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Reportage: una visita da non perdere, il Museo della Marineria di Cesenatico

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MARE ADRIATICO
parole chiave: Museo della Marineria, Cesenatico, bragozzi

 

In occasione di una importante conferenza sul mare organizzata a Cesenatico, ridente cittadina romagnola, ho scoperto un’eccellenza italiana la cui visita voglio consigliare a tutti gli amanti del mare, non solo per i pregevoli reperti che si possono osservare ma per il viaggio culturale che questa visita comporta.

Il museo della Marineria di Cesenatico
Nella mia infinita non conoscenza, ammetto che non ne avevo sentito mai parlare ed è stato per caso che, girovagando per l’antico e caratteristico Porto Canale Leonardesco del XVI secolo, asse principale del centro storico di Cesenatico, mi sono trovato lungo le banchine del canale, nei pressi dell’ampia piazza Ciceruacchio, dove è tracciato ancora il perimetro dell’antica Torre Pretoria che un tempo difendeva il porto dalle fuste dei feroci pirati barbareschi. Risalendo queste banchine ho incontrato delle bellissime barche d’epoca commerciali ancora in galleggiamento; imbarcazioni tipiche della tradizione del mare Adriatico che ho scoperto fare parte parte del Museo della Marineria. Di diverse tipologie esse furono utilizzate dalla marineria a vela nell’alto Adriatico tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento.

Si possono ammirare due trabaccoli da pesca (barchetti), tre bragozzi, una lancia, una paranza, un topo, una battana, e un trabaccolo da trasporto sul quale, mi dicono, durante l’estate è possibile salire e visitare l’ampia stiva di carico e le cabine. Due di queste imbarcazioni, ormeggiate oltre il vicino ponte, sono ancora abilitate alla navigazione e partecipano in estate ad uscite dimostrative e a raduni di barche d’epoca.

Da marinaio sono restato colpito dalla cura con cui questi scafi sono mantenuti. Cresciuto in un piccolo paese ligure, vicino a Portovenere, ricordo ancora i carpentieri in legno che lavoravano alla costruzione dei gozzi. C’era qualcosa di magico nel loro lavoro, frutto di esperienze centenarie. Sono passati tanti anni ma l’odore della canapa, del legno piallato e della pece sono ancora vivi. Ricordo anche una vecchia barca da pesca che aveva dipinti sulla sua prua degli occhi stilizzati azzurri che si stagliavano dal bianco dello scafo. Guardando quelle barche da pesca ho rivisto quei dettagli senza tempo, come gli “occhi” di prua, più o meno stilizzati, le zoje (“gioie”), elementi decorati con tralci floreali e la “cuffia”, che rappresenta scolpita in legno la pelliccia di un montone: tutti elementi dove la funzione decorativa richiama arcaiche simbologie magiche e religiose.

Durante la mia passeggiata, ho avuto modo di vedere anche due marinai armeggiare intorno ad una grande vela dai vivaci colori realizzati con terre colorate, decorata con simboli che, mi hanno spiegato, segnalavano l’appartenenza a differenti famiglie di pescatori: un’usanza che divenne nel tempo una vera e propria “araldica marinara”.

A lato del canale si apre l’ingresso del Museo di cui parleremo oggi. Nella visita ho avuto il piacere di conoscerne il direttore, Davide Gnola, che mi ha illustrato le caratteristiche del museo. Innanzitutto si distingue dagli altri musei navali italiani perché unico in Italia (e tra i pochissimi nel mondo) ad affiancare, alle raccolte esposte al suo interno, una Sezione Galleggiante con undici barche in acqua complete di vele, e una Sezione Navigante con tre barche mantenute operative per conservare anche il “patrimonio intangibile” delle antiche pratiche di navigazione. Un museo speciale e tutto da scoprire per il rapporto sia con l’antico Porto Canale, che fu disegnato da Leonardo da Vinci nel 1502, sia con il vicino centro storico, caratterizzato dai luoghi della conservazione e vendita del pesce e dalle case dei pescatori.

La visita completa dura circa un’ora ma vi assicuro ne vale la pena. Il museo si sviluppa all’interno di un nuovo edificio appositamente progettato seguendo le linee degli antichi arsenali. Vale la pena ricordare che la parola arsenale deriva dal veneziano arzanà a sua volta derivato dall’arabo dār aş-ṣinā῾a che significa “casa del mestiere” iniziato ad usarsi all’inizio del XIV secolo. In realtà dal IX secolo i musulmani dominavano gran parte del Mar Mediterraneo, e ne mantennero il potere marittimo fino all’ XI secolo. In seguito, per motivi commerciali e politici, vi fu un rinascimento tecnico, militare e commerciale che vide l’ingresso di nuovi Paesi nel controllo e dominio delle rotte di alcune parti del Mediterraneo. Al di là degli aspetti politici, i contatti tra le marinerie continuarono e le eredità marinare si travasarono e divennero così patrimonio comune.

Dopo questa breve disgressione, entriamo nel museo seguendo il percorso dedicato alla marineria tradizionale dell’alto e medio Adriatico.

 

La sala principale ospita al centro un trabaccolo ed un bragozzo, le due imbarcazioni protagoniste dell’epopea della marineria a vela nell’alto Adriatico, ancora attrezzate con le loro vele “al terzo”. Nella prima parte del percorso, sul lato sinistro, si possono ritrovare i semplici materiali e le tecnologie con i quali l’Uomo ha navigato per millenni, da una strana canoa con la prua a forma di coccodrillo ad una ruota da cordaio con la ricostruzione del suo funzionamento, fino ad una bottega ottocentesca di carpenteria navale, acquisita in blocco e riallestita dentro al museo.

marotta, sorta di barca per contenere i pesci del pescato in acqua

Curiosa una strana barca forata, la marotta, il cui scopo era semplicemente di galleggiare a mezz’acqua nei canali, conservando al suo interno il pescato. Iniziamo la vista in senso orario ed arriviamo al lato di destra, dedicata alla “propulsione e governo“: qui sono esposte ancore antiche e moderne, da quelle pre-romane in pietra fino alle più moderne usate per il diporto. Si possono osservare anche due grandi ancore ammiragliato recuperate da due relitti risalenti al XVII secolo. Seguono alcune installazioni didattiche dove possiamo misurare la nostra abilità con manovre, nodi e paranchi.

Ampia parte è dedicata all’evoluzione dell’attrezzatura velica, mentre una serie di motori raccontano il passaggio dalle barche tradizionali agli scafi a motore. Non può mancare un’attrezzatura completa da palombaro portuale. Si può vedere anche un’ancora di mina navale. Ordigni di quel tipo vennero posati in migliaia di esemplari sia nella I che nella II guerra mondiale e per la loro pericolosità richiesero uno sforzo di bonifica che dura ancora oggi.

dall’alto delle terrazze è possibile osservare nei dettagli queste belle barche

Al piano superiore, si può accedere a due terrazze dalle quali si possono osservare da vicino i dettagli delle vele e delle alberature. Il percorso espositivo prosegue attraverso reperti che esemplificano la vita a bordo, la pesca e la sua commercializzazione, la navigazione, i simboli magico-religiosi (primi fra tutti gli “occhi” di prua), ed i pericoli dell’andare per mare. Si sa la superstizione in antichità era molto diffusa e andava a giustificare le paure dei marinai giustificata dal non conoscere l’ambiente che li circondava.

Gli occhi dipinti sulla prua richiamano antiche tradizioni.  Alla nave venivano disegnati gli occhi come per favorirla nel trovare la rotta. Interessante la spiegazione del pulizon, il pelliccione, un tempo la pelliccia scuoiata degli animali sacrificati al momento del varo per buona fortuna e poi divenuta un’applicazione scolpita nel legno. Al pelliccione furono poi affiancati degli angeli musicanti, tipici dei bragozzi chioggiotti.

Una passeggiata nella storia ricca di emozioni. Nel catalogo del museo si legge:
Chi vive del mare, lascia poche tracce. Le barche, quando smettono di essere usate, marciscono lentamente, abbandonate in secca; qualche volta affondano. Gli attrezzi si usurano e si dimenticano, o finiscono in fondo al mare. Pochi o nessun documento negli archivi, poche fotografie. E così, cosa resta di queste barche, degli uomini che le hanno portate, delle donne e dei bambini che li hanno aspettati? Allora, un museo serve per dire a noi stessi che tutto ciò non è andato perduto; che resta in noi la memoria di questi uomini e di queste donne, restano la dignità e i frutti del loro lavoro, quello duro e faticoso che manda avanti le famiglie e le città.  Questo è il vero frutto di un museo: mantenere viva, dentro le ragioni e le necessità del presente, la memoria del passato, la sola che può dare alle nostre esistenze spessore, identità, e capacita di affrontare le sfide del futuro.”.

Possiamo dire missione compiuta. Non mancate la visita. 

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Informazioni utili
Indirizzo: Via Carlo Armellini 18 – 47042 Cesenatico (FC)
Telefono: 0547 79205 – infomusei@comune.cesenatico.fc.it (informazioni / bookshop / segreteria)

Orari: 
sab – dom 10:00 – 12:00 e 15:00 – 19:00
Dal 15 giugno all’8 settembre aperto tutti i giorni 10-12 e 17-23.

 

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Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo
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