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La pesca come risorsa di sopravvivenza per uno sviluppo compatibile – parte I

tempo di lettura: 7 minuti

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livello medio
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ARGOMENTO: PESCA
PERIODO: XXI SECOLO 

AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Sostenibilità
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Uno sviluppo compatibile, e quindi sostenibile sul piano ambientale, economico e sociale: è questo l’obiettivo che interessa tutte le attività produttive dell’uomo e soprattutto quelle primarie, a forte interazione con l’ambiente, anzi che dall’ambiente – dal suo stato, dalla sua qualità, dalle sue risorse – dipendono integralmente. E’ un obiettivo che oggi ci poniamo partendo molto svantaggiati, da un punto in cui la situazione è già in parte compromessa e non è facile fermare tutti i meccanismi che l’hanno resa tale, anche quando individuati.

credit http://bluerevolutionhawaii.blogspot.com/2014_06_01_archive.html

Quello della sostenibilità della pesca non è assolutamente l’unico caso in cui risulta necessario modificare un sistema produttivo, economico e sociale per ripristinare un buono stato ambientale e poi mantenere lo stesso sistema entro i limiti imposti dalla sostenibilità.  Probabilmente non è neanche  il più importante sul pianeta. Basti pensare alle emissioni di anidride carbonica nell’ambiente e agli effetti sui cambiamenti climatici (anche sul mare). Problema ben noto, studiato nelle cause e negli effetti. Nonostante  le conoscenze e i rapporti del Comitato Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici  si continua però a bruciare ogni anno più di 7 miliardi di tonnellate di carbone (il combustibile fossile più inquinante) e ci stiamo avvicinando rapidamente alla soglia del trilione di tonnellate di emissioni di CO2 prodotte complessivamente dall’Ottocento ad oggi, soglia da non superare per evitare gli effetti peggiori che  comporterebbe l’aumento delle temperature globali  oltre i 2 gradi.

Il superamento di questa soglia è prevista nel 2040, tra soli 25 anni,  ma ad oggi non esistono sistemi alternativi per fermare la Cina (che ne brucia da sola oltre la metà), le estrazioni negli USA e l’elettrificazione dell’India. Certo il paragone è fuori scala ma, fatte le debite proporzioni e distinguo, lo schema è sempre lo stesso:  per fare fronte alla crescente domanda energetica (ed obbedire agli enormi interessi collegati) da due secoli si bruciano combustibili fossili, lasciando alle generazioni future il problema del riscaldamento del pianeta. Per rispondere alla domanda del mercato sono state prodotte tonnellate di plastiche per oltre un secolo, preoccupandosi solo recentemente del problema del loro smaltimento e riciclo (quando ormai si trovano isole di plastica negli oceani e micro-frammenti ovunque). Per produrre sempre più pesce, nella ignoranza del problema del sovra sfruttamento, si crea un sistema mondiale di cattura industriale sempre più potente ed efficiente, si investono ingenti capitali che vanno remunerati con incrementi progressivi della produzione, si finanziano intere flotte con fondi pubblici,  per poi dover invertire più o meno bruscamente la politica una volta che il declino degli stock ittici diventa un fenomeno conclamato, e che la inversione di rotta comporta forti impatti socio-economici.

Il problema, limitandoci alla pesca, è oggi quali processi di aggiustamento adottare per ripristinare l’equilibrio delle popolazioni ittiche (alterato non solo nella loro rinnovabilità, ma anche nella catena trofica, nei rapporti preda/predatore, nella alterazione della distribuzione geografica delle specie). E’ un problema complesso che deve fare i conti con situazioni estremamente diversificate in cui non esistono ricette semplici con cui fermare centinaia di migliaia di pescherecci da cui dipendono imprese, lavoratori, economie, mercati. Né in molti casi sarebbe giustificato,  non essendo tutti gli stock nelle medesime condizioni ed avendo i diversi sistemi di cattura un impatto diverso.

 

Quando parliamo di pesca, parliamo di segmenti di flotta e di “mestieri” a diversa intensità e modalità di prelievo, e a specie o gruppi di specie target con diverse caratteristiche biologiche, non tutti in condizioni gravi anche se la tendenza generale è quella descritta. Alcune di queste condizioni poi non sono dovute esclusivamente alla pesca ma anche ad altre fonti di impatto. Alcune specie rispondono rapidamente alle misure tecniche e di gestione adottate per la loro protezione (vedi la spettacolare ripresa dello stock del tonno rosso in Mediterraneo), altre richiedono periodi più lunghi, anche in funzione della età e taglia di prima riproduzione, della durata del loro ciclo vitale, etc. Molti degli stock, inoltre, sono condivisi tra più Paesi e flotte, non tutte sottoposte allo stesso sistema di regole e alle stesse politiche e sottoposte agli stessi controlli. Un esempio classico è quello delle reti spadare bandite nel ‘97 dall’Europa ma usate ancora per molti anni successivi da altre flotte. La politica della pesca, per tutti gli stati membri dell’UE, è competenza dell’Unione. In Mediterraneo, per gli stock e le zone di mare condivise con flotte di Paesi terzi, la Comunione Europea ha affidato alla Commissione Generale della Pesca per il Mediterraneo (CGPM) della FAO la formulazione dei pareri vincolanti per tutti i Paesi aderenti sulla gestione delle risorse.

La recente riforma della Politica Comune della Pesca, entrata in vigore con un nuovo Regolamento di base (1380/2013) dal 1 Gennaio 2014, il nuovo Fondo Europeo Affari Marittimi e Pesca a questa collegato (Reg. 508/2014) e la Direttiva sulla Marine Strategy (2008/56 CE, recepita in Italia con DL 190/2010), costituiscono nell’insieme il nuovo quadro di riferimento della pesca europea che comporta le necessità di operare  profondi cambiamenti nella vita del settore e nella sua governance, con obiettivi, obblighi, strumenti e procedure di nuova generazione.

Quella dell’adeguamento al nuovo quadro è una vera e propria sfida che pone sul tappeto non pochi problemi, per affrontare i quali è imprescindibile operare innanzitutto nella consapevolezza della complessità del sistema pesca,  che richiede un approccio adeguato per assicurare l’attuabilità e gestibilità di qualsiasi innovazione, nuovo vincolo o cambiamento. Un approccio, quindi, che riconosca in partenza tutti i limiti del vecchio sistema del “comando e controllo” e che individui il vero fattore strategico in grado di assicurare l’applicazione ed il rispetto delle norme nella partecipazione degli stake holder al processo decisionale, nel loro coinvolgimento e responsabilizzazione,  nella condivisione delle scelte tecniche e gestionali.

In questo senso l’adozione del principio adattativo, della gradualità della entrata in vigore dei nuovi vincoli, la flessibilità nell’applicazione delle regole nei contesti locali e nei diversi sistemi di cattura, giocheranno un ruolo cruciale potendo condizionare la sostenibilità sociale ed economica delle nuove misure.

“Delta Pride allevamento di pesci gatto by Ken Hammond – USDA OnLine Photography Center – image Licensed under Public Domain via Wikimedia Commons

E’ infatti evidente, e già ampiamente sperimentato, come qualsiasi forzatura con norme non comprese e condivise calate dall’alto, avulse dalle realtà locali e dalla applicabilità nella pratica quotidiana dei mestieri di pesca, si traduca in uno stato di generalizzata inadempienza e quindi alla diffusione di una tendenza all’aggiramento delle norme ed alla illegalità, minando profondamente il rapporto fiduciario tra operatori ed Istituzioni genericamente intese. La conoscenza delle condizioni operative in cui si svolge il lavoro in mare e a terra, delle caratteristiche delle imbarcazioni e degli strumenti di cattura, e la base scientifica che giustifichi le misure tecniche e gestionali devono essere elementi evidenti in qualsiasi nuova proposta, per assicurarne la credibilità, l’applicabilità ed il rispetto da parte dei pescatori. Il ricorso eccessivo al principio precauzionale, la impossibilità tecnico-operativa di attuazione delle misure, la incongruenza tra la realtà osservata in mare e quanto posto a giustificazione di provvedimenti (a volte motivati più da questioni politiche che da esigenze di reale tutela dell’ambiente o di stock ittici), sono tutti fattori che esercitano un impatto estremamente negativo sul settore e che non aiutano a progredire verso la pesca sostenibile, unico obiettivo generale in grado di garantire un futuro al settore.

Un elemento critico in questo quadro è senza dubbio lo sfasamento temporale che esiste tra la registrazione dei dati in mare e l’emanazione di norme e misure che alla loro entrata in vigore possono non risultare più giustificate e rispondenti alla realtà della pesca e allo stato degli stock ittici. I tempi di raccolta ed elaborazione dei dati, della loro analisi nelle varie sedi scientifiche, della acquisizione delle valutazioni nelle sedi esecutive e politiche in cui si elaborano proposte e si adottano decisioni ed i tempi tecnici per la pubblicazione e l’entrata in vigore delle norme,  fanno si che intercorrano mediamente due anni tra la rilevazione di un problema e la misura per risolverlo. A quel punto lo stesso problema potrebbe essersi già risolto, o aggravato o aver cambiato caratteristiche e, di conseguenza, la misura per risolverlo. Come spesso è avvenuto,  tali misure risultano essere inadeguate o eccessive con una conseguente reazione negativa da parte delle imprese.

Tenendo conto anche di questi oggettivi problemi tecnici e procedurali è evidente come, ancora una volta, un approccio prudente e flessibile che porti alla identificazione di misure accettate ed attuabili  sia da preferire alla tendenza verso norme draconiane. Va ricercato un approccio attraverso un percorso virtuoso in cui trasparenza, dialogo, comprensione dei vari fattori in gioco, che porti alla costruzione di un complesso normativo efficace per assicurare la tutela ambientale, la rinnovabilità delle risorse ittiche  ed il loro razionale sfruttamento, ma anche la diffusione di quella figura di pescatore responsabile sulla cui necessità la FAO, con il suo codice di condotta, richiamava l’attenzione dei governi già 20 anni fa.

In estrema sintesi, si può affermare che le principali novità introdotte dalla riforma consistano nell’obiettivo del raggiungimento del MSY (massima cattura sostenibile) per tutti gli stock entro il 2015 o al più tardi entro il 2020, nel bando dei rigetti in mare (che in Mediterraneo riguarda le sole specie sottoposte a taglia minima di conservazione – di cui all’Allegato III del reg. 1967/2006 – e a limiti di cattura) e nella regionalizzazione (piani e proposte presentati da più Stati membri, adottabili per atto delegato dalla CE).

Fine parte I  – continua

Giampaolo Buonfiglio

 

Conferenza tenuta presso il ROTARY CLUB ROMA GIULIO CESARE – RYLA in occasione del convegno  MARE FONTE DI VITA – 16.05.2015

 

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