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Il pensiero tattico di Nelson a Trafalgar

tempo di lettura: 13 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XIX SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: Nelson

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Il 9 Ottobre 1805, a bordo della HMS Victory – in quel momento al largo di Cadice – Horatio Nelson redasse un famoso memorandum (British Library, Add MS 37953) indirizzato al suo secondo in comando, ammiraglio Cuthbert Collingwood, in cui egli esplicitava le idee tattiche in accordo alle quali, in capo a dodici giorni, avrebbe condotto l’attacco alla Flotta combinata franco-spagnola a Trafalgar.

HMS Victory attacca la Redoutable a Trafalgar

Il summenzionato memorandum, di cui offro la traduzione integrale, così esplicitava il pensiero tattico nelsoniano:
Segreto
Ritenendo sia quasi impossibile condurre una flotta di quaranta navi di linea in una singola linea di battaglia con venti variabili, tempo fosco e con tutte le altre circostanze che possono verificarsi, senza un dispendio di tempo tale che andrebbe probabilmente perduta l’occasione di ingaggiare a battaglia il nemico in modo da rendere lo scontro decisivo, ho pertanto deciso di mantenere la flotta in quell’ordine di navigazione (con l’eccezione del Primo e del Secondo in Comando) per cui l’ordine di navigazione corrisponda all’ordine di battaglia, schierando pertanto la flotta in due linee [di fila] di sedici navi ciascuna, con una Squadra Avanzata [per ciascuna linea] di otto dei vascelli a due ponti più veloci che potranno sempre, se necessario, costituire una linea di ventiquattro vele lungo qualsiasi direttrice il Comandante in Capo potrà dirigerli.

Il Secondo in Comando, dopo che i miei intendimenti gli saranno stati resi noti, avrà il totale comando della sua linea per condurre l’attacco contro il nemico e dovrà dar seguito al primo urto sino a quando [il nemico] non sia stato catturato o distrutto. Se la flotta nemica dovesse essere avvistata sopravvento, in linea di battaglia e [in una posizione] tale per cui le due linee e la Squadra Avanzata possano raggiungerlo, [la loro linea] risulterà probabilmente così estesa tanto che l’avanguardia non sarà in grado di soccorrere la retroguardia. Pertanto dovrò probabilmente segnalare al Secondo in Comando di tagliare [la linea] all’altezza del loro dodicesimo vascello contando dalla retroguardia (o qualsivoglia altra nave sia in grado di raggiungere, nel caso non sia in grado di portarsi in posizione così avanzata); la mia linea farà breccia all’altezza del loro centro e la Squadra Avanzata dovrà tagliare [la loro linea] due, tre o quattro navi avanti al centro tanto da garantire di serrare sul loro Comandante in Capo, alla cui cattura dovrà essere diretto ogni sforzo.
La situazione generale della flotta britannica dovrà essere quella di riuscire a sopraffare la flotta nemica da due a tre navi a proravia del loro Comandante in Capo – a patto che si trovi al centro – sino alla retroguardia. Suppongo pertanto che venti vascelli della linea nemica rimarranno intoccati, ma occorrerà loro del tempo prima che possano manovrare in modo da portare le loro forze compatte ad attaccare una qualsiasi sezione della flotta britannica impegnata nello scontro, od a soccorrere le loro stesse navi; cosa che non potrebbero fare senza mescolarsi alle navi già ingaggiate.
Qualcosa deve essere lasciato al caso; in una battaglia navale, più che in ogni altra cosa, nulla è certo. I proietti spezzeranno alberi e pennoni di amici e nemici; ma guardo fiducioso alla possibilità di conseguire la vittoria prima che l’avanguardia nemica possa soccorrere la loro retroguardia, e che per allora la flotta britannica sarà per la maggior parte pronta a ricevere [l’attacco] delle loro venti navi di linea, o ad inseguirle nel caso decidessero di rompere il contatto.
Se l’avanguardia del nemico dovesse orzare, allora le navi catturate dovranno portarsi sottovento alla flotta britannica; se il nemico dovesse poggiare, gli inglesi dovranno posizionarsi fra il nemico e le navi catturate e quelle britanniche disalberate; dovesse il nemico serrare invece le distanze, non ho timori quanto al risultato.

Il Secondo in Comando dirigerà i movimenti della sua linea in ogni possibile frangente, mantenendola tanto compatta quanto la natura delle circostanze lo permetterà. I [singoli] Capitani dovranno guardare alla linea loro assegnata come al loro punto di ritrovo. Ma nel caso in cui i segnali non dovessero essere ben visibili, o perfettamente intelligibili, nessun capitano commetterà un errore se condurrà la propria nave al fianco di una nemica. Le [due] divisioni della flotta britannica saranno condotte quasi a distanza di tiro dal centro nemico. Allora molto probabilmente sarà dato il segnale alla linea sottovento di poggiare assieme [in successione] e spiegare al vento tutte le vele, comprese quelle di manovra, così da raggiungere il più velocemente possibile la linea nemica e tagliarla all’altezza della dodicesima nave a partire dalla retroguardia nemica. Alcune navi potrebbero non fare breccia nel punto esatto, ma saranno sempre a portata di mano per assistere i loro compagni; e se qualcheduna dovesse essere sospinta a doppiare la retroguardia nemica, essa porterà a termine con successo lo scontro con le dodici navi del nemico. Nel caso in cui il nemico dovesse orzare assieme, oppure poggiare tenendo il vento ai quadranti di poppa, ciò nondimeno le dodici navi costituenti, nella loro originaria posizione, la retroguardia nemica dovranno costituire l’obiettivo del Comandante in Capo. La qual cosa ci si attende a malapena, dal momento che l’intero controllo della linea sottovento, dopo che le intenzione del Comandante in Capo siano state rese note, dovrà essere lasciata all’Ammiraglio [Collingwood] comandante la linea.
Il resto della flotta nemica, di 34 vele, dovrà essere lasciato alla gestione del Comandante in Capo, il quale si premurerà che i movimenti del Secondo in Comando siano intralciati il meno possibile.

il memorandum di Nelson del 9 Ottobre 1805 (British Library, Add MS 37953)

A corredo di questo memorandum esiste altresì uno schizzo grafico per mano dello stesso Nelson ed indirizzato ai suoi capitani, di cui si riporta l’immagine (NMM Greenwich, BRP/6/1). La parte superiore del disegno è di più difficile intelligibilità, rappresentando probabilmente – ma i pareri, in tale frangente, sono discordanti – la difficoltà a pervenire ad una azione decisiva nel caso di un attacco condotto da una singola linea di fila. Nella metà inferiore il concetto tattico che abbiamo già visto illustrato, a parole, da Nelson trova la sua immediata e più limpida esplicitazione grafica: la flotta nemica schierata in una singola linea di fila (la linea continua tracciata in diagonale dall’ammiraglio) viene infatti rappresentata all’atto di essere tagliata trasversalmente dalle due divisioni britanniche, una sopravvento all’altra, rappresentate con due profondi tratti di penna.

lo schizzo tracciato da Nelson ad illustrazione del concetto tattico di Trafalgar (fronte-retro; NMM Greenwich, BRP/6/1)

Quanto ai capisaldi tattici del piano di battaglia di Nelson, già Brian Tunstall (Naval Warfare in the Age of Sail, 1990, p. 250) osservava che l’autonomia di comando riconosciuta a Collingwood, l’idea di mascherare sino all’ultimo momento la direttrice di attacco alzando il segnale convenuto solo una volta giunti a distanza di tiro dal centro nemico, nonché il concetto di concentrazione delle forze disponibili contro la sola retroguardia avversaria non costituiscono certo delle intuizioni originali. Quest’ultimo punto, tuttavia, costituendo il cardine del piano di battaglia di Trafalgar, nonché ponendosi come apice di una lunghissima elaborazione teorica, merita una più puntuale esplicitazione.

È corretto affermare che tutta la cinematica navale dell’età velica sia dominata dalla preoccupazione di come condurre ad effetto la concentrazione delle proprie forze contro una sola sezione delle nemiche, così da annientarla en detail prima che essa possa essere soccorsa dal resto della flotta: già Paul Hoste, nel suo Art des Armées navales ou traité des évolutions del 1697, osservava che uno dei vantaggi nella posizione sopravvento al nemico era costituito dalla libertà di movimento che permetteva all’attaccante di convergere contro la retroguardia avversaria, doppiandola e così procedendo ad attaccarla da ambo i lati.

Le motivazioni alla base della scelta della retroguardia, come punto della linea nemica su cui far gravitare il proprio attacco, sono già state lucidamente messe in risalto dal memorandum nelsoniano: per una squadra schierata in linea di fila, ed in navigazione di bolina, prestare soccorso alle navi che chiudevano la propria formazione era sempre questione di manovre lunghe e laboriose. Esaminiamo la problematica più nello specifico: virare di bordo in prora avrebbe comportato un ulteriore rallentamento della manovra, in considerazione della necessità di spingere la prua nel letto del vento; cambiare di mura passando con la poppa per il letto del vento, per contro, avrebbe potuto sospingere il centro e l’avanguardia sottovento alla propria retroguardia, complicando ulteriormente ogni tentativo di prestarle soccorso.

Nelson prima della battaglia di Trafalgar in un dipinto del 1854 di George Lucy Good.

Quanto alla natura della manovra tattica da prediligersi, un’accostata per contromarcia – in cui ogni unità virava di bordo in successione – avrebbe conservato l’ordine della linea di fila al prezzo di un sensibile prolungamento dei tempi richiesti dal completamento di una simile evoluzione; un’accostata ad un tempo, per contro, avrebbe posto più velocemente le navi lungo la direttrice di soccorso alla propria avanguardia, ma al prezzo di invertire l’ordine della propria linea di fila. Considerando inoltre la naturale tendenza a scarrocciare di ogni unità, in una misura variabile perché dipendente dalle specifiche linee di scafo, dall’estensione dell’opera morta ed in definitiva dalle qualità nautiche del singolo bastimento, un’accostata ad un tempo avrebbe sempre posto il rischio di gettare in confusione la linea di fila, disarticolandola e riducendo il centro e l’avanguardia ad una massa disordinata costretta a gettarsi nella mischia alla spicciolata, invece di far pesare il proprio intervento in modo coordinato.

Anche l’attaccante, tuttavia, risentiva di evidenti svantaggi nel portare a termine una simile azione: la concentrazione delle proprie forze contro la retroguardia nemica implicava infatti che l’attaccante orientasse la prua verso la sezione prescelta della linea avversaria, esponendosi di conseguenza al micidiale tiro d’infilata dei difensori senza poter rispondere al fuoco sino a quando non fosse giunto murata contro murata col proprio obiettivo. Data la propensione delle forze navali francesi a posizionarsi sottovento e sparare alto, sfruttando in tal senso anche la favorevole inclinazione trasversale delle proprie unità (la murata rivolta verso l’attaccante era infatti sollevata per via della stessa pressione esercitata dal vento, garantendo ai cannoni una maggiore gittata), ciò si traduceva regolarmente in una vera e propria gragnuola di fuoco riversata contro l’alberatura delle unità inglesi: le palle finivano per tranciare alberi, pennoni e manovre e, dal momento che i vascelli di maggiori dimensioni raramente eccedevano la velocità di quattro o cinque nodi anche in condizioni di vento teso, orientare la prua contro il nemico significava doverne sostenere il fuoco di infilata anche per lungo tempo. In tali circostanze la permanenza sotto il tiro nemico era tale da sortire danni all’alberatura abbastanza consistenti da pregiudicare il completamento della manovra d’attacco, permettendo al difensore di sganciarsi. Non stupisce, pertanto, che sebbene l’attacco portato contro la retroguardia avversaria fosse stato ampiamente teorizzato ed esaltato sul piano teorico, esso risultasse molto meno praticato sul campo: in generale un comandante prudente, una volta guadagnata la posizione di sopravvento, preferiva livellare la propria linea da battaglia a quella avversaria per poi portarla a serrare le distanze lascando metodicamente, di modo da mantenere l’avversario sempre al traverso dei propri vascelli. Ciò evitava che l’attaccante fosse soggetto al fuoco d’infilata e, al contempo, permetteva di continuare a fare fuoco sul difensore: un simile approccio aveva il pregio di limitare i danni strutturali e le perdite in termini di vite umane, ma scontri giocati su simili simmetrie raramente sortivano effetti decisivi. Le battaglie di Tolone (1744), Minorca (1756) e Chesapeake (1781) sono paradigmatiche della tendenza propria delle tattiche lineari a frustrare ogni tentativo da parte dell’attaccante di conseguire una concentrazione di forze e quindi una decisione: l’azione di fuoco è diffusa lungo l’intera linea da battaglia e conseguentemente desultoria. Un risultato tutt’altro decisivo al livello tattico, peraltro, non escludeva la sconfitta al livello strategico: la battaglia di Chesapeake, e le conseguenze che ebbe nel precipitare la resa di Cornwallis a Yorktown, è in tal senso rivelatrice.

Scontro fra le fregate HMS Shannon e USS Chesapeake durante la guerra anglo-americana del 1812

Una revisione critica della condotta delle operazioni da parte della Royal Navy nel corso della Rivoluzione americana ebbe, quantomeno, la conseguenza di riaffermare la necessità di tattiche in grado di precipitare uno scontro decisivo con un nemico per l’ordinario sempre elusivo: giova infatti ribadire che al centro del pensiero tattico britannico vi era sempre stato il dilemma di come ingaggiare in battaglia forze – quelle francesi – generalmente in inferiorità numerica ed ostinatamente restie a farsi coinvolgere in una “pitched battle”, ovvero uno scontro a distanza serrata. L’Essay on Naval Tactics. Systematical and Historical di John Clerk of Eldin (la cui prima edizione è del 1790) segnala un momento importante nello sviluppo di questo dibattito dottrinario, soprattutto per la sua natura di libro a tesi: Clerk non si proponeva l’obiettivo, come già Hoste un secolo prima, di offrire una trattazione sistematica della tattica navale nella sua interezza, ma prendendo atto dell’impasse tattica ripetutamente verificatasi nel corso dell’ultima guerra proponeva dei metodi atti al suo superamento. La concentrazione di forze contro la retroguardia del nemico e la necessità di ingaggiarlo da una posizione sottovento, onde precludergli ogni possibilità di fuga, figurano prominenti nel suo trattato. Nell’edizione riveduta e notevolmente accresciuta del 1804, il capitolo sul “Mode of Attack proposed” (pp. 123-147) verte esclusivamente sul come concentrare le proprie forze contro la retroguardia nemica: in esso Clerk suggerisce di tagliare fuori, più modestamente, le ultime tre unità della retroguardia avversaria, contro le dodici di Nelson. La corposa Part II del suo trattato (pp. 167-200) è invece interamente dedicata ai vantaggi dell’ingaggiare battaglia sottovento al nemico, e non sopravvento come da migliore tradizione britannica.

È indiscutibile che nelle elaborazioni tattiche di Clerk pesi il precedente costituito dalle campagne dell’amm. George Rodney nel corso della Rivoluzione americana, costituendo la sua azione di comando una delle poche luci fra le molte ombre di quella guerra. Nella Battaglia di Capo San Vincenzo (o Moonlight Battle) del 1780 egli aveva affrontato con decisione la squadra di don Juan de Lángara infliggendole pesantissime perdite (4 vascelli catturati ed 1 distrutto su 9). È vero che, a fronte delle 18 navi di linea di Rodney, gli spagnoli erano in grave inferiorità numerica, cosa che permetteva agli inglesi amplissimi margini di manovra; ma rimane rimarchevole che, a battaglia ingaggiata, l’ammiraglio avesse ammainato il segnale di “Linea di fronte” per issare quello di “Caccia generale”, dirigendo le proprie navi a fare breccia attraverso la formazione nemica – apparentemente composta da 11 navi di linea – per posizionarle il più velocemente possibile sottovento a Lángara, d’onde avrebbero potuto tagliarne la ritirata. Quattro mesi dopo, conclusasi la Battaglia della Martinica, così lo stesso Rodney descrive nel suo dispaccio ufficiale quale genere di attacco avesse divisato: “Quarantacinque minuti dopo le sei del mattino resi noto mediante pubblico segnale che la mia intenzione era quella di attaccare la retroguardia nemica con tutte le mie forze; a tale segnale rispose ogni nave della flotta” (The Naval Chronicle, vol. 25, January-June 1811, p. 402).

Malauguratamente per gli Inglesi il piano si sarebbe risolto in un nulla di fatto a causa della generale impreparazione della flotta.

Ancora più paradigmatica per la maturazione dei nuovi orientamenti tattici di cui qui si dà conto risultò essere la Battaglia dei Saintes di due anni più tardi, quantunque le peculiari condizioni in cui venne combattuta costituissero più il frutto del caso, che non della volontà del comandante in capo formulata in un piano di battaglia. In tale circostanza Rodney si trovò ad ingaggiare da posizione sottovento la squadra francese, avendo De Grasse battuto gli Inglesi nel guadagnare il favore del vento; mentre le due squadre sfilavano di controbordo, cannoneggiandosi, una incertezza francese nell’esecuzione degli ordini impartiti dal comandante in capo offrì all’avversario l’occasione della giornata. De Grasse segnalò alle proprie unità di poggiare, prima a un tempo e quindi in successione: le due unità agli estremi della linea francese mancarono di rispondere al segnale, altre obbedirono ma nell’eseguire la manovra si trovarono ad avere le vele a collo, rallentando l’andatura. Ciò ebbe la conseguenza di aprire alcuni varchi nella linea di fila francese che vennero prontamente sfruttati dagli inglesi: la retroguardia di Hood tagliò la linea francese fra l’avanguardia ed il centro; il centro di Rodney, a sua volta, tagliò fuori la retroguardia francese dal proprio centro. Pur nel suo carattere di improvvisazione tattica basata su di un errore di manovra francese, la felice intuizione di Rodney e Hood avrebbe comportato la distruzione di un vascello nemico e la cattura di altri quattro.

battaglia del glorioso I giugno, 1794

Ciò che in Rodney si riscontra ancora sbozzato, imperfettamente sviluppato, sarebbe stato condotto da Richard Howe ad un superiore grado di elaborazione formale e meditata attuazione sul campo, pur mancando ancora del pieno successo. Nella Battaglia del Glorioso Primo Giugno (1794) ritroviamo, durante le manovre preliminari del 30 Maggio, la concentrazione delle forze britanniche contro la retroguardia francese di Villaret de Joyeuse; minaccia prontamente sventata dalla decisione francese di poggiare accostando per contromarcia, così portando l’avanguardia ad interporsi fra gli inglesi e la propria coda in fase di sganciamento. Quindi, il 1 Giugno 1794, con le flotte ora schierate su due linee di fila parallele e su medesime mure, gli inglesi sopravvento ai francesi, si ha il tentativo consapevolmente perseguito da Howe di tagliare la linea avversaria. A tal fine l’ammiraglio inglese può avvalersi del raffinato sistema di segnaletica che egli stesso ha rivoluzionato combinando due segnali, il 34 (passare attraverso la linea nemica) ed il 36 (ogni nave serri indipendentemente sull’opposta nave nemica e la ingaggi): il senso complessivo dell’ordine prescriverebbe ad ogni vascello della linea inglese di poggiare orientando la prua contro la linea nemica, tagliarla, quindi orzare per riformare sottovento la linea di fila, onde precludere a Villaret de Joyeuse la fuga. Purtroppo il senso complessivo dell’ordine è lungi dall’essere a prova di fraintendimento: solo cinque vascelli imitano l’ammiraglia di Howe, la HMS Queen Charlotte, e tagliano la formazione avversaria per poi ingaggiarla sottovento. La maggior parte si limita a serrare sui francesi rimanendo sopravvento, in ottemperanza alla più immediata interpretazione dell’ordine n. 36. Ancora una volta un successo incompleto dovuto ad una imperfetta applicazione di principi tattici in via di progressiva precisazione, che costa ad ogni modo ai francesi l’affondamento di una nave di linea e la cattura di altre sei.

La Battaglia di Trafalgar di William Clarkson Stanfield

Ben si vede, in conclusione, come il piano di battaglia di Nelson a Trafalgar poggi su almeno un venticinquennio di faticosa sperimentazione tattica sul campo, tesa a superare i limiti imposti dalla linea di fila alla ricerca di uno scontro decisivo. In tal senso l’unico originale contributo nelsoniano – in materia di tattica – che rompe con la prassi precedente è quello che prescrive di spiegare tutte le vele al vento (comprese le vele di manovra) per tagliare la linea nemica il più velocemente possibile e a dispetto di ogni rischio di collisione: per contro, nel corso degli scontri precedenti, vediamo spesso prevalere la decisione di terzarolare le vele non solo per ridurre i rischi di collisione, ma anche per mantenere il corretto ordine di successione della linea di fila e pervenire ordinatamente a contatto col nemico. L’obiettivo di Nelson non è solo quello di ridurre il più possibile l’esposizione della testa delle proprie linee al tiro di infilata nemico, ma anche di giungere il più velocemente possibile a guadagnare la posizione sottovento alla Flotta Combinata, donde dare battaglia.

un giovane e promettente Nelson

Al di là delle tecnicalità tattiche, di cui si è sin qui dato conto, sarebbe tuttavia ingeneroso mancare di sottolineare come, al di sopra di ogni raffinato dibattito di cinematica navale, si stagli il genio di Nelson quale chef de guerre: un trascinatore di uomini capace di suscitare un rispetto ed una devozione sconosciuti a Rodney e Howe. E, soprattutto, un comandante dominato da una perfetta chiarezza di visione circa il fine ultimo delle proprie azioni – la distruzione della flotta nemica – e sui mezzi atti a perseguire tale fine: mezzi preparati con ampio anticipo e condivisi coi propri sottoposti, sino a pervenire alla più profonda dimestichezza, da parte della flotta, cogli ordini che si sarebbe trovata ad eseguire il giorno della battaglia. Il discrimine fra una battaglia epocale (ed immensamente celebre anche fra i non addetti ai lavori) come Trafalgar, e scontri relegati ad un puro interesse accademico come quelli della Rivoluzione americana, corre lungo questo ordine di motivazioni.

Marco Mostarda

 

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