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Il corpo ritrovato a Stabia apparteneva a Plinio il Vecchio? Un cold case di quasi duemila anni – parte II

tempo di lettura: 6 minuti


livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE ROMANA
PERIODO: I SECOLO d.C.
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: Plinio il Vecchio
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Dopo due millenni
Il 20 settembre 1900 l’ingegner Gennaro Matrone, noto imprenditore della zona vesuviana, in una sua proprietà presso l’antica Stabia stava facendo eseguire dei lavori per bonificare un terreno allagato quando sotto lo strato di ceneri furono rinvenuti ben 74 corpi. L’ingegner Matrone esaminò con attenzione il ritrovamento notando che, un pò discosto dagli altri, uno degli scheletri era abbigliato in modo sorprendente: portava una grossa collana d’oro, gioielli e un anello tipico dei cavalieri, ma soprattutto era armato con un gladio da parata, la corta spada romana, con l’elsa e il fodero lavorati in modo insolito perché tempestati di conchiglie sbalzate e altre immagini marine: era un oggetto preziosissimo, con parti in oro, argento, avorio e ambra: un oggetto riservato a persone importanti, ma fuori posto nella zona di Pompei dove le scoperte archeologiche hanno dimostrato – almeno finora – che non vi si trovavano personaggi di rango, trasferitisi altrove dopo il terremoto del 62 o allontanatisi alle prime avvisaglie dell’eruzione lasciando personale fidato a guardia dei propri beni. Il ritrovamento ebbe una certa eco mediatica e fu facile arrivare alla conclusione che si trattasse proprio di Plinio.
Intervenne anche il console di Francia a Castellammare che ricordò che nel 1858, a breve distanza da quel luogo, erano stati trovati i resti di un’imbarcazione che per il suo aspetto fu identificata come una liburna militare (2), maneggevole e leggera. Era la piccola nave che stava aspettando il ritorno dell’ammiraglio per portarlo al largo, considerato che le unità maggiori erano costrette a tenersi lontano?

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Liburne romane in un bassorilievo della Colonna Traiana – Calco del XIX secolo di Conrad Cichorius, da Wikipedia

Il ritrovamento dette l’avvio a un certa curiosità ma anche a feroci polemiche e sicuramente gli fece una cattiva pubblicità l’ intervento di una medium,, tra l’altro del tutto inutile perché dichiarò che l’energia sviluppata dai reperti era troppo forte perché potesse indagare oltre. In mancanza di prove certe il mondo accademico accolse la notizia freddamente e ci fu chi affermò che un ammiraglio non poteva andare vestito come “una ballerina d’avanspettacolo”, senza tener conto che i ricchi uomini romani usavano a profusione ornamenti preziosi. Certo in quei frangenti non era un abbigliamento molto pratico, ma Plinio era un veterano: pensò bene di indossare la “gran divisa” per essere riconoscibile e autorevole in mezzo ai suoi uomini in un momento in cui mantenere la disciplina fra i marinai e dar loro un punto di riferimento era essenziale.

Un altro importante indizio fu costituito dal fatto che fra i corpi più vicini a quello dell’ammiraglio fu trovato un medico che aveva con sé una cassetta con medicinali ed un individuo di corporatura molto robusta alto due metri e dieci centimetri, una statura assolutamente eccezionale anche per oggi. Si potrebbe concludere che il primo fosse un principalis, cioè un medico di marina, forse la scorta abituale di Plinio che sappiamo era affetto da una salute malferma, e il secondo poteva essere la sua guardia del corpo, l’”attendente” di fiducia. Certo l’ammiraglio non si muoveva mai da solo e tanto meno in quel frangente. E il nipote ci conferma che la sua gola era “per natura debole, stretta e spesso infiammata” e aggiunge a proposito dei suoi ultimi istanti: “Sorreggendosi su due servitori si alzò e subito cadde” (Innitens servulis duobus assurexit et statim concidit). Sono proprio le stesse due persone che gli sono state ritrovate vicino? E, infine, Plinio era un Cavaliere e l’anello ritrovatogli al dito potrebbe essere un ulteriore indizio dell’identità del proprietario.

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L’eruzione del Vesuvio in un quadro di John Martin del 1821. Potrebbe essersi ispirato al racconto della morte di Plinio raffigurando uniformi militari e navi da guerra squassate dal maremoto. – da wikipedia

E non solo lui

Come abbiamo detto l’operazione ordinata da Plinio può essere considerata il primo soccorso umanitario della storia. Valutandola con il metro di oggi un’impresa del genere che avrebbe avuto bisogno di un attento studio a priori, di un apparato logistico e di lunghe esercitazioni, ma nessuno aveva mai neppure concepito qualcosa del genere. Di conseguenza, come abbiamo già detto, nonostante il dispiegamento di forze i risultati furono modesti, forse addirittura nulli: l’improvvisazione, benché animata dalle migliori intenzioni, non paga mai. Se fu lo stesso comandante a soccombere, a maggior ragione altri esecutori dei suoi ordini perirono con lui. Ne è un esempio la cosiddetta “vittima n. 26” ritrovata ad Ercolano. Come è stato illustrato in uno degli interessanti servizi di Alberto Angela, ad Ercolano sono stati ritrovate decine di scheletri ammassati sotto le arcate dove, in riva a quella che era allora la spiaggia, venivano tenute le barche da pesca e dove la gente aveva cercato un inutile rifugio, uccisa all’istante dall’onda piroclastica. Assieme a questi corpi nel 1982 fu trovata una robusta scialuppa a sei vogatori più il timoniere con nessuno spazio per il carico o il pescato, la linea slanciata e la ruota di prora verniciata in rosso vivo. Se ne desume che fosse appartenuta ad una nave da guerra e a poca distanza dai suoi resti fu rinvenuto un militare, un marinaio o un classiarius, cioè un fante di marina. Portava una lorica in cuoio, abituale indumento del personale in servizio fuori dai teatri di guerra e, particolare importante, come il suo superiore era armato anche se non certo con armi preziose. Le vittime di Pompei ed Ercolano erano persone comuni e non avevano quindi armi … tanto meno se erano schiavi.

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Il cinturone e le armi del militare di Ercolano

L’esame antropologico ha concluso che si trattava di un uomo di 40-45 anni, in eccellenti condizioni fisiche con accanto a lui arnesi da carpentiere. Era quindi qualcuno che faceva parte di una squadra proveniente da una nave con l’incarico, molto fumoso, di addentrarsi in esplorazione in città, dotato dell’attrezzatura per rimuovere qualche ostacolo che ostacolasse il cammino. Con un po’ di fantasia possiamo immaginare l’improvviso conforto dei poveri profughi quando, nella caligine, avranno scorto le ombre di uomini che si avvicinavano con passo militaresco e sicuro e che forse avranno gridato parole rassicuranti, ignari che in brevissimo tempo tutti avrebbero fatto la medesima fine.

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La scialuppa di Ercolano (Foto De Feo Restauri srl)

Un lungo oblio e di nuovo alla ribalta 
Nonostante il ritrovamento fosse stato divulgato con tutti i particolari, la Soprintendenza non ne fu molto interessata e, trattandosi di un’area privata, lasciò i gioielli al proprietario che fece riseppellire i corpi.
Benché il Matrone fosse anche un collezionista e possedesse un museo privato, successivamente vendette tutto il materiale che aveva trovato eccetto il gladio che però, esposto all’aria, deperì in modo inarrestabile e di cui rimasero pochi frammenti. L’ingegnere aveva tenuto per sé anche il presunto cranio dell’ammiraglio che rimase invenduto per motivi … non difficili da immaginare. Alla fine, tramite gli eredi e anni dopo, il reperto finì nel Museo dell’Arte Sanitaria di Roma, dove rimase praticamente ignorato, carico di tanti indizi ma non di prove. I metodi moderni di indagine e l’interesse per le nuove prospettive che essi aprivano alla ricerca scientifica, hanno portato a riesaminare molti reperti antichi, non ultimo anche questo. Non fu l’iniziativa di qualche privato in cerca di notorietà, ma se ne occuparono seriamente il CNR, l’Università La Sapienza di Roma, quella di Firenze e quella di Macerata. Il risultato di accurati esami osteologici, del DNA e degli isotopi radioattivi rivelò che la mandibola apparteneva ad un altro individuo, frutto di restauri fantasiosi, ma il cranio era di un uomo di oltre 50 anni, proveniente dalla pianura padana e vissuto nell’Italia Centrale. Considerando che Plinio era nato a Como nel 23 ed aveva 56 anni al momento della morte la coincidenza è interessante. Il fatto fu ampiamente riportato dalla stampa, anche quella scientifica, a tutti i livelli. Sotto lo stimolo del bimillenario dalla nascita furono effettuate conferenze, dibattiti ed esposizioni. Naturalmente non si può raggiungere un’assoluta certezza, ma come è stato più volte scritto, non c’è assolutamente nulla che possa contraddire questa affascinante ipotesi.
Guglielmo Evangelista

Note

2) La liburna era una nave originaria della costa illirica. Era molto leggera e veloce, a un solo ordine di remi, generalmente lunga 30 metri e larga 5.
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in anteprima cranio di “Plinio”, conservato presso l’Accademia dell’arte sanitaria – photo credit Andrea Cionci 

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PARTE I PARTE II
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