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Il salvataggio dell’esercito Serbo.

tempo di lettura: 7 minuti

 

livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Regia Marina italiana, Esercito serbo-montenegrino
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Dal 22 novembre 1915 al 5 aprile 1916, la Regia Marina fu impiegata nella più grande operazione navale del primo conflitto: l’evacuazione dell’esercito Serbo e Montenegrino in rotta davanti agli Austriaci supportati dai Bulgari e bande irregolari di Albanesi.

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Fanteria serba a Ada Ciganlija durante la I guerra mondiale Vojska Ada Ciganlija.jpg – Wikimedia Commons

Dopo l’iniziale offensiva austriaca, stroncata dalla controffensiva serba del 1914, l’esercito serbo rimase a lungo inattivo; anche nel maggio dell’anno successivo, in concomitanza dell’entrata in guerra dell’Italia, i serbi non contrastarono gli austriaci sul loro fronte, sollevando le proteste le proteste del governo italiano. Nell’ottobre del 1915 le armate austro-germaniche, appoggiate dai bulgari entrati in guerra per l’occasione, sferrarono una grande offensiva che li portò ad occupare Belgrado e ad infliggere in pochi giorni una disfatta irreparabile ai Serbi. L’impatti fu tale che provocò alla fine di novembre la rotta dell’esercito di re Pietro che ripiegò disordinatamente verso l’Adriatico, assieme a 50.000 prigionieri austriaci e masse di profughi civili.

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la ritirata dell’esercito serbo verso l’Albania – Fonte Imperial War MuseumSerbian retreat WWI.jpg – Wikimedia Commons

La Regia Marina italiana, già impegnata a rifornire il Montenegro, intraprese l’onerosa missione di provvedere anche all’esercito serbo. Le condizioni di questa missione, non erano agevoli, a causa delle incursioni della flotta austriaca, che aveva le sue basi a breve distanza dai porti interessati; attacchi che provocarono la perdita di piroscafi e velieri adibiti al trasporto dei rifornimenti. Fu quindi necessario istituire dei servizi di scorta.

A causa della scarsità di torpediniere e caccia, impegnati anche nei pattugliamenti costieri e nel blocco del Canale d’Otranto, fu richiesto dalla Regia Marina italiana agli alleati di inviare del naviglio leggero, ma solo a dicembre inoltrato giunsero dodici cacciatorpediniere francesi. Intanto l’esercito italiano, al fine di alleggerire la pressione sui serbi, effettuò una serie di offensive sul Carso ed invio un contingente di circa 100.000 uomini in Albania al fine di garantire il controllo delle zone attorno a Valona e Durazzo.

Il 16 dicembre 1915 il governo Serbo lanciò una drammatica richiesta di aiuto agli alleati. Le truppe erano in fuga per evitare la capitolazione ed occorreva evacuare le truppe via mare da San Giovanni di Medua e Durazzo. Di fatto le proporzioni del disastro si facevano sempre maggiori; i profughi arrivavano ininterrottamente nei due porti, in migliaia iniziarono ad imbarcarsi sulle navi che ripartivano dopo aver scaricati i rifornimenti per l’esercito Serbo. Le concrete preoccupazioni di ordine sanitario fecero si che fossero destinati all’evacuazione i piroscafi Assiria e Città di Bari, saltuariamente supportati da altri piroscafi italiani e francesi; i profughi venivano sbarcati a Lipari, Favignana e Ponza, dove erano posti in quarantena per poi essere avviati verso altre destinazioni (soprattutto in Francia), mentre in Puglia furono accolti i malati e feriti, trasportati dalle navi ospedale della Regia Marina italiana.

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La Ferdinando Palasciano, un piroscafo ex nave passeggeri tedesca König Albert, allo scoppio della 1° Guerra Mondiale, venne requisito nel porto di Genova dalla Regia Marina italiana
Ferdinando Palasciano,1916.jpg – Wikimedia Commons

In questo contesto, va ricordato l’episodio della Palasciano, in origine il piroscafo tedesco Konig Albert che, internato allo scoppio delle ostilità nel 1914, era stato requisito dalla Regia Marina e ribattezzato Ferdinando Palasciano. La nave fu fermata da un sommergibile austriaco, che sequestrò a bordo il comandante e, in barba alle leggi internazionali, la condusse a Cattaro dove, dopo tre giorni di ispezioni, venne poi rilasciata. A metà dicembre iniziarono ad arrivare a Valona i prigionieri austriaci, che per le precarie condizioni dei trasferimenti si erano ridotti a 23.000; fra questi iniziavano a manifestarsi i sintomi del colera. Per arginare l’epidemia fu quindi deciso il loro trasferimento all’Asinara ed il primo scaglione di prigionieri salpò da Valona il 16 dicembre sui piroscafi Dante Alighieri e America, scortati per un tratto della navigazione dal cacciatorpediniere Francesco Nullo. Una missione che durò un mese e mezzo, dovendosi aggiungere ai tempi di navigazione anche quelli per le soste per la disinfezione dei piroscafi. Di fatto 1.400 prigionieri morirono prima di giungere a destinazione, e sui piroscafi Re Vittorio e Duca di Genova, nonostante gli sforzi del personale sanitario, i decessi raggiungessero il 25% dei trasportati.

Alla fine di gennaio tutti i prigionieri erano giunti a destinazione; in tutto il loro trasferimento erano state necessarie 15 traversate. Il 2 di gennaio il comandante della Seconda Squadra, Ammiraglio Emanuele Cutinelli Rendina, emanò le istruzioni per il trasporto dei soldati serbi a Biserta; questi, visti gli scarsi fondali e opere portuali di San Giovanni di Medua e Durazzo, dovevano essere imbarcati su piccoli piroscafi, che li avrebbero condotti a Valona, dove sarebbero stati trasbordati su piroscafi più grandi per il trasporto a destinazione.

Il 6 di gennaio l’ammiraglio Cutinelli Rendina, vista la possibilità di un imminente azione austriaca contro il Montenegro, la scarsa capacità dei porti utilizzati e la continua minaccia delle unità nemiche di stanza nel porto di Cattaro, propose di far giungere a Valona gli uomini e materiali via terra e di continuare ad usare i porti per l’invio di rifornimenti e l’evacuazione dei feriti sino a quando il porto fosse rimasto in mano dell’Intesa. Il giorno successivo l’Austria attaccò il Montenegro e Re Pietro di Serbia e Nicola I° del Montenegro si apprestarono a fuggire con le relative corti e governi; il 15 da San Giovanni di Medua il governo Serbo assieme alla regina ed alle principesse del Montenegro si imbarcò sul Città di Bari; il 21 gennaio fu la volta del Re Nicola I° con il suo governo ed il corpo diplomatico. Il porto di San Giovanni di Medua fu agibile sino al gennaio e, nonostante le carenze delle strutture portuali, partirono migliaia di soldati, profughi e materiale bellico.

La situazione del porto di Durazzo non era migliore in quanto le banchine non avevano le potenzialità necessarie alle dimensioni dell’esodo e non erano disponibili abbastanza imbarcazioni per trasferire gli uomini dai moli alle navi alla fonda in rada. Alla fine di abbreviare i tempi di navigazione si dispose di trasferire i militari a Corfù anziché Biserta, ma il ritardo principale era sempre dovuto alle operazioni di pulizia e disinfezione delle navi.

Il Ministero della Marina aveva programmato la movimentazione da Durazzo a Valona di 3.000/4.000 soldati al giorno, media che grazie alla collaborazione delle flotte alleate fu superata del 25%; nel trasferimento furono impiegati anche gli incrociatori ausiliari classe Città ( piroscafi requisiti alle F.S. e trasformati in incrociatori ausiliari). Dal 10 di febbraio gli Alleati iniziarono a distogliere le loro navi dalle operazioni, mentre la regia marina Italiana era intenzionata a mantenere Durazzo fino a quando possibile. Il 23 di febbraio si conclusero le partenze anche da Durazzo dopo il trasferimento di più di 100.000 uomini e relativi materiali. Dopo scontri fra le truppe austriache ed italiane, il 24 febbraio si decise di evacuare la città.  Il giorno dopo l’artiglieria austriaca iniziò a bombardare Durazzo, subito controbattuta dai pezzi delle unità italiane presenti in rada; la notte del 25-26 iniziò l’imbarco dei soldati Italiani, che lasciarono il porto verso la mezzanotte, giungendo a Valona la mattina seguente.

Nel frattempo a Valona erano iniziate le operazioni per l’evacuazione della fanteria serba; il problema più grande fu l’imbarco dei 10.000 uomini della cavalleria con i rispettivi 16.500 cavalli che richiesero apposite navi da trasporto (quattro italiane, due inglesi ed una francese); le operazioni furono rallentate anche dalle cattive condizioni meteo. Il 5 aprile si concludevano le operazioni di salvataggio dell’esercito Serbo, senza che questo perdesse un solo uomo; si pensi che dopo la sua riorganizzazione a Corfù queste furono rimpiegate sul fronte di Sebenico.

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l’arrivo dell’esercito sulle coste adriatiche Ukrcavanje 1916.jpg – Wikimedia Commons

Conclusioni
In tutto nelle operazioni furono impiegati: 45 piroscafi italiani che effettuarono un totale di 440 viaggi, 25 francesi (101 viaggi) ed 11 inglesi (19 viaggi) ma si persero 4 piroscafi italiani e 2 francesi a causa delle mine. Per l’evacuazione dei feriti, furono impiegate cinque navi ospedale e due navi ambulanza italiane, una francese ed una britannica. L’impegno delle Marine Militari non fu da meno: per la scorta ai convogli e missioni di protezione contro possibili incursioni della marina Austriaca furono effettuate 1159 missioni, di cui 584 condotte dalla Regia Marina, 340 dalla Marine Nationale e 235 dalla Royal Navy; queste operazioni portarono alla perdita di un cacciatorpediniere ed un dragamine Italiani, un cacciatorpediniere e 2 sommergibili Francesi e 5 dragamine Britannici, per contro la marina Austriaca perse 2 cacciatorpediniere e 5 sommergibili.

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L’arrivo dei Serbi a Brindisi sulla regia nave italiana Bixio da La spedizione in Albania – La Guerra all’orizzonte (guerra-allorizzonte.it)

Da rilevare che sul piano politico, si creò un discreto risentimento fra il governo Italiano e quelli Francese e Russo, questi ultimi investitesi protettori della Serbia erano favorevoli, al termine del conflitto, alla creazione di un’identità nazionale definita Grande Serbia. Essi tentarono di sminuire il ruolo dell’Italia nelle operazioni di salvataggio, tanto da suscitare proteste ufficiali da parte del governo Sonnino. Di fatto al termine delle operazioni sia l’Inghilterra che gli ammiragli Francesi riconobbero che il pieno successo dell’operazione era da attribuirsi all’Italia e alla sua marina.

Virginio Trucco

 

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