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Il ruolo dell’elio e della finestra dell’ossigeno nelle soste profonde – intervista al Prof. Simon Mitchell, parte 3

tempo di lettura: 4 minuti

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livello difficile

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ARGOMENTO: SUBACQUEA
PERIODO: XXI SECOLO 
AREA: DIDATTICA

parole chiave: Mitchell, Di Ruzza

 

A  proposito del raffronto Buhlmann vs. VPM. Mi confermi che i risultati sulle soste profonde, ovvero profili che prediligono average depth superiori a parità di RT, sono confermati per miscele ad aria e Trimix? Mi domando se l’Elio, in parte, riporti in gioco il VPM.
Non credo che ci sia alcuna base per credere che solo perché stiamo usando un gas diverso i principi alla base di una decompressione sicura cambierebbero. Niente di tutto questo è confermato da prove sperimentali, come nessuno ha fatto uno studio NEDU su profili di subacquea tecnica profonda con diversa enfasi sulle soste profonde e non abbiamo risultati noti di un’immersione reale. Tuttavia, penso che tu ti riferisca alla mia lezione on line quando abbiamo presentato alcuni modelli realizzati da Kevin Watts che studia il livello di sovrasaturazione dei tessuti, esaminando due modi diversi di decompressione da un’immersione profonda.

Quello che ha fatto Kevin è stato di confrontare i modelli di sovrasaturazione in diversi tessuti in decompressione (l’immersione era a 84m per 20′), il primo era un Buhmalnn 40/74, l’altro un VPM +4. Abbiamo visto esattamente gli stessi modelli di sovrasaturazione dei tessuti dello studio NEDU. In altre parole, nell’approccio Buhlmann i tessuti veloci sono più sovrasaturati all’inizio, perché si arriva in superficie più rapidamente in poche soste, ma poi più avanti nella decompressione si è ha meno sovrasaturazione nei tessuti lenti. Nella decompressione VPM, i tessuti veloci erano protetti prima (perché si effettuavano soste più profonde) ma in seguito si otteneva molta più sovrasaturazione nei tessuti lenti.

In alcuni programmi le due decompressioni avevano esattamente la stessa durata; questo è molto importante quando si confrontano solo soste che si abbiano decompressioni esattamente della stessa lunghezza.

Ancora più importante è stata l’analisi della sovrasaturazione totale in tutti i tessuti generata da queste due decompressioni. Quello che ha mostrato lo studio è stato che il Buhmalnn 40/74 GF aveva un livello inferiore di sovrasaturazione totale. Può sembrare un pò semplicistico: la sovrasaturazione è ciò che attira la formazione di bolle che crediamo sia la causa della Malattia Da Decompressione. Quindi, se hai un approccio alla decompressione che produce molta meno sovrasaturazione, è probabile che produca meno bolle e meno rischi di Malattia Da Decompressione [MDD] (non rischio zero, ma meno rischio). Questo approccio ha predetto correttamente il risultato dello studio NEDU, quindi devi chiederti: perché aspettarsi un risultato diverso da questi due profili di immersione tecnica così significativi? Nessuno ha effettivamente fatto lo studio, nessuno ha preso 200 subacquei e fatto 40/74 GF a 80m, nessuno lo ha paragonato a 200 subacquei che fanno VPM +4 a 80m dopo 20′, nessuno l’ha fatto ma, quando fai la stessa analisi che sembra spiegare correttamente lo studio NEDU e vedi esattamente la stessa cosa, è difficile sostenere che ti aspetteresti risultati diversi.

Il profilo VPM produce più sovrasaturazione e gli stessi pattern svantaggiosi di sovrasaturazione attraverso i tessuti sono emersi nello studio NEDU. Quindi, anche se non disponiamo di dati definitivi, poiché nessuno ha effettuato il test, il modello predittivo suggerirebbe che avremmo lo stesso risultato. Non c’è alcuna ragione ovvia per credere che non lo sarebbe. Questo aiuta a rispondere alla tua domanda. Il punto è che nessuno ha compiuto studi in Trimix, non abbiamo ancora abbastanza test per essere conclusivi al riguardo. Quando modifichi le immersioni in Trimix, confrontando i due approcci alla decompressione, non c’è motivo di credere che il risultato possa essere diverso solo perché viene impiegata una miscela Trimix.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è DSC_1301-1-1024x681.jpg

Nelle soste profonde non è maggiormente sfruttata la finestra dell’ossigeno? Inoltre, non sarebbe più opportuno creare gradienti con i gas e non con la diminuzione della profondità? Quindi ottimizzare la PPO2 con le miscele, senza arrivare a tappe più superficiali avendo ancora un’elevata percentuale di decompressione da effettuare?
In teoria sì, ma sempre in teoria potresti fare una decompressione da un’immersione profonda rimanendo completamente all’interno della finestra dell’ossigeno e non causando affatto la sovrasaturazione dei tessuti, anche se, probabilmente, ti ci vorrebbero un paio di giorni. Non è un processo veloce. Quindi, se dici: “ok, faremo una salita lentissima per rimanere all’interno della finestra di ossigeno, senza sovrasaturazione e profondità elevate”,

Quello che devi tenere a mente è cosa sta succedendo nei tuoi tessuti lenti durante quel periodo. Stanno assumendo sempre più gas inerte, quindi potresti fare piccole soste profonde molto incrementali e rimanere all’interno della finestra dell’ossigeno, ma questa non è una buona idea perché quello che stai facendo è saturare i tuoi tessuti lenti, la trasformeresti in un’immersione in saturazione, ci vorrebbe un’eternità per decomprimere salendo in quel modo.

Se enfatizzi troppo le quote profonde crei più problemi di quanti ne risolvi, perché i tuoi tessuti lenti stanno ancora assumendo azoto o elio durante quelle soste. Quindi, se tu rimanessi dentro la finestra dell’ossigeno con i tuoi tessuti veloci all’inizio della risalita, quelli lenti si caricherebbero e avresti una decompressione estremamente lunga. Ecco perché non va bene, non possiamo fare decompressione in questo modo, perché semplicemente ci vorrebbe troppo tempo.

Fine parte 3 – continua

Paolo di Ruzza

 


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