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Un ammiraglio della flotta di Nerone, Volusio Proculo: chi era costui?

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA ROMANA
PERIODO: I SECOLO d.C.
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Miseno, classis, Volusio Proculo
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Nell’anno 59 d.C. era comandante della flotta di Miseno, un incarico che in termini moderni chiameremmo Comandante in capo del Mediterraneo orientale, il liberto Libero Aniceto, un vecchio amico e precettore di Nerone: era un uomo intelligente e fidato, tanto fidato che l’imperatore gli aveva affidato l’incaricò di uccidere la madre Agrippina minore

Dopo la morte dell’imperatore Claudio, un colpo di stato da parte della sua seconda moglie Agrippina, fece salire al potere, il 13 ottobre 54, il figlio Lucio Domizio Enobarbo che assunse il nome di Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico.  Nerone, quinto imperatore romano fu l’ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia regnando per 14 anni fino al suo suicidio avvenuto il 9 giugno 68.  Sebbene sia sempre stato accreditato come un folle tiranno sanguinario, negli ultimi anni molti storici hanno rivalutato il personaggio, mettendo in discussione anche la sua reale colpevolezza durante l’incendio di Roma. Pur avendo una personalità piuttosto instabile fu un protettore delle Arti, ordinò una rivisitazione del sistema monetario, fu sempre più vicino al popolo che alla classe aristocratica, cosa che contribuì alla creazione della sua cattiva fama. 

Aniceto, che era appassionato di macchine e di meccanismi,  progettò una nave-trappola che al momento in cui avesse avuto a bordo l’imperatrice madre si sarebbe sfasciata e lei sarebbe annegata. Sarebbe stato facile trovare l’occasione favorevole perché Agrippina si spostava spesso nel mare di Napoli con una liburna militare, leggera e veloce, che era tenuta a sua disposizione. Al momento opportuno fu ordinato al comandante  di simulare un’avaria così che la nave potesse essere sostituita con l’unità truccata.

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Il naufragio di Agrippina. Quadro di Gustav Wertheimer (1847-1902)

Dal punto di vista tecnico l’espediente funzionò bene, ma Agrippina riuscì a raggiungere a nuoto la riva e a rifugiarsi nella sua villa di Baia. Nerone, come lo seppe, ordinò subito ad Aniceto di eliminarla senza ricorrere ad altri sotterfugi. L’ordine fu immediatamente eseguito e un commando di marinai della flotta si recò alla villa occupandola  manu militari. Gli esecutori dell’assassinio, presente l’ammiraglio, furono il centurio classiarius Obarito e il trierarchus Erculeio cioè due ufficiali di grado non elevato, che rappresentavano le due componenti dell’armata navale romana: il personale navigante e la fanteria da sbarco. In questo modo  Aniceto volle coinvolgere simbolicamente tutti i marinai per testimoniare la fedeltà monolitica della flotta agli ordini dell’imperatore.

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L’assassinio di Agrippina. Stampa di Bartolomeo Pinelli (1781-1835)

La congiura pisoniana
Passarono alcuni anni e nel 65, poco dopo il grande incendio di Roma,  gli attriti fra Nerone e la classe aristocratica erano diventati così insanabili che i senatori cominciarono ad organizzare una congiura per eliminarlo, che fu chiamata congiura pisoniana dal nome di Calpurnio Pisone, uno fra i principali organizzatori.

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Busto in bronzo di Lucio Calpurnio Pisone Pontefice rinvenuto nella Villa dei Papiri di Ercolano

Vi parteciparono anche molti alti ufficiali, ma nessuno della marina che, retta con pugno di ferro da Libero Aniceto, era stata plasmata come uno strumento ciecamente fedele all’imperatore. Eppure il suo coinvolgimento sarebbe stato importante, addirittura fondamentale, perché al momento in cui Nerone fosse stato su una nave il suo assassinio sarebbe stato molto facile e la reazione dei pochi pretoriani imbarcati sarebbe stata altrettanto facilmente soffocata. Per vedere se fra i marinai, tutti di provata fedeltà, si potesse trovare un punto debole, fu incaricata di sondare il terreno una certa Epicari o Epicharis, una liberta che oggi potremmo chiamare modernamente escort, che aveva molte conoscenze altolocate tanto a Roma che a Miseno.

Sembrò che la persona giusta fosse Volusio Proculo, un ufficiale  che aveva partecipato all’assassinio di Agrippina, benché forse in un ruolo secondario (1) e che si lamentava di non aver ricevuto alcuna ricompensa al contrario di altri, per non parlare di Aniceto che, a quanto sembra, aveva avuto in dono quella residenza che noi oggi chiamiamo Villa dei Misteri a Pompei. Tacito, negli Annales, lo definisce navarchus, grado che indicava un ufficiale superiore comandante di più navi  mentre altre fonti  lo indicano semplicemente come comandante di una trireme, altre come comandante di tutta la flotta e altre ancora come un chiliarca, comandante di mille  uomini.

Non doveva essere comunque un qualsiasi subalterno perché altrimenti non avrebbe fatto parte del giro di conoscenze esclusive e altolocate di Epicari né, senza alcuna soggezione e senza usare la via gerarchica, si sarebbe recato a Roma dove poté conferire direttamente con Nerone o con il suo braccio destro Tigellino, riferendo il tentativo di corruzione. Sul momento l’imperatore sembrò non dare un eccessivo peso a quanto gli era stato confidato, ma il suo cervello cominciò a lavorare: fece imprigionare Epicari e cominciò a valutare prudentemente altri indizi. Raggiunta la convinzione che si stava ordendo una vasta congiura contro di lui, reagì in modo spietato e decine i senatori vennero uccisi o costretti al suicidio, compreso il filosofo Seneca, il poeta Lucano, Petronio Arbitro, oltre a molte persone estranee ad ogni macchinazione ma vittime di delazioni per inimicizia personale o per cercare qualche indulgenza.

 

Epicari non fece mai alcun nome dei congiurati, neppure sotto tortura, e si suicidò piuttosto che tradire. Giovanni  Boccaccio, pur definendola donna volgare, la considerò degna di ammirazione (2). Chi sa troppe cose fa normalmente una brutta fine e in questo stesso periodo Libero Aniceto si rese conto di essere da anni a conoscenza di troppi intrighi (3). Decise quindi di lasciare tutte le sue cariche e chiese all’imperatore il permesso di ritirarsi nelle sue proprietà in Sardegna. Nerone non aveva ancora dato segni di squilibrio mentale:  uomo  intelligente, capì subito la ragione di quella richiesta e per la regola non scritta, “permesso accordato, silenzio assicurato“, l’ammiraglio poté trascorrere tranquillamente i suoi ultimi anni, benché isolato chissà dove e forse con non troppi agi. A seguito di questo fatto si rese vacante la carica di comandante di Miseno e, finalmente, Volusio Proculo ottenne la meritata ricompensa divenendo  Praefectus classis.

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Baia sommersa – la semicolonna laterizia del portico della “Villa dei Pisoni” dove fu pianificata la congiura. L’intero complesso, intatto, si trova sommerso a causa del bradisismo locale – foto di Nicola Severino

Dopo questi momenti, in cui svolse un ruolo fondamentale della storia romana, si perdono le tracce di Volusio Proculo. Peraltro il suo nome ha sfidato i secoli nella storia e nella letteratura. Mentre Epicari è stata considerata un’eroina, simbolo di coraggio e di libertà, lui è dipinto come un personaggio sinistro e traditore, equiparandolo a Giuda. D’altra parte, nel medioevo, Nerone era considerato l’Anticristo e in tempi più moderni si celebrava il tirannicidio con la conseguente esaltazione di chi si opponeva, anche con la violenza, al tiranno e l’esecrazione di chi lo sosteneva. Al contrario, un esame obiettivo ribalta il giudizio su Volusio Proculo che si dimostrò in realtà un militare leale che fece puntualmente il suo dovere, soffocando le sue recriminazioni e, soprattutto, tenendo fede al giuramento verso il legittimo imperatore.   

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Veduta di una villa maritima. Affresco, ante 79, dalla sala n. 60 di Villa San Marco, Stabiae, I secolo

E’ certo che rimase in carica pochi anni perché a Nerone, suicidatosi nel 68, subentrarono nel volgere di pochi mesi come imperatori Galba e poi Vitellio, che nominò Sesto Lucilio Basso, un esperto generale di cavalleria, Praefectus tanto della flotta di stanza a Miseno che di quella ravennate. E’ quindi probabile che Volusio Proculo, fedele ammiraglio di Nerone, assieme a tutti i fedelissimi, sia stato travolto dalla fine del regime neroniano.

Guglielmo Evangelista

in anteprima sesterzio di Nerone

 

Note
(1) Non è però da escludersi che sia stato proprio lui a vibrare il colpo mortale se, come insinuano molti storici, tra cui Tacito (Annales, libro XIV),  usando nomi fittizi per i due esecutori materiali.

(2) Boccaccio, De claris  mulieribus, cap. XC.  

(3) Tempo prima, d’accordo con Nerone, Licio Aniceto aveva anche finto di essere l’amante di Ottavia, all’epoca moglie dell’imperatore, per fornire il pretesto del ripudio. Secondo Publio Cornelio TacitoAnnales, libro XIII, XII : “quando uxore ab Octavia, nobile quidem et probitatis spectatae, fato quodam, an quia praevalent inlicta, abhorrebat…” – “[Nerone] aborriva dalla moglie Ottavia, che pur era di nobile stirpe e di specchiata onestà“.

 

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