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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: RUSSIA
parole chiave: forze speciali russe
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Dopo aver letto la storia dei Seals statunitensi, parliamo oggi di un reparto navale delle forze speciali, gli Spetsnaz (спецназ) e dei loro mezzi. Il concetto moderno delle Brigate Navali Spetsnaz nacque in Unione Sovietica negli anni ’50, ovvero in piena guerra fredda. Anche in questo caso, le azioni degli uomini della X MAS durante la seconda guerra mondiale ispirarono lo Stato Maggiore russo che incominciò a rivedere i canoni della guerra navale moderna in versione asimmetrica.
Lo sviluppo dei sistemi di respirazione a ciclo chiuso, che consentivano di poter restare a lungo sott’acqua in maniera occulta non facendo bolle, pose un duplice problema: da un lato come migliorarne le capacità offensive e, dall’altro come intercettarli. La nascita di questi reparti speciali influenzò non solo il concetto operativo occidentale ma anche oltre Cortina. Nell’Unione Sovietica, nelle basi segrete della Marina, si addestrarono i primi reparti di infiltrazione e sabotaggio navale che raggiunsero nel tempo livelli di eccellenza. Vennero sviluppati anche dei mezzi insidiosi che oggi, grazie alla loro pubblicazione su libri e riviste americane, siamo ora in grado di descrivere.
Breve storia
Nell’alone di mistero che ricopriva quegli anni, si susseguirono eventi poco chiari … eravamo in piena guerra fredda e NATO e Patto di Varsavia combattevano una guerra segreta basata, per fortuna, soprattutto sull’osservazione reciproca. In quegli anni avvenne la scomparsa di Lionel Crabb, un sommozzatore della marina britannica che durante la guerra aveva seguito lo studio delle attrezzature dei gamma italiani recuperate nell’azione di Gibilterra.
Crabb fu un personaggio misterioso, pioniere della subacquea militare britannica durante la seconda guerra mondiale, venne poi arruolato dal MI 6 e scomparve misteriosamente durante la guerra fredda, si dice, durante una missione di ricognizione sotto l’incrociatore sovietico Ordzhonikidze della Classe Sverdlov che aveva portato Nikita Khrushchev e Nikolai Bulganin per una missione diplomatica, in Gran Bretagna.
La presunta ultima missione di Crabb
Il suo compito era prendere informazioni e foto su un nuovo sistema sonar multibeam dell’unità sovietica. Il 19 aprile 1956, Lionel “Buster” Crabb si immerse a Portsmouth, forse in compagnia di un altro sommozzatore, per non emergere più. Il mistero della sua scomparsa si infittì con la scoperta in mare qualche giorno dopo di un corpo irriconoscibile. Il 16 novembre 2007, la BBC e il Daily Mirror riferirono che un militare russo, Eduard Koltsov, aveva rivelato di aver sorpreso Crabb mettere una limpet mine lungo lo scafo del Ordzhonikidze, in corrispondenza del deposito munizioni e lo aveva quindi ucciso. In un’intervista per un documentario russo, Koltsov mostrò il pugnale che aveva usato come pure un medaglia dell’Ordine della Stella Rossa che affermava di aver ricevuta per l’accaduto. Di fatto il corpo ritrovato era decapitato e senza mani e quindi non identificabile. Il mistero sulla sparizione di Crabb è ancora aperto. Alcuni sostengono che fu catturato dai sommozzatori russi ed in seguito, dopo aver subito un lavaggio del cervello, passò al servizio dell’Unione sovietica, addestrando i loro Spetsnaz all’incursione subacquea. Altri ritengono che morì durante la ricognizione sotto la nave sovietica per ipossia.
Di fatto in quegli anni in Unione Sovietica si svilupparono dei reparti specialistici che presero esempio dalle azioni dei commandos inglesi e dei gamma italiani. I reparti furono inquadrati nelle Brigate navali degli Spetsnaz con il compito di effettuare missioni di ricognizione di spiagge, di difese subacquee e di zone di sbarco in preparazione di attacchi preventivi contro le installazioni portuali avversarie. Gli obbiettivi erano centri di comando e controllo, radar e comunicazione e le stazioni di ascolto della NATO. L’impiego degli Spetsnaz, al di fuori dei confini dell’Unione Sovietica, era quindi occulto, in missioni altamente segrete che, se avvenute, non furono mai rivelate. Le fonti giornalistiche parlarono di un loro impiego in Afghanistan, Pakistan e in Libano, per la liberazione di ostaggi, ma non fu mai confermato dalle fonti ufficiali. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991, le Brigate Navali Spetsnaz subirono un declino equivalente al resto delle altre componenti militari. Sembrerebbe che, sotto la gestione Putin, abbiano ritrovato un nuovo vigore, avvicinandosi agli standard occidentali.
Il Concetto Operativo
Nella dottrina sovietica, l’impiego classico delle forze speciali subacquee prevedeva la loro dislocazione con lancio da paracadute nella zona di operazioni. A differenza dei colleghi occidentali venivano lanciati con il paracadute in mare, talvolta con i trasportatori legati ai loro corpi, o dai sommergibili. Questa caratteristica sembra si sia mantenuta nel concetto operativo di impiego attuale.
Sembrerebbe che i Russi non abbiano mai adottato sistemi Dry Deck Shelter (DDS) ovvero dei moduli rimovibili che possono essere collegati ad un sottomarino per consentire ai subacquei di fuoriuscire o di entrare dai battelli immersi. Sistemi, che come ricorderete, furono installati durante la seconda guerra mondiale sui nostri sommergibili per trasportare i “maiali” nelle zone di operazione. Anche in ambito occidentale, dopo la seconda guerra mondiale questi sistemi furono sviluppati modificando i sottomarini per accogliere i DDS, in diverse configurazioni.
Ciò non avvenne nella Marina sovietica. Secondo la dottrina di Mosca, gli Spetnaz dovevano invece fuoriuscire dai tubi lanciasiluri; certamente un metodo pericoloso e scomodo che richiedeva, tra le altre cose, che il battello fosse portato ad una quota vicina alla superficie, con conseguente rischio di essere avvistato. Un altro metodo di infiltrazione degli Spetsnaz era l’impiego di imbarcazioni o navi di superficie civili in ruolo di navi madre per il rilascio degli operatori in prossimità degli obbiettivi. In tempi più moderni questi reparti di elite hanno aggiunto alla lista delle loro operazioni anche compiti di anti-terrorismo nel settore marittimo, impiegando diverse piattaforme per l’avvicinamento occulto agli obbiettivi.
Sebbene la Marina russa sia stata meno reattiva a rispondere alle sfide del terrorismo internazionale, ha oggigiorno adottato tattiche e attrezzature simili a quelle dei Reparti occidentali. Questo ha comportato l’impiego di sistemi di trasporto subacqueo ormai liberamente disponibili anche in campo civile. Questi sistemi, molto simili agli scooter subacquei, sono costituiti da un involucro impermeabile a tenuta stagna contenente un motore elettrico a batteria che aziona un’elica. Il design garantisce che l’elica non possa nuocere al subacqueo ed al suo equipaggiamento nel suo moto. Essi possono essere anche dotati di sistemi di navigazione subacquea, evitando la riemersione del sommozzatore.
I mezzi
In un articolo di Sutton del 2014, vengono presentati alcuni mezzi che, storicamente sono stati e probabilmente sono ancora impiegati, se non altro per addestramento, dagli Spetnaz o da altri reparti delle forze speciali delle marine ex sovietiche. Vediamoli insieme partendo dai DPV (Diver propulsion vehicle), sistemi realizzati per consentire al sommozzatore di raggiungere maggiori distanze ed in minor tempo, risparmiando il gas respiratorio.
DPV
Essi si differenziano dai SDV, veri e propri trasportatori subacquei più simili ad un sommergibile che ad uno scooter subacqueo, per i costi meno elevati e le dimensioni molto più piccole. Sono particolarmente interessanti per effettuare missioni over-the-beach one shot (ovvero impiegati per l’avvicinamento e poi abbandonati). L’equivalente più vicino ai mezzi russi nelle forze NATO è lo STIDD DPD (Dispositivo di Propulsione per Diver) che nacque per il trasporto di uno o due subacquei dando la possibilità di rimorchiare i contenitori stagni contenenti armi e materiali.
VSON – 55
Il primo veicolo trasportatore sovietico ad uso individuale conosciuto fu il VSON-55. che fu sviluppato nella metà degli anni ’50.
Consisteva in un corpo cilindrico lungo il quale si appoggiava il subacqueo. Era dotato di un motore elettrico che permetteva la propulsione dell’elica posta tra … le gambe del sommozzatore.
PROTON
Questo primo mezzo fu seguito dalla fortunata serie Proton.
Questo sistema poteva trasportare uno o due subacquei in una posizione parzialmente esposta su percorsi relativamente brevi, godendo di una certa modularità che consentiva di adattarlo al profilo di missione. I sistemi potevano essere accoppiati in differenti configurazioni. Sebbene le specifiche dei Proton-3 non sono note, si pensa che probabilmente non differivano molto da quelle degli odierni scooter subacquei commerciali, con una velocità intorno ai due nodi ed una portata di 10 miglia.
Il Proton-3 U era un singolo propulsore subacqueo che veniva guidato dal sommozzatore alloggiato su una specie di sella davanti al modulo motore. L’operatore era protetto nel moto nell’acqua da uno scudo semisferico e aveva a disposizione un sistema elementare di navigazione. La versione Protei-5 (Протей-5) era alimentata elettricamente a batteria, utilizzando sei batterie al piombo non sigillate.
A differenza delle versioni precedenti, il mezzo veniva “mantenuto” sotto il subacqueo da una clip su ogni spalla ed una tra le gambe. Il suo involucro era in alluminio. Sembrerebbe che il principio del Proton fosse di trasportare velocemente l’operatore verso l’obiettivo a scapito della sua manovrabilità subacquea … in altre parole doveva andare dritto sulla preda. Nei modelli venduti commercialmente sembra che nel mezzo non esisteva alcun controllo della velocità. Viste le sue dimensioni, un operatore equipaggiato con un rebreather IDA71 in sella ad un Proteus-5 sarebbe potuto passare attraverso un foro di 0,9 metri. Se ne conoscono solo due esemplari conservati fuori della Russia; un modello a New York e l’altro, ancora funzionante, New Jersey, USA.
I modelli 5 (Proteus – 5 / 5M / 5MU) furono un miglioramento dei sistemi precedenti, in particolare per la propulsione, adottando eliche di maggiori dimensioni e sistemi per la riduzione del rumore, essenziali per l’infiltrazione nei porti.
Curioso che la definizione in russo per “veicolo trasportatore di subacqueo” è буксировщик buksirovshchik ovvero “un sistema che rimorchia”, decisamente una definizione adattissima alle sue strutture.
COM-1 DPV
Fratello minore del Proton-3, il COM-1 ha un peso più leggero e non sembra essere dotato di uno schermo di protezione al moto dell’acqua. Probabilmente le sue prestazioni sono generalmente più basse ma le dimensioni lo rendono adatto per un rapido rilascio da un gommone. Esiste una fotografia di una versione cinese dalla quale si possono osservare meglio gli elementi. È probabile che questo mezzo sia ancora in servizio con gli Spetsnaz e sia stato adottato da altre forze speciali russe. In estrema sintesi, le sue caratteristiche sono: lunghezza: 2.2 m – diametro 0.44 m – larghezza: 0.53 m con un peso di 66 kg. Può viaggiare sott’acqua ad una velocità massima di 2 kts (con due subacquei) con 6 ore di autonomia – profondità massima: 40 metri.
Fine parte I – continua
se non diversamente citate, le immagini sono estratte da Covert Shores di HI Sutton
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.
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