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Toschi: la prigionia e i tentativi di fuga dai campi di prigionia inglesi – Parte XI

tempo di lettura: 11 minuti

 

livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA:DIDATTICA

parole chiave: Elios Toschi, prigionia, India
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Con l’affondamento del sommergibile Gondar, la guerra di Toschi, Giorgini e Brunetti si conclude. Gli uomini del Gondar finirono dapprima nel campo di prigionia di Geneifa, in Egitto, dove già si trovavano i superstiti dei sommergibili Berillo, Rubino, Galvani ed Uebi Scebeli e di altre unità affondate durante l’estate del 1940; successivamente vennero trasferiti in vari campi di prigionia dell’India. Il capitano Armi Navali Gustavo Stefanini, futuro amministratore delegato della OTO Melara, rimase prigioniero a Bangalore fino al 1946; il capitano di fregata Mario Giorgini rimase in prigionia fino all’aprile 1946, mentre lo sfortunato comandante Francesco Brunetti venne rimpatriato nel 1944, durante la cobelligeranza. Ma queste sono altre storie. 

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Non tutti di loro si rassegnarono a passare il resto della guerra dietro ad un reticolato: Elios Toschi, dopo essere passato prima nell’inferno dei campi egiziani ed in seguito indiani di Ahmednagar e Ramgarh, dove tentò le prime fughe, venne confinato ad un campo ai piedi dell’Himalaya chiamato YOL, per “Young Officers Leave”. In realtà si trattava di quattro campi (25, 26, 27 e 28) ognuno contenente cinque recinti. A sua volta ogni recinto conteneva una decina di dignitose baracche di legno con il tetto in eternit. In ogni baracca vi erano sei stanzette che ospitavano  trentasei prigionieri italiani. In pratica un grande campo di prigionia alle falde dell’Himalaya, sicuramente più dignitoso di quelli precedenti, se non altro per le condizioni igieniche. YOL era riservato ai prigionieri più problematici. gli irriducibili che avevano già tentato più volte di fuggire per tornare a combattere in Patria. Interessante un articolo su una rivista dell’epoca sulla tendenza (definita un hobby) a scappare degli Italiani prigionieri in quel campo. Gli italiani si ingegnavano costruendo strumenti, organizzandosi per avere una vita più dignitosa, sotto gli occhi ammirati dei carcerieri indiani, che riferivano alle autorità britanniche, “magnificando le risorse morali e l’industriosità degli italiani“.



Questo articolo ti interessa? Su OCEAN4FUTURE, il portale del Mare e della Marittimità, troverai numerosi articoli sulla storia dei mezzi di assalto della Regia Marina italiana e dei loro eredi (Com.Sub.In.), corredati da molte foto provenienti da archivi privati, per meglio comprendere il loro valore ed importanza. Se hai domande puoi lasciare un commento in calce all’articolo oppure scriverci alla nostra mail: infoocean4future@gmail.com

Gli Inglesi certamente non gradivano ed in un rapporto, riportato da Giovanni Marizza in La storia dei diecimila soldati italiani prigionieri in India, scrisseroè impossibile che gli italiani, noti nel mondo per la poca attitudine al lavoro, sappiano creare, senza complici e senza aiuti esterni, opere degne di figurare in una mostra di materiali di precisione”.

Di fatto dei prigionieri in mano agli inglesi, 33.302 vennero deportati in India, e di questi ben 10.000 ufficiali furono rinchiusi nel campo di YOL, dove rimarranno fino alla fine del 1946. In quei campi, dopo l’8 settembre, furono suddivisi tra coloro che si dichiaravano disposti a collaborare e quelli che invece consideravano tale scelta un tradimento. Poco importante se avessero virtualmente aderito alla Repubblica di Salò o semplicemente perché non volessero collaborare. Questi ultimi furono internati nel campo 25, con razione ridotta a 900 calorie al giorno contro le 2900 degli altri. Alcuni non ce la fecero e riposano in quello che veniva chiamato il campo 29, ovvero il non lontano cimitero. 

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prigionieri italiani nel campo YOL 
Prigionieri a Yol storia dimenticata dei trentini in India – Trento – Il nuovo Trentino (giornaletrentino.it)

In India Toschi con l’amico Camillo Milesi Ferretti, ex comandante del regio sommergibile Berillo, ritrova il tenente di vascello Luigi Faggioni, anche lui un assaltatore, che lo aggiorna sulla missione vittoriosa del 26 marzo 1941 nella baia di Suda, a Creta, culminata con l’affondamento dell’incrociatore britannico York ed il danneggiamento della petroliera Pericles che, inseguito, affondò poi in un secondo tempo sulla via di Alessandria d’Egitto.

Il periodo in India
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è fuga-dallHimalaya-toschi.jpgElios Toschi, nel libro “In Fuga dall’Himalaya“, racconta i tentativi di fuga che mette in atto sin dal suo arrivo in India, prima scappando da un treno assieme all’amico Camillo Milesi Ferretti, ex comandante del regio sommergibile Berillo. Riescono ad arrivare con un taxi al confine con la colonia portoghese ma vengono ricatturati ed internati in altri campi, durissimi, dove il clima estremo miete quotidianamente molte vittime, spesso nell’indifferenza dei carcerieri. La meta finale, YOL, un gruppo di campi alle falde dell’Himalaya.

Nel campo tra i prigionieri italiani incontra un viso familiare, il tenente di vascello Luigi Faggioni, anche lui un assaltatore che aveva conosciuto al Serchio. Faggioni era un pilota di MTM, quei barchini esplosivi che avevano tranciato tante reti dei pescatori alla foce del fiume. 

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il comandante Luigi Faggioni

Luigi Faggioni, comandante dell’azione contro Suda, ed altri cinque assaltatori della X Flottiglia MAS, piloti di barchini MTM (sottotenente di vascello Angelo Cabrini, capo meccanico di seconda classe Alessio De Vito, capo meccanico di terza classe Tullio Tedeschi, secondo capo meccanico Lino Beccati, sergente cannoniere Emilio Barberi), a seguito della operazione, ricevettero la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Per chi avesse l’occasione, consiglio la visita del piccolo museo di Suda, dove esiste una bella sala storica dedicata all’azione degli Italiani durante la notte di Suda. Considerando che la Grecia era nemica dell’Italia durante la guerra fa pensare che in un altro Paese, si trovi spazio per ricordare queste pagine di storia, da noi spesso nascoste, quasi fossero espressioni di un Regime con il quale, in realtà, non avevano nulla a spartire.

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esemplare di MTM, Motoscafo da Turismo Modificato – ufficio storico della marina

Faggioni è entusiasta e lo aggiorna sulla missione vittoriosa del 26 marzo 1941, condotta contro le navi britanniche nella baia di Suda, a Creta, e culminata con l’affondamento dell’incrociatore britannico HMS York ed il danneggiamento della petroliera Pericles (nave che non sanno affonderà in un secondo tempo sulla via di Alessandria d’Egitto a causa dei danni riportati durante l’attacco). Di fatto i barchini esplosivi raccolsero il primo successo prima dei siluri a lunga corsa, ideati e faticosamente sviluppati da Teseo Tesei e Elios Toschi. Un caso, visto che, dopo poco tempo, nella notte tra il 18 e il 19 dicembre, tre maiali avrebbero attaccato Alessandria d’Egitto (operazione GA3), affondando ben due navi da battaglia britanniche HMS Queen Elizabeth (33.550 t) e HMS Valiant (27.500 t) e danneggiando la nave cisterna Sagona (7.750 t) ed il cacciatorpediniere HMS Jervis (1.690 t) … ma queste sono altre storie che abbiamo già raccontato.

Nei campi di concentramento di YOL i prigionieri italiani, gli irriducibili, effettuano diversi tentativi di fuga, scavando lunghi tunnel, piccole opere di ingegneria, che falliscono spesso a seguito delle denunce di altri commilitoni. Un comportamento vigliacco che dimostra come possa scendere in basso l’animo umano, tradendo i propri colleghi e amici per piccoli vantaggi. Delusi  e amareggiati, Toschi, Faggioni e Milesi decidono di organizzarsi da soli, senza condividere con nessuno il loro intendimento. Toschi, che ha appreso la lingua dai paria che fanno il lavori nel campo, studia la geografia del Paese, mettendo insieme pezzi di carte geografiche; comprende che l’unico modo per poter fuggire è diventare quanto più possibile simile a loro. Finalmente riescono a ultimare un tunnel sotterraneo, scavato da soli senza informare nessuno, che li porta oltre le recinzioni; c’è voluto molto tempo e Toschi nel frattempo ha imparato la lingua locale con una certa capacità, acquisendo dai poveri servitori indiani le informazioni necessarie per dirigersi, attraversando valichi al limite del possibile, verso l’Afghanistan o comunque verso aree in cui la presenza britannica non è ben vista dalla popolazione locale. Comprende che l’unico modo per poter fuggire è diventare quanto più possibile simile a loro, nelle movenze, e nelle vesti che abilmente riproducono.

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memoriale costruito dai prigionieri italiani a YOL – la parte superiore (simbolicamente delle ali) idealizza l’insaziabile voglia dell’Uomo di libertà ed è posta al di sopra della struttura di pietre inferiore, che  rappresenta il campo di concentramento – foto da Twitter: hpatil@himan127

Toschi studia la geografia del Paese mettendo insieme pezzi di carte geografiche e ipotizza di arrivare in Afghanistan attraversando i passi montani. Non ci sono mappe per questo ma conta sull’aiuto degli indigeni locali. Il racconto della loro fuga è decisamente epico. Toschi racconta la loro odissea tra ghiacciai e foreste impenetrabili, attanagliati dalla fame e dalla stanchezza, con i piedi piagati dal lungo cammino, fasciati con le povere vesti, gli incontri con i locali, le loro usanze. Sotto un certo aspetto la lettura ricorda i resoconti scritti, decadi dopo, dalla splendida penna di Tiziano Terzani.

Ad un certo punto Camillo Milesi decide di lasciarli. Si rende conto che il viaggio sarà troppo duro e gli sarebbe solo di impaccio … decide quindi di raggiungere in treno Bombay, affrontando un lungo viaggio in cui sa che potrà essere facilmente intercettato dagli Inglesi. Il suo piano è arrivare nella Goa portoghese per poi trovare un passaggio su un cargo diretto in Italia. La sua storia è raccontata nel libro “20.000 rupie di taglia”- Non si vedranno più perchè morirà nel 1949, dopo il suo rientro. 

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il comandante Camillo Milesi Ferretti raccontò la sua storia di fuga nel libro  “20.000 rupie di taglia” (1948) diario di guerra, prigionia e fuga da Yol. Sopravvissuto all’affondamento nel Mar Rosso del suo sommergile, R. Smg.  Berillo fu catturato ed internato in India. Dopo tre tentativi di evasioni fallite, alla quarta, assieme ad Elios Toschi e Luigi Faggioni, nonostante una taglia di ventimila rupie sulla testa, camuffato da indigeno, raggiunge la città portoghese di Goa dove viene ricatturato da agenti segreti inglesi. Riesce comunque a liberarsi per rientrare in Italia. Ci riuscirà solo dopo la fine del conflitto riuscendo a raggiungere il Portogallo. Nel 1949 fu ritrovato morto dai suoi familiari, c’è chi dice per un malore chi per un colpo di pistola alla testa … ciò che colpisce è che anche questa figura nobile sia stata volutamente cancellata dalla storia … quasi per coprire il suo spessore morale ed etico di ufficiale 

Toschi racconta: “I passi della catena Himalayana sono più alti delle più alte vette d’Europa. Preceduti da un pastore tibetano che siamo riusciti ad assoldare, Faggioni ed io stiamo trascinandoci da più di un ora, tentando di risalirlo, su di uno scosceso lastrone a quota 4800 metri. Siamo a non più di cento metri dal passo, ma dubitiamo di poterlo mai valicare. Le forze ci stanno abbandonando. Per salire solleviamo le nostre gambe, che non ci rispondono più, a forza di braccia. Il pastore, pochi metri più in alto di noi, ci grida ogni tanto la solita pietosa bugia: «siamo quasi arrivati» per ridarci coraggio. Quando ci sentiamo mancare, ci lasciamo cadere sulle rocce e vi restiamo distesi finché non sentiamo riemergere in noi la volontà cosciente. Nevica. Il freddo è intenso. Se non passiamo prima di notte, siamo spacciati. Tre mesi fa siamo fuggiti dal campo prigionieri di Yol dove siamo finiti entrambi, a pochi mesi di distanza, io dopo la spedizione d’Alessandria, Faggioni dopo Suda, la prima impresa vittoriosa dei mezzi d’assalto italiani nell’ultima guerra. Ieri, prima della nostra partenza per il balzo pauroso verso il Tibet, durante le lunghe ore di riposo e di attesa, egli mi ha raccontato ancora una volta le vicende incredibili, se non fossero vere, del prodigioso attacco. Come spesso accade, la prima vittoria alle nostre armi doveva venire dal fratello minore della famiglia dei mezzi d’assalto, dal figliol prodigo anziché dal primogenito, dal barchino invece che dal maiale. I barchini erano nati poco dopo i maiali.”  

Toschi e Faggioni continuano il loro viaggio, attraversando nuovi ghiacciai e dirupi paurosi; una notte, in attesa di attraversare un guado che li porterà in salvo,  arrivano ad un villaggio e vengono traditi da un indigeno locale. Stanchi e affamati, scoprono troppo tardi di essere stati traditi … probabilmente gli indigeni pensano di potersi impadronire delle rupie che hanno visto in possesso degli italiani. Toschi si accorge che qualcosa sta per succedere, prende dai calzini una manciata di banconote e, all’arrivo della polizia, prima di essere perquisito, platealmente le estrae dalla tasca e le strappa, buttandole in faccia ai presenti. Questo confonde i poliziotti che non procedono alla perquisizione, consentendo a Toschi di salvare il resto, utile per una futura fuga. Il ritorno a YOL avviene in Jeep e Toschi e Faggioni ritornano in quel campo ai piedi dell’Himalaya, che speravano di non vedere mai più, con tanta amarezza.

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i reticolati dei campi di concentramento di YOL
Il blog della Biblioteca di Marradi: Prigionieri alle falde dell’Himalaya (ilkiblog.blogspot.com)

Passa del tempo e Toschi vuole fuggire nuovamente, ma Faggioni non se la sente più. Troverà un nuovo compagno di fuga, il sottotenente Pasqualino Anastasio, un ufficiale atletico e motivato che, tra l’altro, parla molto bene l’urdu. Questa volta, grazie all’aiuto di un pastore locale, Khala, riusciranno dopo nuove peripezie ad arrivare a Diu, un piccolo isolotto, dominio portoghese, nei pressi di Goa, sfruttando la rete ferroviaria, travestiti da Indiani del nord. Al loro arrivo in terra portoghese scopriranno però che la guerra è finita e dovranno solo aspettare un cargo per poter tornare a casa … Sono passati sei anni. 

Non si sa molto sulla vita di Toschi nell’immediato dopoguerra. Si sa che con il compagno di corso, l’ammiraglio Gino Birindelli, nel 1973 aveva fondato «L’Unione nazionale amici del soldato d’Italia» di cui non ho trovato più traccia. Nel 1979, fu fra i soci fondatori dell’ISTRID (Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa) e divenne Amministratore unico dell’EDIF (società a responsabilità limitata, costituita il 15 ottobre 1979), che pubblicava il bollettino Informazione parlamentare Difesa. Alto funzionario della società OTO MELARA (diretta da Gustavo Stefanini, che abbiamo già conosciuto), incaricato di attività promozionali per la vendita dei prodotti di questa azienda in particolare presso gli ambienti politici e militari italiani e anche all’estero. Elio Toschi si spense a Grottaferrata il 26 aprile 1989. 

Prima di chiudere questo racconto sulla sua vita, che avete pazientemente seguito, vi vorrei invitare a leggere il prossimo e ultimo articolo su di lui che descrive il suo testamento spirituale, una testimonianza di quegli anni tragici e delle speranze di quei giovani, uniti da quella profonda amicizia iniziata sotto il brigantino dell’Accademia Navale, che avevano una speranza per un mondo migliore.

Andrea Mucedola

 

@ copyright del testo dell’autore andrea mucedola

immagini, se non diversamente attribuite,  @Ufficio storico della Marina Militare italiana 
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Bibliografia
Beppe Pegolotti, Uomini contro navi, Vallecchi, 1959
Elios Toschi, Tesei e i Cavalieri subacquei, Giovanni Volpe Editore, 1967, Roma
Elios Toschi, In Fuga oltre l’Himalaya, Edizione EDIF, 1968
Ghetti, Storia della Marina italiana nella seconda guerra mondiale, De Vecchi Editore, 1968
Luis de la Sierra, Gli assaltatori del mare, Mursia, 1971
Alfredo Brauzzi, I mezzi di assalto della Marina Militare, supplemento alla Rivista Marittima, 1991
Junio Valerio Borghese, Sea Devils, Italian Commandos in WWII, Naval Institute Press, Annapolis, Maryland 1995
Alessandro Turrini, Una breve storia dei siluri a lenta corsa e della X MAS, Supplemento alla Rivista Marittima, 2000
Carlo De Risio, Ufficio storico della Marina Militare, La marina italiana nella seconda guerra mondiale Volume XIV / I mezzi di assalto
Documenti ed immagini Ufficio Storico della Marina Militare

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