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Roma sul mare, l’importanza del Mare Nostrum per la sopravvivenza dell’Impero

tempo di lettura: 8 minuti

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livello elementare 
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: I – IV SECOLO d.C.
AREA: ROMA
parole chiave: Mare nostrum, impero romano


Mare Nostrum
fu il nome romano per il Mar Mediterraneo che rappresentava una dichiarazione del potere che i Romani avevano acquisito grazie ad una flotta potente per proteggere la flotta commerciale dai nemici dell’Impero. Il connubio politico tra flotta e commercio era la chiave della prosperità del popolo romano la cui sopravvivenza era legata al flusso di merci verso Roma. Anche se il termine  mare nostrum non ha più molto senso, dopo duemila anni quest’equazione non è cambiata: chi ha il potere sul mare preserva il benessere del proprio territorio.

La flotta mercantile di Roma
All’epoca di Nerone, l’arrivo della flotta del grano da Alessandria, nel corso del mese di giugno, era salutata come un avvenimento di grande importanza. Secondo una fonte anonima del IV secolo d.C., sotto Augusto, l’Egitto inviava ogni anno a Roma 20.000.000 modii di grano, vale a dire circa 140.000 tonnellate. Flavio Giuseppe scrisse che, all’epoca di Nerone, il grano egiziano nutriva Roma per quattro mesi; solo per mare, annualmente, dovevano arrivare a Roma 60.000.000 modii di grano, ovvero circa 420.000 tonnellate. Una quantità enorme che veniva assicurata da una flotta commerciale che doveva sfidare le intemperie e i pirati. Per questo motivo, le navi commerciali erano scortate da imbarcazioni da guerra fino ai porti di arrivo, precedute dalle naves tabellariae che trasportavano i dispacci per facilitare le operazioni di sbarco. Un evento da tutti aspettato con ansia.

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Carta dell’Impero Romano con colori differenti per le province senatorie (rosa) e imperiali (rosso) nel 120 d.C  – Autore ColdEel opera propria –  File:Senatorial and Imperial provinces in 120 AD.png – Wikimedia Commons

Seneca ci ha lasciato una descrizione impressionante dell’agitazione che si impadroniva della folla nel porto di Pozzuoli in Campania all’arrivo delle navi. Oltre al grano, il vino rappresentava un altro prodotto di largo consumo, così come l’olio, utilizzato non solo per l’alimentazione ma anche per l’illuminazione e le frizioni nei bagni pubblici. Inoltre, prodotti alimentari come una salsa di pesce, il garum, una colatura di interiora di pesce salato di cui gli antichi Romani sembra impazzissero impiegandola come condimento per molti piatti. Secondo Plinio il vecchio, sembrerebbe che il migliore fosse il garum sociorum, prodotto con gli sgombri, proveniente dalla Spagna dove una società tunisina, di origine fenicia, lo esportava in tutto il Mediterraneo ma soprattutto in Italia

A questi prodotti alimentari, si aggiungevano i materiali necessari per le lavorazioni come barre di ferro oppure lingotti di rame o piombo. Non ultimi prodotti di lusso: animali rari per i giochi del circo, marmi policromi dall’Africa e dall’Asia Minore ed i  graniti dall’Egitto trasportati dalla lapidariae e le spezie dall’estremo Oriente.

Ma come venivano trasportate queste merci?
Erano impiegati contenitori indistruttibili di terracotta: le anfore. Questi oggetti, duraturi nel tempo, hanno consentito di risalire a numerose informazioni grazie ai marchi che identificavano i proprietari o i costruttori. Inoltre, la loro forma era diversa in funzione dell’origine geografica, caratteristica che ha permesso agli archeologi di comprendere la rete commerciale marittima romana. 

Dalle fonti emerge che in epoca imperiale, le anfore provinciali iniziarono ad affluire al porto di Ostia. Intorno al I secolo, il vino proveniva principalmente dalla Catalogna mentre dal sud della Spagna il tanto desiderato garum. Le anfore olearie della Betica, dopo essere arrivate a Roma, erano svuotate e poi gettate come testimoniato dal monte del Testaccio, sulla riva destra del Tevere, una discarica di cocci formata principalmente da resti di anfore della Betica, una tipologia prevalente tra i 50.000.000 di contenitori ceramici del Monte Testaccio. Si trattava di vasi da trasporto molto grandi che pesavano a pieno carico circa 90 kg. Tenendo conto che ogni nave poteva trasportarne più di tremila, il guadagno per ogni carico era notevole. Dall’analisi incrociata dei reperti fittili, si è scoperto che nel II secolo d.C. la Gallia divenne la maggiore rifornitrice di vino mentre l’olio proveniva dalle coste africane.

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il Porto di Traiano, affresco dai Palazzi vaticani, XVI secolo, “Sole fecondo, che col carro ardente porti e nascondi il giorno, e nuovo e antico rinasci, nulla più grande di Roma possa mai tu vedere!” (Quinto Orazio Flacco), autore della foto Jason Urbanus, Rome-Portus-Vatican-Fresco.gif – Wikimedia Commons

Durante tutta l’epoca imperiale i Paesi costieri del mare nostrum orientale divennero la fonte primaria di grano, nutrimento fondamentale per la sopravvivenza del popolo. Il flusso era tale che sorse il problema di come gestire il flusso, oggi stimato in circa 1.200 grosse onerarie che trasportavano 350.000 tonnellate di merci. Tenendo conto dei periodi di secca o di troppa piena del Tevere, fu necessario creare un hub marittimo sulla costa dove costruire depositi e moli per “le imbarcazioni di transito” ovvero quelle necessarie per il trasbordo dalle grandi navi dei materiali per il successivo trasporto al porto fluviale di Claudio e da li, risalendo il Tevere a Roma. Operazioni non semplici considerando i bassi fondali ed il moto ondoso che non rendeva certo facile la movimentazione delle merci.

La nascita della portualità
Alla fine della Repubblica, la crescita demografica di Roma rese necessario lo sviluppo delle strutture esistenti che culminarono, nel I secolo, con le opere mirabili del porto di Traiano ad Ostia, una struttura funzionale e più arretrata rispetto a quella del porto di Claudio che era risultato troppo esposto alle condizioni meteo marine. I lavori durarono dal 100 al 112  a.C.  con la creazione di un caratteristico bacino di forma esagonale collegato al mare da un canale. Un altro importante porto, quello di Miseno/Pozzuoli, ad ovest della baia di Napoli, assunse un’importanza strategica, raccogliendo in epoca repubblicana i carichi di grano dalla Sardegna e dalla Sicilia e, successivamente, da Alessandria d’Egitto. Anche in questo caso alcune naviculae venivano caricate con le merci provenienti da tutto il Mediterraneo e quindi si trasferivano lungo costa fino ad Ostia. Si trattava di una flotta di circa novanta imbarcazioni per il trasporto del grano che impiegavano due giorni per raggiungere il sorgitore romano dove una perfetta organizzazione, regolata da precise leggi, consentiva l’effettuazione ordinata delle operazioni di carico e scarico.

affresco di nave caudicaria Isis geminiana da Ostia antica

La merce era trasferita sulle naves caudicariae che venivano trainate dalla riva destra del fiume da animali da soma oppure da … schiavi fino al porto fluviale di Roma. I relitti delle onerarie maggiori, Fiumicino 1 e 2, ritrovate a seguito dei lavori per la costruzione dell’aeroporto di Fiumicino, rappresentano una testimonianza archeologica di queste imbarcazioni. Questi relitti furono ritrovati a ridosso del molo destro del porto di Claudio in un’area marginale del bacino, facilmente soggetta ad insabbiamento. 

La flotta militare
Se i Romani possono essere ricordati come grandi soldati e ingegneri, non si può dire che all’inizio fossero dei grandi navigatori. Nei primi anni si servirono di piloti greci e solo durante la guerra punica dovettero modificare la loro policy navale. 

Roma aveva impiegato navi militari dalla prima Repubblica nel IV secolo avanti Cristo  in risposta alla minaccia dei pirati nel Mar Tirreno, ma fu nel 260 a.C. che costruirono, in soli 60 giorni, la prima flotta degna di questo nome. Una flotta di cento quinqueremi e 20 triremi fu assemblata in risposta alla minaccia di Cartagine. In modo tipicamente romano, gli ingegneri romani copiarono e migliorarono un quinquereme cartaginese che si era arenato sulla costa.

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Disegno di una trireme con il corvo, nave da guerra della I guerra punica – autore Lutatius Quinquereme-and-corvus.jpg – Wikimedia Commons

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Gli equipaggi vennero addestrati alle manovre impiegando delle panche  simili alle navi e furono scelti abili naviganti greci come piloti. Con il declino di Rodi, la pirateria divenne nel I secolo a.C. una minaccia crescente diffusa in tutto il Mediterraneo. Più di mille navi pirata, talvolta organizzate con flotte e ammiragli, divennero il flagello del commercio marittimo. Arrivarono a razziare anche il porto di Ostia, sconvolgendo l’importantissima fornitura di grano. Nel 67 a.C. Roma mise insieme una flotta potente ed assegnò a Pompeo Magno carta bianca per liberare il mare dalla minaccia dei pirati. Con 500 navi, 120.000 uomini e 5.000 cavalieri a sua disposizione, Pompeo divise la sua forza in tredici zone marittime e, liberò prima la Sicilia, poi il Nord Africa, la Sardegna e la Spagna. Alla fine, salpò per la Cilicia in Asia Minore, dove i pirati avevano le loro basi per un’ultima battaglia decisiva.. Attaccando per mare e terra nella battaglia di Coracesio, Pompeo Magno negoziò la resa incondizionata dei pirati in cambio di un pezzo di terra per coloro che si arrendevano pacificamente. Scomparve cosi l’ultima minaccia e Roma ottenne il completo controllo del Mar Mediterraneo. Memori della necessità di una presenza navale continua in funzione di deterrenza, la flotta romana fu distribuita in tutte le Province ed assicurò la tranquillità della navigazione della flotta mercantile dai nemici di Roma per oltre tre secoli.

In relazione alla velocità e all’utilizzo le navi militari potevano essere suddivise in:
Naves praetoriae (ammiraglie)
Naves longae (da guerra velocissime)
Naves liburnicae (molto veloci anche a 10 ordini di remi)
Naves actuariae (leggere da vedetta e per trasporto truppe)
Naves speculatoriae (da ricognizione per spiare le mosse del nemico)
Naves tabellariae (piccole unita per portare messaggi).

Il Capo supremo della flotta militare era il dux (generale dell’esercito), che in qualità di comandante della marina da guerra era denominato praefectus classis e veniva nominato dall’imperatore. Il capitano di una singola nave era il navarchus o praefectus navis o magister navis. Con la riforma augustea dell’esercito romano, il comandante veniva chiamato centurio classiarius, equivalente al centurione delle forze terrestri.

Alle sue dipendenze aveva cento soldati specializzati al combattimento in mare chiamati miles classiarii. Il miles classiarius indossava una tunica di colore bruno-ferroso o blu mare ed era munito di armatura o corazza, elmo e gambali. Gli scontri erano sanguinosi e i militi dovevano impiegare armi anche molto pesanti per cui i militari prescelti erano di sana e robusta costituzione fisica.

Nel periodo augusteo furono dotati di un elmo di provenienza celtica chiamato Montefortino che si prestava a difendersi da colpi dall’alto. Gli equipaggi venivano reclutati localmente e prelevati dalle classi più povere ma potevano anche includere reclute provenienti da stati alleati, prigionieri di guerra e schiavi. Gli equipaggi militari venivano addestrati nei porti di dislocazione al combattimento navale anche se, secondo la dottrina romana, erano considerati più fanti di marina che marinai. Gli scontri avvenivano a seguito degli arrembaggi con le modalità delle truppe di terra.

I miles classiarii ricevevano lo stesso stipendio degli ausiliari di fanteria ed erano soggetti alla legge militare romana. Convivevano con i veri marinai, ovvero con i remiges, addetti ai remi, con i nautae, marinai specializzati addetti alle vele ed alle manovre, e con i mesonautae addetti alle pompe di sentina. L’addestramento era ovviamente un requisito cruciale per l’efficienza della flotta, una caratteristica che si è tramandata nel tempo. La sua efficienza durò fino al collasso dell’Impero quando il mare nostrum diventò di nessuno. Ma questa è un’altra storia.

in anteprima affresco navi romane da Pompei, Museo Archeologico Nazionale di Napoli 8603  – autore foto ArchaiOptix Wall painting – war ships behind arcades – Pompeii (VI 17 9-11) – Napoli MAN 8603 – Marina militare romana – Wikipedia

 

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