stringere ancora la muta. La tuta aveva un collare di gomma in cui i tre fori per i bulloni passavano e si inclinavano verso l’esterno. I tre fori per i bulloni nel colletto di gomma sono stati tagliati in modo che l’esterno potesse piegare le ginocchia e uscire dall’elmetto, sempre con indosso la tuta. Poteva quindi aiutare il suo compagno subacqueo nello stesso modo, scollegare gli ombelicali e chiudere il portello della campana subacquea, pronto per la risalita. 

VKS 57
Nel 1957 venne acquisito il VKS 57 per “Vozduch Kislorod Smers model 1957“, sviluppato per un impiego a profondità di immersione comprese tra 60-100 metri.

1957 modello VSK 57 da www.divinghelmet.nl a cui si rimanda per maggiori informazioni

L’elmo era un normale elmo ventilato eccetto per i bulloni della corazza che erano posti in una posizione più alta perché era stato aggiunto un anello aggiuntivo tra la corazza e l’elmo. In pratica, aveva lo stesso design del SKD del 1948 e del GKS 3 del 1954 ma si differenziava per il sistema Venturi ora integrato in un anello separato e non costruito direttamente sull’elmo. La borsa di canapa che si intravede nell’immagine era attaccata all’impugnatura sulla parte superiore del casco e conteneva il connettore per le comunicazioni.

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Questo casco (senza il sistema Venturi) apparve nel 1963 e fu il successore del casco UVS 50. L’USV 50 era stato fabbricato dal 1950 fino al 1963 presso il “Factory Number 3” di Leningrado, ed era diventato il modello classico russo. La sua forma principale e il suo design sono simili a quelli del casco SJA-3 del 1943, ma la differenza è nella valvola di scarico che non è più regolabile. Anche i collegamenti per il tubo dell’aria e il cavo telefonico (che sono separati nel casco SJA-3), erano combinati in un grande connettore. Secondo il Russian Navy Diving Manual del 1968, il WKS 57 impiegava una miscela di aria e ossigeno per profondità di immersione fino a 60 metri, passando ad una miscela di aria ed elio per profondità di immersione tra i 60 e 100 metri

GKS 3 M

Nel 1962 venne introdotto l’HKSUM Oxygen Mix “GKS 3 M”, una nuova versione, migliorata del GKS 3. La nuova attrezzatura  da immersione profonda era stata sviluppata per effettuare immersioni tra i 60 e 200 metri di profondità. In particolare, era caratterizzata  da un tubo “venturi” più veloce. Il vecchio elmo aveva infatti sei cicli al minuto mentre il nuovo ne forniva ben dieci. L’illustrazione sottostante a sinistra mostra il principio di funzionamento del tubo “venturi”. In pratica, il gas arrivava dalla superficie attraverso il tubo (2) sul peso del torace che ospita il set di salvataggio. Si osserva un “selettore” (3) che può essere commutato tra la domanda di gas di superficie (o in caso di problemi) all’alimentazione del gas nei due piccoli serbatoi sul petto.


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Quando veniva selezionata l’alimentazione superficiale, il gas passava attraverso il tubo (1) sul retro, sul lato sinistro dell’elmo, dove il tubo di rame lo trasporta all’iniettore (6). Il gas scorreva ad alta velocità verso l’apertura davanti alla bocca e creava un effetto simile a quello di una pistola a spruzzo. Praticamente il gas all’interno del casco veniva aspirato insieme a questo flusso ad alta velocità. Il gas andava verso la parte posteriore del casco dove era collegato al contenitore dello scrubber (8) indossato sulla schiena del palombaro.

Qui, la CO² era filtrata dal gas e il gas raffreddato veniva trasportato dal venturi nel casco attraverso il tubo flessibile destro e nuovamente nel casco. In caso di problemi con l’ugello del bypass poteva essere utilizzato spingendo la maniglia (4) sul petto: il gas attraverso il tubo (7) situato posteriormente a destra  passava direttamente al suo interno attraverso il foro dell’iniettore (6) situato in corrispondenza della bocca dell’operatore. Nell’immagine sottostante si osserva l’iniettore: il gas arriva sia per il “venturi” sia per il bypass attraverso i tubi (5). Il foro 3 è l’apertura in cui il gas esalato viene aspirato o il gas di bypass viene iniettato nel casco. Il tubo (1) è invece il punto in cui il gas “fresco” insieme al gas espirato viene trasportato attraverso il contenitore sul retro del palombaro per essere filtrato. Qui, la CO2 era filtrata dal gas e il gas raffreddato veniva trasportato dal venturi nel casco attraverso il tubo flessibile destro e nuovamente nel casco. 

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In caso di problemi con l’ugello del bypass poteva essere utilizzato spingendo la maniglia (4) sul petto: il gas attraverso il tubo (7) a destra posteriore dell’elmo passava direttamente al suo interno attraverso il foro dell’iniettore (6) posto in corrispondenza della bocca dell’operatore. 
Nell’immagine di destra si osserva l’iniettore: il gas arriva sia per il “venturi” che per il bypass attraverso i tubi (5). Il foro 3 è l’apertura in cui il gas esalato viene aspirato o il gas di bypass viene iniettato nel casco. Il tubo (1) è il punto in cui il gas fresco insieme al gas espirato viene trasportato attraverso il contenitore sul retro del palombaro per essere filtrato. 

SVG 200

Nel 1972, venne presentato l’apparecchio Helium Oxygen Mix SVG 200, successore dell’apparato di immersione profonda “GKS3 M” corredato da un rebreather IDA 72. Si ritiene che possa essere derivato dall’evoluzione di un prototipo di un sistema chiamato SVV 86, derivato dal SVV 55, usato per profondità fino a 25 metri tramite un compressore esterno. Il SVV 86 era un sistema ventilato che riceveva gas forniti dalla superficie ed utilizzava un rebreather come sistema di salvataggio. I due tubi erano necessari per collegare l’elmo al rebreather semiaperto di emergenza (che poteva assicurare circa 20 minuti di autonomia).

Questa apparecchiatura fu progettata per funzionare fino a 60 metri di acqua con temperature comprese tra 0 e 30 gradi (Celsius). L’SVV 86 aveva anche una versione “commerciale”, il SVV 97. Nel caso della sua versione commerciale, SVV 97, la sicurezza era assicurata da bombolini di aria compressa. Lo sviluppo tecnologico basato sulle esperienze maturate con questi sistemi portò al SVG-200B dove SVG è un’abbreviazione per attrezzatura da immersione profonda. Il numero 200 indicava che l’apparecchiatura poteva essere utilizzata fino a una profondità di 200 metri. Ne fu anche prodotta come una versione da 300 metri chiamata SVG 300. L’attrezzatura completa comprendeva l’elmo, la tuta KVO-2 con riscaldamento interno ad acqua calda ed il rebreather IDA-72. La muta riscaldata con acqua calda KVO-2 era destinata all’uso in acqua fredda a temperature comprese tra 0 e 10 gradi e veniva fornita dalla superficie o da una fonte subacquea. Il rebreather IDA-72 funzionava con un ciclo respiratorio semichiuso con assorbimento di CO² all’espirazione. L’attrezzatura era realizzata dalla fabbrica russa RESPIRATOR che si trova ancora nei pressi di Mosca (www.respiro-oz.ru).

Ed oggi?
Siamo giunti ai giorni nostri in cui l’industria russa ha sviluppato prodotti non inferiori a quelli dei paesi occidentali. Vi sono molte compagnie che producono attrezzature per l’off-shore di prima qualità. Ricordo la SDS, Smolskiy Diving Suits Co Ltd, e la  JSC TETIS PRO, forse la maggiore compagnia specializzata nello sviluppo, costruzione e fornitura di attrezzature subacquee per tutti gli usi. 

SVU-5 della Tetis

In particolare, la JSC TETIS PRO, nata nel 1991 con base a Mosca, è una compagna interamente privata che possiede anche la KAMPO, una compagnia russa con oltre 50 anni di esperienza nel campo, che produce degli eccellenti elmi per palombari come il SVU-5, un casco da immersione progettato per permettere al sommozzatore di lavorare anche in condizioni estreme. Il casco isola la testa del subacqueo dalle condizioni ambientali, lo protegge da eventuali urti meccanici e garantisce una adeguata schermatura termica. E’ un casco dotato di un sistema di respirazione automatico con sistema di respirazione aperto.

Respirare attraverso la macchina automatica riduce considerevolmente la portata dell’aria ed il rumore all’interno del casco, migliorando la qualità della comunicazione. I test condotti dai subacquei hanno dimostrato affidabilità, comfort e sicurezza dell’applicazione del casco SVU-5. 

Andrea Mucedola

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Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo

 

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Come tutti gli anni HDS ITALIA sarà presente all’EUDI Show di Bologna con una piccola mostra a tema. Quest’anno è dedicata a: 
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4 commenti

  1. 17/02/2021    

    Hello and good morning, I see that you used information from my website to create this web page (which is no problem: I see you refer to my website) but I would like to let you know that the book ‘Illustrated History of Russian Diving’ is no longer available. Also is the email address davidsimport@zonnet.nl no longer valid, the new address is david@divinghelmet.nl With best regards and Ciao, David L.Dekker

    • 17/02/2021    

      thanks to advise us .. will do asap … hope you enjoy our portal (nowadays 9% of our readers are from US and 7% from north europe (i.e. BE, NL, UK)
      best regards
      Andrea

  2. Bruno Cammarota Bruno Cammarota
    13/02/2018    

    Semplicemente straordinario. Altissimo il contenuto storico e scientifico.

    • 13/02/2018    

      grazie da parte di tutti i collaboratori … per lo specifico un ringraziamento a Fabio Vitale, il nostro storico della subacquea

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