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Il ruolo della marina russa nel Mar Mediterraneo e la crisi siriana

tempo di lettura: 12 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: GEOPOLITICA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Russia, Siria

 

Le preoccupazioni dell’opinione pubblica, in merito ad un possibile escalation dell’attacco in Siria tra le due superpotenze, ci fornisce l’occasione di parlare della politica navale di Mosca, dello sviluppo della Voenno-morskoj flot e sul possibile impatto sulle politiche marittime dei prossimi anni nel Mediterraneo.

Il ruolo della marina russa non è cambiato
Va fatta una premessa importante. Tradizionalmente il ruolo della marina russa è sempre stato di fornire una supporto dal mare alle forze terrestri. Come vedremo non si tratta di un ruolo di marina di alto mare, costruita per mantenere il sea control, ma di una estensione del potere letale del suo potenziale bellico. Se consideriamo la recente missione mediterranea della flotta russa, secondo i canoni della strategia di politica marittima del Mahan, quest’ultima può essere considerata un fallimento. Le navi hanno confermato di non essere in grado di operare per lungo tempo in alto mare, con evidenti difficoltà logistiche per effettuare le manutenzioni ed i rifornimenti necessari. Non sembra nemmeno superato il gap tecnologico con la controparte occidentale a causa di carenze nei sistemi comando e controllo. Quanto sopra dipende da un certo numero di fattori. Innanzitutto le due concezioni di combattimento in mare sono essenzialmente diverse. Non si tratta quindi di un fattore recente.  La Marina zarista iniziò la sua politica lungo le flotte fluviali del IX secolo a Kiev per proteggere le rotte commerciali attraverso gli stretti di Costantinopoli. In seguito la Russia divenne una potenza marittima sotto Pietro il Grande (1672-1725). A parte le grandi guerre del nord con la Svezia, solo nell’ottocento concepì la necessita di creare delle basi nel Mar Nero per garantire il suo accesso al Mediterraneo. 

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Questa immagine digitale è stata scattata dall’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale il 16 aprile 2004. Quando è stata scattata questa immagine, forti correnti trasportavano acque costiere torbide dal Mar Nero attraverso lo stretto e nel mare di Marmara – Fonte NASA Earth Observatory – autore astronaut photograph ISS008-E-21752 File:Istanbul and Bosporus big.jpg – Wikimedia Commons

Il punto debole della flotta imperiale russa in mar Nero era legato agli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, da sempre elemento di forza della Turchia. Le forti correnti, la vicinanza delle rive da cui colpire il traffico navale, avevano spezzato anche le ambizioni di Churchill. Dopo la prima guerra mondiale le limitazioni del traffico derivanti dalla convenzione di Montreux causarono un forte ridimensionamento delle aspirazioni russe. Questo accordo, firmato nel 1936, regola tutt’oggi, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, il passaggio del naviglio di superficie e subacqueo (sia civile che militare) attraverso gli stretti. Esso stabilisce il massimo tonnellaggio (30000 tonnellate fino ad un massimo di 45000) che i Paesi non rivieraschi del Mar Nero possono mantenere al suo interno ed il tempo limite di permanenza delle flotte straniere. Tra le varie clausole, la Convenzione indica quando e con quali modalità, la Turchia ha il diritto di impedire il transito di unità navali di stati terzi attraverso i due stretti. Uno strumento potente in mano a Erdogan che gli consente di poter regolare il passaggio di flotte militari straniere da e verso il Mar Nero. E’ importante sottolineare che la Turchia, in accordo con l’articolo 21, potrebbe legalmente impedire il transito anche ad unità militari e civili di una certa nazione nel caso in cui Ankara nel caso si sentisse minacciata da tale azione. Da cui si comprende come Erdogan potrebbe legalmente giocare le sue carte riferendosi sia alle politiche NATO sia al di fuori dell’Alleanza chiudendo gli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli alle navi di una nazione, come la Russia, che a suo giudizio possa minacciare gli interessi della Turchia.

Ma quali sono gli effetti sull’impiego della flotta russa nel Mediterraneo?
La convenzione di Montreux prevede che le nazioni possono ricorrere contro eventuali limitazioni al passaggio  tramite il Consiglio della Società delle Nazioni (non più esistente dal 1946). Questa responsabilità è teoricamente passata, almeno in gran parte, all’odierno Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Essendo cambiati i membri del vecchio Consiglio, nel caso la Russia richiedesse una eccezione alla regola i risultati a suo favore sarebbero poco probabili. Inoltre il governo turco, appartenente alla NATO, fino ad oggi ha sempre considerato la Russia una minaccia concreta alla sua sovranità. Una domanda che in questi giorni ci si pone è se la strana commistione di interessi in Siria, tra  paesi distanti fa loro come Russia e Turchia, rappresentata con ampie strette di mano sui media, possa modificare questi schieramenti. Un possibile rinforzo navale russo dal Mar Nero appare quindi improbabile. La marina di Mosca dovrà quindi far conto sulla forza navale presente che si appoggia alla base di Tartus, ora concessa ufficialmente dalla Siria agli storici alleati. Nel gennaio 2017 Russia e Siria hanno infatti perfezionato un accordo per estendere il controllo russo sulla base per altri 49 anni dando alla Russia la sovranità sul territorio della base. Sebbene la base fosse stata costruita e gestita dai Russi nel 1971, non si era mai arrivati a tanto. La base sta subendo lavori di trasformazione per renderla adatta per accogliere la flotta con nuovi magazzini, officine e depositi. Uno sforzo quinquennale che assicurerà lo sbocco nel Mediterraneo da lungo tempo ricercato dalla marina russa, almeno fino a quando resterà in Siria il regime di Assad.

Futuro della flotta russa
Nel luglio del 2017 Vladimir Putin aveva approvato la nuova dottrina navale russa prevedendo lo sviluppo di una marina in grado di mantenere la sua superiorità nei confronti della marina cinese  e americana. La nuova dottrina di Mosca evidenzia che le minacce per la Russia sono sintetizzate nell’ambizione delle potenze occidentali a dominare i mari, compreso l’Artico, imponendo la superiorità delle loro forze navali.  Questa ambizione, secondo Mosca,  si dimostra con azioni intese a limitare l’accesso alle risorse marittime ed il controllo russo sulla rotta del Mare del Nord. Le tre potenziali minacce per la Russia sono il crollo della situazione politico-militare internazionale che potrebbe portare all’uso della forza militare nelle aree marittime che hanno un interesse strategico per la Russia, lo schieramento di armi strategiche non nucleari di precisione e di difesa da missili balistici in territori e in zone marittime adiacenti alla Russia, e l’uso della forza militare da parte di altri Stati  per minacciare gli interessi russi. Oltre all’Artico, e ai nuovi territori liberati dai ghiacci a causa dei cambiamenti climatici, la dottrina ribadisce la necessita di proteggere l’accesso alle risorse energetiche medio orientali e del Mar Caspio. Un’altra preoccupazione è il pericolo causato dalla crescita della pirateria nel Golfo di Guinea, nell’Oceano Indiano e Pacifico. Infine le priorità geografiche più sensibili vengono individuate nel rafforzamento della flotta del Mar Nero e delle forze russe in Crimea, ed il mantenimento (rafforzamento) di una presenza navale stabile nel Mediterraneo.

 

In pratica un programma ambizioso che nasconde una apparente  difficoltà a produrre nuove navi di superficie. Di fatto dagli anni ’90 non è stata costruita nessuna nave da combattimento di dimensioni maggiori di una fregata. Inoltre, la costruzione di sottomarini non nucleari rimane ostacolata dalla mancanza di un sistema di alimentazione autonomo indipendente dall’aria, lasciando la flotta dipendente dall’impiego dei motori diesel. Il programma prospettato avrebbe quindi bisogno di qualcosa di più consistente di quanto pubblicato sulla stampa internazionale. Apparentemente la Marina russa sembra orientarsi su navi da guerra da impiegare in zone marittime relativamente costiere, abbandonando quindi le sue aspirazioni di potenza marittima globale. Nel 2017 Il viceministro della Difesa Yuri Borisov ha infatti preannunciato lo sviluppo di unità costiere con capacità missilistiche e sottomarini armati con missili balistici nucleari (SSBN), inserite nella pianificazione delle nuove costruzioni 2018-2027. Curiosamente questa dichiarazione va a scontrarsi sia con le manifestazioni propagandistiche di Putin, seguite da parate navali d’altri tempi, sia con le dichiarazioni del vice primo ministro Dimitry Rogozin che aveva ribadito che la Russia non poteva in nessun modo perdere le sue aspirazioni di potenza marittima globale. Non ultimo era apparso significativo l’invio della portaerei Kuznetsov con il suo seguito nelle acque di fronte alla Siria.  Dimostrazioni di forza con una marina d’altura ancora necessitante di un salto di qualità. Di fatto questi annunci non hanno trovato riscontro nei programmi di sviluppo che sembrano voler prediligere la costruzione di unità leggere da impiegare in zone marittime vicine e comunque con un raggio di 500 miglia dal territorio russo.

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Admiral Kuznetsov aircraft carrier – Ministry of Defence File:Admiral Kuznetsov aircraft carrier.jpg – Wikimedia Commons

Il Mediterraneo
Tralasciando, le aree geografiche lontane, concentriamoci ora sul Mar Mediterraneo, storicamente punto debole delle aspirazioni navali russe. In guerra fredda l‘Unione sovietica poteva contare su due ancoraggi nel Mediterraneo, la Libia e la Siria. Caduta la Libia resta solo il paese mediorientale di Bashar al Assad, terra di contesa tra più interessi internazionali. La mancanza di basi logistiche da un certo aspetto  giustifica la scelta di costruire nuove navi costiere e sottomarini missilistici che, nei prossimi anni, costituiranno la spina dorsale della marina, strumenti di deterrenza (non solo nucleare) nei mari limitrofi alle aree di interesse russe. Questo permetterà alla Russia di mantenere una cornice di sicurezza adeguata  senza allontanarsi troppo dal Mar Baltico, Mar Nero, Mare di Barents ed il Mar del Giappone. Grazie alla nuova base di Tartus sarà ora possibile mantenere per lungo tempo un gruppo navale anche nel Mediterraneo.

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Fasi della guerra civile in Siria da ottobre 2011 a marzo 2019 – autore AlexplFile:SyrianWarAnimation2011-2019.gif – Wikimedia Commons

Questa task Force è attualmente composta da quindici navi da guerra tra cui due moderne fregate classe ammiragli, due cacciatorpediniere lanciamissili classe Kashin-Mod, la Neustrashimy e la Smetlivy ed almeno un moderno sottomarino SSK classe Kilo – Varshavyanka, con  propulsione diesel elettrica varie. Della Task Force del Mediterraneo fanno parte anche tre navi d’assalto anfibio classe Ropucha: la Caesar Kunikov, la Nikolay Filchenkov e la Azov. Ragionevolmente le navi rifornitrici ed ausiliarie effettueranno una rotazione costante con la Flotta del Mar Nero. E’ probabile che in futuro la presenza ne Mar Mediterraneo sarà assicurata a rotazione da tre gruppi navali. Questo consentirà di poter addestrare gli equipaggi in condizioni operative diverse.

Ma quali saranno gli sviluppi futuri della flotta russa?
Sicuramente la rottura del contratto del Mistral da parte dei Francesi ha dato un duro colpo alle prospettive di sviluppo di una marina russa, strategicamente parlando, di altura. Gli analisti descrivono programmi di sviluppo mirati alla difesa degli interessi della patria russa ma esiste ancora un gap tecnologico che si ripercuote nei sistemi di comando e controllo della flotta. Alla base della pianificazione delle future forze navali vi è sempre la mancanza di strutture decentrate di supporto (logistico), necessarie per le manutenzioni, rifornimenti e sosta delle navi. Questa limitazione strategica per la flotta di Mosca non è recente ed ha caratterizzato, dal dopo guerra fino ad oggi, scelte costruttive ben diverse di quelle dei paesi NATO.

In campo marittimo le due superpotenze hanno sempre avuto politiche diverse di impiego e sviluppo delle forze marittime. Senza entrare in tediosi particolari, da una parte esiste una visione globale (statunitense) basata su flotte dislocate negli oceani che si appoggiano a basi collocate in Paesi amici e su task force sviluppate per operare per lunghi periodi nelle blue water  per mantenere il Sea Control (ad esempio i carrier group), dall’altra un impiego delle forze navali pienamente integrate nelle strategie della “difesa” un tempo dell’Unione Sovietica e dei paesi amici, basato su mezzi dotati di alta letalità da impiegare come sistemi offensivi avanzati. In questo momento se esiste una migliore capacità C2 da parte degli Stati Uniti, la Russia sembra detenere una superiorità militare-tecnologica sui missili da crociera e aero-balistici. Questo risulta dalle recenti rivelazioni dei siti di settore che sottolineano le capacità delle nuove armi di Putin. In realtà era noto da tempo che la marina russa stava sviluppando un missile anti nave 3M22 Zircon in grado di raggiungere i Mach 8, tecnicamente non intercettabile da qualunque difesa aerea. L’annuncio nel marzo 2018 di aver testato con successo un modernissimo missile ipersonico, il Kinzhal, probabilmente basato sulla struttura dell’Iskander, con caratteristiche Mach 10+ ad alta manovrabilità di 2000 chilometri di portata, trasportabile dai MiG-31BM, potrebbe costringere a riscrivere i manuali di tattica navale. Sono proprio i MIG 31 BM, caccia multiruolo in grado di colpire anche bersagli al suolo, a fungere da primo stadio per portare il missile antinave a 2, 5 mach. Un aereo sofisticato, dotato di un radar in grado di attivare contemporaneamente sia i missili aria-aria sia quelli aria-superficie, che può ingaggiare fino a ventiquattro bersagli contemporaneamente. 

In estrema sintesi, la marina russa sembra possedere oggi armi di grande letalità, da impiegare come strumenti di attacco, che potrebbero saturare e rendere inefficaci le capacità di Comando e Controllo dei paesi NATO. Tra le nuove costruzioni, la classe Admiral Grigorovich ha caratteristiche interessanti. Queste fregate, vendute anche all’India, hanno un dislocamento di 4.000 tonnellate ed una capacità propulsiva COCAG che assicura una velocità di 30 nodi con un‘autonomia di 30 giorni. La tecnologia costruttiva è modulare con caratteristiche stealth delle strutture per ridurre la segnatura radar. Sono equipaggiate con i nuovi sistemi modulari di difesa aerea e l’armamento comprende un lanciatore multiplo Kalibr che assicura una portata offensiva significativa. Si ritiene che questo tipo di unità abbiano lanciato su obbiettivi terrestri dell’ISIS in Siria. Unità quindi decisamente letali. Per quanto riguarda le vecchie costruzioni, esse si stanno rapidamente avvicinando alla fine della loro vita operativa. La portaerei Ammiraglio Kuznetsov, mostrata con orgoglio in molte news in occasione della sua dislocazione in Mediterraneo, sta rimandando da tempo le manutenzioni necessarie al suo mantenimento in efficienza. La fumata nera del suo passaggio nella Manica fece scalpore.

Gli sforzi costruttivi della cantieristica russa sembrano concentrarsi su unità di limitato tonnellaggio dando priorità a nuove armi letali che incrementino il raggio di portata dei loro sistemi offensivi con velocità non gestibili dagli attuali sistemi anti missile. Se vogliamo, il concetto di “fire and forget” sovietico non sembra essere del tutto cambiato. Mosca sembra quindi voler posizionare i suoi sistemi di difesa difensivi in ​​posizioni avanzate, appoggiandosi a paesi compiacenti, per deterrenza al fine di contrastare in caso di necessità l’alleanza atlantica, e in particolare gli Stati Uniti. Lo sviluppo della marina russa sembra quindi confermare l’intenzione di ammodernare i mezzi mantenendo il target su unità di relativamente limitato tonnellaggio. Le loro armi attuali (e future) hanno interessanti capacità con un raggio operativo mirato a scenari regionali. Ad esempio aeromobili come il SU-33, imbarcato sulla portaerei, assicurano un raggio di circa 3000 chilometri ed un armamento antiaereo e antinave con missili Moskit (250 chilometri di portata).  Sperimentati per la prima volta nel 2016, nella dislocazione nel Mediterraneo, hanno avuto un brutto incidente il 5 dicembre 2016, quando un velivolo, al suo secondo tentativo durante un appontaggio, a causa della rottura del cavo di arresto, si schiantò in mare.

I collaudati sistemi missilistici primari, come il Sizzler (Kalibr), hanno un raggio di circa 1.500 chilometri ma devono essere schierati in prossimità degli obbiettivi per essere veramente efficaci. Nel caso, ci devono ovviamente arrivare attraversando gli schermi di contrasto avversari.

Il dislocamento di queste forze ha anche un costo, in termini di infrastrutture e mezzi di supporto, che non può essere assicurato senza l’appoggio di paesi alleati o compiacenti che assicurino alla flotta russa un appoggio logistico avanzato. Questo conferma gli sforzi politici di Mosca di ottenere altri siti di ridislocazione per le sue forze navali, al fine di estendere il suo raggio “difensivo” in Mediterraneo, Oceano Indiano e Nord Africa.

In sintesi, la flotta russa sta subendo un ammodernamento che sembra orientarsi verso l’acquisizione di navi relativamente leggere e nuovi sottomarini.
La dislocazione mediterranea della flotta russa, a seguito della crisi siriana, ha avuto un riscontro propagandistico interno notevole, necessario per ridare fiducia alla componente navale, assicurando nuovi finanziamenti. Una fiducia necessaria per digerire il costoso programma di approvvigionamento delle nuove unità di superficie e subacquee. Forse, il maggior successo di Putin, va ricercato nell’ottenimento della base di Tartus da parte di Bashar al Assad, di fatto una vittoria politica che consente alla Marina russa di stabilire una task force stabile nel Mediterraneo ampliando il raggio di azione delle sue armi. 

Russia vs Stati Uniti … esiste il pericolo di uno scontro navale?
Arriviamo alla domanda più scottante: la Russia potrebbe sostenere l’impatto di uno scontro con la flotta statunitense, eventualmente rinforzata da mezzi britannici e francesi? Attualmente forse no, ma la superiorità occidentale si sta assottigliando. Di fatto uno scontro navale comporterebbe un inutile sforzo bellico che creerebbe una situazione di instabilità che non converrebbe a nessuno, compresi i paesi NATO, a causa dei danni collaterali. In attesa di comprendere se vi sia stato o no un attacco chimico, l’azione di Trump va quindi vista come una dimostrazione di forza, più o meno chirurgicamente portata avanti su obbiettivi siriani ben distanti dalle aree di interesse russe. Questo potrebbe spiegare il non impiego da parte dei russi dei loro sistemi antimissile ed il loro non coinvolgimento diretto a protezione dei Siriani. Azioni missilistiche come quelle perpetuate, il 14 di aprile 2018, vanno quindi viste come azioni di forza, probabilmente concordate, anche se non ufficialmente, dai  militari con i colleghi russi. Sebbene la pistola fumante dell’impiego da parte di Bashar al Assad di gas non sia stata dimostrata, la Russia dovrebbe comunque rendersi conto della situazione, concordando con gli altri attori soluzioni praticabili affinché episodi inumani come quelli avvenuti in passato non si ripetano. Inutile dire che le reazioni sono da manuale.

Un altro punto che voglio sottolineare è il fatto che apparentemente, nel caleidoscopio di situazioni complesse che affliggono la tormentata Siria, gli unici parametri che non sembrano essere cambiati sono i rapporti tra statunitensi e russi. Il vero terzo incomodo appare essere sempre più l’Iran, che ha dislocato milizie per rafforzare la sua politica di influenza nell’area con il rafforzamento sciita in Iraq,  con gli Hizbollah in Libano e gli Outhis nello Yemen. Sebbene alleato di Assad mantiene un rapporto con la Russia che è stato descritto come di “cooperazione tattica nell’ambito di una competizione strategica” nel dossier “la guerra in Siria, 2018, cit. Citati – Scalea. D’altro lato l’Iran dovrà fare i conti con Israele che da tempo denuncia i tentativi di danneggiare le sue piattaforme petrolifere da parte degli Hizbollah, e che non ha esitato a bombardare la base iraniana T4 nella provincia di Homs. Non solo con gli israeliani ma anche con i Sunniti, sia Sauditi che Turchi, che non gradiscono la politica di Teheran.  Ma questa è un’altra storia.

Tornando sul fronte marittimo, uno scontro tra Marine occidentali e russe appare quindi poco probabile.
Ambedue le superpotenze si rendono contro della delicatezza della situazione. D’altra parte, nei prossimi anni Russia e NATO dovranno trovare una soluzione di comune interesse per assicurare il controllo del proprio traffico commerciale da azioni perniciose perpetuate da paesi terzi. Intavolando una politica di dialogo costruttivo basata sul comune rispetto nella consapevolezza dell’esplosività della situazione in Medioriente. Un compito non facile in cui attori diversi giocano le loro partite mantenendo in Siria un territorio di scontro legato a problemi mai risolti e di difficile risoluzione.  

Trump e Putin hanno sicuramente la capacità politica di comprendere il rischio della situazione e di mettere insieme proposte di comune interesse per la protezione futura delle pipeline e dei commerci via mare salvaguardandoli da schegge impazzite. Ma, come sempre, il futuro si giocherà in mare.

 

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