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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: guerra russo giapponese
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La Russia è sempre stata condannata a lunghi periodi di isolamento a causa del suo enorme territorio, confinato geograficamente dalle rigide temperature invernali che ne bloccano i porti limitando i commerci marittimi e condizionandone la politica estera fino ai giorni nostri.
Un impero immenso che nel XVIII secolo raggiunse quasi 29 milioni di chilometri quadrati. In epoca zarista la sua economia era pesantemente legata all’agricoltura, con una bassa produttività industriale, per lo più accentrata nei grandi centri, caratterizzata da una significativa servitù della gleba che si mantenne fino alla sua abolizione definitiva nel 1861. Sebbene grazie alle visioni illuminate di alcuni zar, si assistette ad una industrializzazione del Paese, gli sbocchi al mare necessari per i commerci marittimi erano il punto debole del sistema economico, restando di fatto aperti tutto l’anno solo nel mar Nero. Di fatto i porti del Baltico e del Pacifico gelavano d’inverno ed i traffici commerciali erano ostacolati per molti mesi dal generale inverno.
Da qui la necessità di affermarsi sul mare
Con lo zar Pietro il Grande la marina imperiale russa si evolse, costruendo unità navali di sempre maggiori dimensioni. Incominciò un gioco geopolitico, non sempre pacifico, per cercare di rompere l’isolamento ed affermare la Russia come potenza europea. Questi gli antefatti che, visti gli ultimi eventi, non sono cambiati nel tempo.
Il recente ritrovamento nelle acque del Pacifico del relitto del Dmitrii Donskoi ci da l’occasione di raccontare una breve guerra tra la Russia imperiale ed il Giappone.
Dmitrii Donskoi – Fonte Архив фототографий кораблей русского и советского ВМФ.
File:DmitriyDonskoy1880-1905.jpg – Wikimedia Commons
Al fine di ottenere una base navale nell’oceano Pacifico libero dai ghiacci nei lunghi mesi invernali, la marina zarista individuò Port Arthur, un porto nella provincia di Liaotung. Tutto ebbe inizio alla fine della prima guerra sino-giapponese quando le nazioni europee (Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania) si spartirono i brandelli dell’Impero cinese. intimando al Giappone di lasciare libera la penisola di Liaodong in cambio di una compensazione di cinque milioni di sterline. Naturalmente tutti ne ricevettero dei vantaggi e vi crearono basi militari e commerciali per i loro commerci; una fra le tante Hong Kong che la Gran Bretagna mantenne fino ai giorni nostri.
E la Russia?
Il grande impero russo si concentrò su Port Arthur che, dopo essere stato “affittato” per 25 anni, era stato raggiunto dalla ferrovia transiberiana. Sebbene il Giappone si fosse offerto di riconoscere l’influenza russa sulla Manciuria (in cambio del riconoscimento della Corea nella sfera di influenza giapponese) questo non piacque alla Russia. Il Giappone, dopo aver esaurito tutte le armi diplomatiche, indispettito dalla strafottenza russa, decise di entrare in guerra.
Il primo obiettivo fu di mettere fuori combattimento la flotta russa del Pacifico, prendendo Port Arthur e invadendo via terra la Manciuria. Iniziò un confronto prudente tra le due potenze: da un lato la flotta nipponica, che si teneva lontana dai territori occupati dai Russi, e dall’altro i Russi arroccati all’interno delle loro basi.
l’ammiraglio nipponico Togo Heihachiro – Fonte Afbeelding uit de biografie van Togo door C. Henderson 1951
File:Togo Heihachiro,1907.jpg – Wikimedia Commons
L’uomo chiave del momento fu l’ammiraglio Togo Heihachiro che decise di impiegare le mine navali per bloccare i porti nemici. La tattica ebbe successo e la prima vittima fu la possente corazzata Petropavlovsk, ammiraglia della flotta russa, che affondò dopo aver urtato una mina, portando con sé il comandante dell’intera flotta Stepan Makarov. Messa alle strette, la marina zarista cercò di raggiungere la più sicura Vladivostok, ma venne intercettata e sbaragliata nella battaglia del Mar Giallo. Le poche unità superstiti tornarono a Port Arthur sotto il fuoco delle artiglierie di terra nipponiche.
Lo zar Nikolaj II, vista la gravità della situazione, fu convinto dai suoi ammiragli ad inviare l’intera Flotta del Baltico, cinquanta navi da guerra di base a Kronstadt, nei pressi di San Pietroburgo, per unirsi al resto della flotta del Pacifico ed ingaggiare in battaglia i Giapponesi. Ancora una volta la limitazione geografica fu un fattore pesante da pagare, in particolare quando le distanze erano tali da costringere gli equipaggi ad un lungo viaggio di mesi.
Alle difficoltà logistiche si unirono un certo numero di errori: l’ammiraglio Rožestvenskij, capo supremo della flotta imperiale russa, inserì nel contingente delle obsolete corazzate con lo scopo di ingaggiare la flotta giapponese in uno scontro che si sarebbe rivelato d’altri tempi. La flotta russa partì dal mar Baltico e dopo aver attraversato la Manica, circumnavigato l’Africa, attraversato l’oceano Indiano, passò lo stretto di Malacca e si spinse verso Nord Est per raggiungere il porto marittimo di Vladivostok.
Un viaggio estenuante che indebolì la forza navale zarista già prima del suo arrivo in zona di operazioni. Questi movimenti non rimasero nascosti all’ammiraglio Togo che, avvisato dalle sue spie, ordinò alle sue forze navali di intercettare la flotta russa prima dell’arrivo a Vladivostok.
Lo scontro delle due flotte nei pressi dell’isola di Tsushima
La flotta zarista avrebbe potuto dirigersi verso Vladivostok seguendo rotte diverse, passanti attraverso gli stretti di La Perouse, Tsugaru o Tsushima, quest’ultimo posto sulla rotta tra l’isola giapponese di Kyūshū e la penisola Coreana. L’ammiraglio Rožestvenskij scelse Tsushima, sia per accorciare i tempi sia per poter sfruttare le fitte nebbie che in quella stagione coprivano quella zona di mare.
L’ammiraglio Togo, che si trovava nella base di Pusan (Corea), comprese che i Russi sarebbero transitati attraverso quell’arcipelago e predispose il suo piano di attacco. La flotta russa, dopo aver navigato in oscuramento (con i fanali di via spenti) per l’intera notte era quasi riuscita a superare il blocco dei pattugliatori nipponici ma, al levarsi della nebbia mattutina, due navi ospedale russe furono scoperte dalla squadra di incrociatori giapponesi.
Admiral Tōgō Heihachirō sul ponte della nave da battaglia Mikasa con il suo staff – autore quadro di Tōjō Shōtarō (1865–1929) File:Mikasa-Bridge-Painting-by-Tojo-Shotaro.png – Wikimedia Commons
Il segnale della loro scoperta fu trasmesso all’ammiraglio Togo col telegrafo senza fili, una recente invenzione in dotazione sia alle unità russe che a quelle nipponiche. Sebbene alcuni ufficiali russi consigliarono di disturbare le comunicazioni, l’ammiraglio Rožestvenskij non ritenne necessaria tale azione. In realtà sembrerebbe che l’impianto radiotelegrafico installato sull’Ural, definito “ultrapotente”, costruito da una ditta fornitrice tedesca, fosse in grado di captare solo trasmissioni distanti pochissime miglia, mentre le comunicazioni radiotelegrafiche della flotta russa erano eseguite con i ricetrasmettitori “Marconi” in grado di funzionare fino a 90 miglia. Questo primo fattore tecnico influenzò non poco l’esito della battaglia che stava per scatenarsi, creando ritardi inaccettabili nelle comunicazioni di coordinamento.
La rotta delle navi russe era verso N-NE e Togo ordinò alla sua squadra navale di accostare sulla stessa rotta dei russi. Le due linee di corazzate si portarono a circa 6.000 metri e cominciarono a sparare con i potenti cannoni. La flotta giapponese era più addestrata al combattimento e fu in grado di colpire le unità navali russe con grande precisione e maggiore frequenza. La superiorità nipponica era anche legata al tipo di munizionamento progettato per esplodere a contatto contro le infrastrutture delle navi mentre i Russi usavano degli obsoleti proiettili perforanti.
Una curiosità: tra le navi giapponesi in azione a Tsushima ve ne erano alcune di matrice italiana, la Kasuga e la Nisshin, due incrociatori corazzati classe “Garibaldi”, progettati e costruiti in Italia dalla Ansaldo di Genova-Sestri a partire dal 1898.
foto della nave Aurora nel porto di Manila che mostra ancora i danni subiti dopo la battaglia, 1905 – autore sconosciuto –
Aurora Battle Damage Manila 1905 – A.jpg – Wikimedia Commons
Inutile dire che la superiorità nipponica fu preponderante, soprattutto nel confronto della velocità di trasferimento. I Russi procedevano ad una velocità massima di otto nodi (a causa delle carene che erano state pesantemente colonizzate dalle incrostazioni marine formatesi durante il loro lungo viaggi) mentre la flotta giapponese poteva raggiungere i sedici nodi. Questo comportò che in poco tempo la linea di battaglia russa, meno veloce e meno manovriera, si spezzò.
Fino alla sera del 28 maggio le navi russe furono avversate dai giapponesi; tra di esse anche un vecchio incrociatore, il Dimitri Donskoy, comandato dal capitano Ivan Lebedev, che combatté con strenuità contro sei incrociatori nipponici. Sopravvisse al fuoco nemico fino al giorno successivo quando, a causa degli ingenti danni, decise di autoaffondarsi.
Durante la battaglia di Tsushima, l’intera Flotta Russa del Baltico fu persa, mentre i giapponesi persero solo tre torpediniere.
La battaglia segnò la definitiva sconfitta delle aspirazioni russe nel Pacifico e la Russia, grazie alla mediazione del Presidente USA Theodore Roosevelt, sottoscrisse la pace di Portsmouth, abbandonando la Corea alla sfera d’influenza giapponese.
Storicamente la battaglia di Tsushima fu l’ultimo scontro fra le vecchie e lente corazzate non monocalibro e dimostrò la fattibilità di un combattimento con grossi calibri ingaggiato a grande distanza. Le vecchie corazzate stavano per essere sostituite da un nuovo tipo di navi, più veloci e monocalibro, tra l’altro ideate da un progettista italiano Vittorio Cuniberti. Queste unità navali, messe in linea per prime dalla UK Royal Navy, vennero in seguito denominate Dreadnought, dal nome della prima unità della serie. La guerra in mare stava nuovamente cambiando.
Andrea Mucedola
in anteprima la nave da battaglia imperiale russa Imperator Nikolai I dopo la battaglia di Tsushima, 1905 – Fonte Архив фотографий кораблей русского и советского ВМФ ImperatorNikolaiI1905.jpg – Wikimedia Commons
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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