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Vediamo che tempo fa o farà

Diamo un’occhiata al tempo meteorologico

Meteo facile per tutti: vediamo che tempo fa o farà prossimamente con un insieme di link per aggiornarvi in tempo reale sulle condizioni meteorologiche locali e marine 

  Address: OCEAN4FUTURE

Dove stiamo andando? Ipotesi e speranze

tempo di lettura: 9 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Cambiamenti climatici, sfruttamento eccessivo delle risorse

 

Cambiamenti globali?
Nonostante non esistano prove unanimemente condivise che suffraghino la tesi di un cambiamento globale del clima causato dall’influenza antropica, gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi anni si sono osservate delle variazioni statistiche dei fenomeni naturali che hanno talvolta generato emergenze umanitarie. Dal punto di vista fisico i parametri fisici dell’atmosfera hanno causato un sensibile innalzamento della temperatura del mare. Dal punto di vista meteorologico questo ha comportato e causerà un aumento dell’evaporazione e quindi dell’umidità delle masse umide in atmosfera favorendo lo sviluppo di uragani e cicloni nelle aree tropicali con gravi danni per le economie locali.

Un altro fenomeno osservato è il rapido scioglimento dei ghiacci dei poli che sta portando  in certe regioni un lento innalzamento del livello dei mari ed un arretramento di circa quattordici chilometri all’anno dei ghiacciai che un tempo erano considerati perenni. Il conseguente raffreddamento delle acque nel nord dell’Oceano Atlantico sta modificando la temperatura superficiale delle acque, un fattore non trascurabile in quanto potrebbe venire a mancare la stabilizzazione del clima alle nostre latitudini. 

Quale è la causa predominante?
Tutto questo viene attribuito da molti scienziati alle maggiori emissioni di CO2 in atmosfera, iniziate in Era industriale e poi incrementate negli anni dall’aumento della popolazione mondiale e delle sue attività. Ma esistono altre teorie in merito all’andamento climatico che hanno anch’esse molti estimatori (e denigratori). Di fatto, studiando i carotaggi dei ghiacciai, si è visto che nei millenni gli andamenti climatici si sono alternati, anche senza la presenza nociva dell’Uomo.

J.R. Petit, J. Jouzel. et. al. Climate and atmospheric history of the past 420 000 years from the Vostok ice core in Antarctica, Nature 399 (3 June), pp 429-436, 1999 – GRID UNEP

Le variazioni dei livelli di CO2 e delle temperature ricavate dai carotaggi in Siberia mostrano che il pianeta ha subito negli ultimi 400.000 anni una alternanza di periodi freddi (piccole glaciazioni) e di periodi torridi, tutti legati a variazioni naturali dei livelli di anidride carbonica. Dal grafico si evince che il trend positivo delle temperature a noi più vicino iniziò proprio con l’era industriale. Qualunque sia la causa, naturale o indotta, il trend esiste e dobbiamo essere pronti a sopravvivere ad un futuro in cui la temperatura media del pianeta salirà. La novità sarà però il numero di abitanti del pianeta che si avvicinerà per la prima volta ad undici miliardi, richiedendo sempre più acqua e cibo per non estinguerci. Certamente l’aumento delle temperature e la desertificazione di ampie aree geografiche non faciliterà il loro soddisfacimento e creerà movimenti migratori mai visti nella storia umana.

A chi dare ragione? 

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è CLIMA-640px-Recent_1990-2007_and_projected_2000-2100_global_emissions_of_carbon_dioxide_and_atmospheric_concentrations_under_five_emissions_scenarios_USGCRP.png

Emissioni globali recenti (1990-2007) e previste (2000-2100) di anidride carbonica e concentrazioni atmosferiche in cinque differenti scenari di emissione (USGCRP) – References: Le Quéré, C., et al., 14 June 2010: Recent trends in CO2 emissions,Recent (1990-2007) and projected (2000-2100) global emissions of carbon dioxide and atmospheric concentrations under five emissions scenarios (USGCRP).png – Wikimedia Commons

Cerchiamo di fare chiarezza
I cambiamenti climatici, in genere apparentemente lentissimi, sono stati evidenziati dalla maggiore informazione mediatica che ne ha evidenziato gli aspetti catastrofici; dai dati disponibili si è visto che le stagioni stanno modificando il loro andamento e le temperature medie esterne e del mare in alcune aree sono sempre più elevate. Gli effetti più visibili sono un’estremizzazione di tutti quei fenomeni burrascosi, un tempo rari alle latitudini temperate, che hanno comportato danni ingenti alle colture e la desertificazione di vasti territori.

Quest’ultima, un tempo limitata a determinate latitudini, ora avanza in molte regioni terrestri, comportando gravissimi disagi a tante popolazioni da tempo in condizioni di sopravvivenza critiche. Di fatto, le vere emergenze del futuro non saranno dovute alla mancanza di fonti energetiche ma alla indisponibilità di acqua per tutti ed all’impossibilita’ di nutrire centinaia di milioni di persone. Si assisterà sempre più ad emigrazioni di massa verso aree del mondo più fortunate che difficilmente potranno essere assorbite. Nelle regioni, economicamente più abbienti, l’aumentata variabilità atmosferica comporterà danni economici importanti che avranno ricadute sui mercati, sugli investimenti, sulle compagnie di assicurazione nonché sulle attività di produzione di beni primari.

Un rapporto del 2005, dal titolo Meeting The Climate Challenge [1] chiese al primo ministro britannico Tony Blair, presidente di turno dell’Unione Europea e del G8, di intraprendere, nell’anno in cui il protocollo di Kyoto veniva finalmente reso esecutivo, azioni efficaci per far fronte al cambiamento climatico. Azioni da perpetuarsi sia nei Paesi maggiormente industrializzati sia in quelli con maggiore sviluppo d emografico. Secondo alcuni scienziati, il pericolo immediato, a torto o ragione, è rappresentato dall’aumento dei gas serra in atmosfera che favorirebbero un aumento del livello di CO2 tale da comportare variazioni della temperatura globale significativi.

Sempre secondo lo studio, il problema non sarebbe l’aumento del valore ma che potrebbe non esserci  un punto di ritorno, ovvero ci avvicineremmo ad un indice di non sopravvivenza per la nostra specie.

Nel documento venivano analizzati tutti gli aspetti di trasformazione in atto e le possibili conseguenze come gli ingenti danni all’agricoltura, le gravi siccità nelle aree depresse del pianeta, l’aumento delle malattie infettive (con relative pandemie), la rapida scomparsa delle foreste pluviali, l’aumento della frequenza di eventi catastrofici. Tra di essi lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia che potrebbe causare un mutamento delle caratteristiche termiche della corrente del Golfo (e quindi del clima dell’Oceano Atlantico) che potrebbe essere l’incipit … di una nuova glaciazione. Siete confusi? in realtà dovete pensare che tutto ciò che avviene nel pianeta innesca a catena delle variazioni che possono rompere degli equilibri che ci consentono di vivere sulla Terra. 

De facto, gli aumenti della temperatura globale comprometteranno le barriere coralline e causeranno danni irreversibili agli ecosistemi terrestri. Il rapporto invitava tutti i Paesi del G8 ad investire in sorgenti di fonti rinnovabili per ottenere almeno il 25% del totale di elettricità necessaria da energie alternative entro il 2025; inoltre richiedeva di raddoppiare gli investimenti per la ricerca su tecnologie a bassa emissione di CO2 entro il 2010.

Un altro importante studio [2] da menzionare fu il Climate Change Future (CCF) che, prendendo spunto dalle analisi contenute nei rapporti del IPCC, basava le sue teorie su scenari di lungo termine con un graduale riscaldamento terrestre ed un aumento di situazioni meteorologiche estreme con una crescita demografica ed economica costante e non limitata per i consumi energetici. Si affrontavano anche le conseguenze sulla salute umana con un aumento deciso della malaria, del West Nile, e delle Lyme desease [3] comportanti spese sociali critiche per molte aree geografiche. In entrambi gli scenari i modelli prevedevano un aumento dei fenomeni atmosferici eccezionali con un’escalation drammatica dei fenomeni già preannunciata negli studi precedenti.

Recentemente, per dare man forte alle teorie scientifiche, si sono uniti studi economici che cercano di fare leva sui policy maker evidenziando le implicazioni finanziarie a seguito degli eventi catastrofici. In particolare emerge che, negli anni ’50, gli eventi catastrofici causarono, solo negli Stati Uniti, danni per una media di quattro miliardi di dollari/all’anno: tale media è salita  negli anni ’90 fino ai 46 miliardi di dollari annui. Nell’anno 2004 tale valore ha raggiunto i 107 miliardi di dollari ed è stato nuovamente superato a causa degli uragani Katrina  e Rita del 2005.

Non c’è da stare allegri … ma cosa stiamo facendo per contrastare questo andamento?
O meglio che cosa possiamo fare? Il problema non è semplice perché di fatto i cambiamenti climatici sono sempre esistiti e fanno parte dell’andamento geologico della Terra. Quello che possiamo fare è cercare di rallentare le concause che contribuiscono a catalizzare il cambiamento. Innanzitutto investire nelle energie rinnovabili. Se pensiamo che la produzione di energia termica ed elettrica è la fonte principale di produzione dei gas serra in Europa (la seconda causa sono i trasporti).  Fantasia? … non proprio andate a leggere i grafici sulle emissioni prodotte per settore e sulla loro evoluzione, vedi il Greenhouse Gas Data Viewer of the European Environment Agency.

Ma cosa possiamo fare?
Molto di più di quanto pensiamo. Scelte politiche ed economiche possono essere indirizzate combattendo cieche logiche di profitto che non tengono conto dell’insieme. Si è visto che la maggiore attenzione verso il problema ha favorito lo sviluppo di sistemi di produzione di energie alternative come quelli eolici, solari e delle maree. Ma vediamo alcuni campi in cui, a mio avviso, si può fare molto:

a. risparmio energetico
Ci sono due modi per risparmiare risorse: la ricerca tecnologica al fine di trovare nuove soluzioni eco compatibili e l’adattamento del nostro modo di vivere e di affrontare i problemi. Si parla spesso, con un brutto termine, efficentamento, di procedure per ottenere una “miglior efficienza energetica” ovvero ridurre la quantità di elettricità necessaria per far funzionare i nostri elettrodomestici e gli impianti industriali. I nuovi elettrodomestici sono identificati da lettere che ci identificano le classi di consumo e la loro scelta è un investimento per il futuro. Inoltre, nelle nostre case dobbiamo usare sistemi di isolamento termico (come doppi vetri, pareti isolanti) che riducono le dispersioni e richiedono quindi una minore quantità di energia termica per il riscaldamento.

Se si vuole poi contribuire attivamente ci sono piccoli accorgimenti che possono aiutare significativamente alla riduzione dei consumi e quindi del dispendio energetico. Vi invito a visitare l’interessante sito dell´Energy Saving Trust che vi fornirà molti suggerimenti utili. Tenete conto che, come affermato dal Consiglio Europeo per un´Economia ad Efficienza Energetica (ECEEE), l´efficienza energetica comporta che, col tempo, i combustibili fossili e le altre risorse energetiche non sostenibili siano rimpiazzati da quelle rinnovabili, in accordo con una visione ecologicamente, economicamente e socialmente responsabile.Facile a dirsi ma complicato ad ottenere in breve tempo.

b. Riduzione delle emissioni
Come ho accennato il settore dei trasporti è il secondo principale responsabile delle emissioni di gas serra per cui la riduzione del suo impatto è necessaria. Non si tratta solo di diminuire l’uso dell’automobile ma di sviluppare una nuova coscienza sociale, di benessere di tutti e non personale. Ad esempio il telelavoro è una soluzione pratica che non richiede di spostarsi da casa ai luoghi di lavoro. Anche l’acquisto di materie prime locali riduce gli effetti del trasporto di beni (ed anche i costi). Naturalmente bisogna essere realistici: il mercato globale richiederà comunque l’uso di mezzi di trasporto (più o meno compatibili) ma questo non significa che non bisogna provare a trovare soluzioni nuove e più ecocompatibili. Un altro fattore interessante, non da tutti conosciuto, è l’impatto dovuto all’agricoltura ed agli allevamenti del bestiame. Alcuni studi hanno dimostrato che una modifica della dieta (come il limitare dei consumi di carne) potrebbe influenzare le emissioni di CO2. Ciò è dovuto al fatto che il bestiame (i bovini in particolare) emettono metano attraverso i gas da digestione e le deiezioni per cui riducendo il lor allevamento si potrebbe ottenere una riduzione di gas … Non sono vegano e credo che l’Uomo sia un’animale naturalmente onnivoro (bilanciando nella sua alimentazione i differenti cibi) ma una limitazione di certi alimenti (come le carni rosse il cui consumo in certe aree del pianeta è spropositato) potrebbe portare vantaggi non solo in termini di salute (riduzione malattie cardiovascolari) ma anche per l’ambiente. Meglio limitarsi che buttarsi in esperimenti innaturali di consumo di carni sintetiche.

Altre fonti non trascurabili di incremento dei gas serra in agricoltura sono:
– l´uso di fertilizzanti a base di azoto;
– l´uso di combustibili fossili;
– la deforestazione per ampliare le superfici adibite a pascolo come sta avvenendo in Brasile.

c. utilizzo di emissioni negative
E’ possibile aiutare il controllo dei gas serra utilizzando la natura. Si parla di sviluppo dei emissioni negative. L´IPCC, nel suo quarto report, considera le emissioni negative un passaggio necessario negli scenari di sviluppo di lungo periodo. La ricerca é condotta sulla riduzione di anidride carbonica (Carbon Dioxide Removal o geo-ingegneria del carbonio). Ad esempio con la riforestazione, la cattura delle particelle di carbonio o la fertilizzazione degli oceani trasferendo in mare il concetto di cattura del carbonio dalla CO2 delle piante terrestri in crescita tramite le micro alghe del fitoplancton che sono responsabili di almeno la metà del processo di fotosintesi su scala globale e quindi hanno già influenza sulla quantità di CO2 nell’atmosfera. Ad oggi si è notato come queste micro alghe sono in diminuzione e all’IPCC di Bangkok  è stato proposto di fertilizzare gli oceani immettendo ferro. Un uovo di Colombo che presenta però possibili controindicazioni e costi improponibili. Lo scambio delle emissioni di carbonio rientra nelle soluzioni con emissioni negative e si basa sulla produzione di un quantitativo fisso di carbonio per nazione. Se una nazione ne emette di meno di quanto stabilito, può vendere l´eccedenza ad altre nazioni che ne hanno bisogno. Stabilendo un prezzo per le emissioni di carbonio, è quindi possibile disincentivarne la produzione. Il lato negativo è che chi ha maggiore disponibilità economica può continuare a produrre gas serra non curante delle conseguenze a medio-lungo termine. E’ il caso delle grande potenze, in particolare orientali e sud americane.

Attraverso un uso consapevole delle risorse è quindi possibile ridurre l’impatto. Certo non a costo zero; dovremo incominciare a rinunciare a qualcosa (in maniera sostenibile) e soprattutto essere più attenti all’ambiente. Dobbiamo incominciare a pensare al futuro cercando di proteggere il pianeta dal nostro egoismo ottimizzando la nostra spesa energetica globale. In questo il mare può essere un potente alleato: possiamo ricavarne energia pulita a costo minimo e ridurre l’impatto dei combustibili fossili. E’ una battaglia che possiamo e dobbiamo vincere ragionando con il cervello e non con il cuore. 

foto in anteprima  credit @andrea mucedola

 

[1] The climate challenge, da Michael McCarthy, Environment Editor – gennaio 2005

[2] Lo studio Climate Change Future (CCF) esamina i costi esistenti e futuri derivanti dal cambio del clima e accredita alle compagnie assicurative un ruolo primario nella valutazione dei rischi associati , in particolare nella gestione del dopo evento relativamente agli effetti, alle contaminazioni, alla gestione della ricostruzione  delle strutture.

[3] La malaria attualmente uccide oltre 3000 bambini al giorno solo in Africa ed il virus del West Nile è costato agli Stati Uniti, nel 1999, oltre 500 milioni di dollari. Inoltre, per comprendere che la problematica non può essere confinata ai Paesi del terzo mondo, nel Nord America la zecca responsabile del Lyme disease sta aumentando velocemente la sua distribuzione a causa delle cosiddette Indian Summer ovvero di inverni insolitamente caldi. Lo studio mostra che l’habitat favorevole alla riproduzione della zecca aumenterà del 213% nel 2080.

 

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