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livello elementare.
ARGOMENTO: MITI E LEGGENDE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANO ATLANTICO
parole chiave: Færøer, Selkie
Tra i miti del mare più curiosi abbiamo quelli legati alle Selkie, creature mitologiche che si ritrovano nella mitologia celtica, in particolare irlandese, islandese, e scozzese. Secondo questi miti gli esseri umani che avevano cercato volontariamente la morte nell’oceano si reincarnavano sotto forma di foca (Kópakonan) ed avevano il potere di scatenare tempeste facendo naufragare le navi. Una volta all’anno gli era però concesso di ritornare sulla terraferma, spogliarsi della pelle e riprendere le loro sembianze originali umane, ballando sotto la luna del tredicesimo giorno sulla spiaggia.
immagine dell’isola settentrionale di Kalsoy (isole Færøer), una lingua di terra desolata e rocciosa, diventata famosa essendo la località in cui James Bond nell’ultimo film di Craig accetta il suo destino mentre i missili del cattivo di turno gli piovono addosso dall’alto – Autore Monika Mejza – Fonte Kalsoy 1.jpg – Wikimedia Commons
Raccontiamo oggi una di queste leggende che narra che un tempo lontano un pescatore del villaggio di Mikladalur sull’isola settentrionale di Kalsoy (Færøer), udì delle voci cristalline provenienti dalla spiaggia. Incuriosito si avvicinò guardingo e vide delle foche arrivare in gran numero, nuotando verso la riva. I simpatici pinnipedi si arrampicarono sulla spiaggia e, con suo grande stupore, si tolsero la morbida pelle, adagiandola con cura sulle rocce. Tra di esse apparve una graziosa ragazza che, con le sue amiche, incominciò a cantare e a danzare. Incuriosito e affascinato da tanta bellezza il giovane si avvicinò furtivamente e le rubò la pelle.
Le danze e i giochi andarono avanti per tutta la notte, ma non appena il sole cominciò a spuntare all’orizzonte, tutte le foche si rivestirono per tornare al mare. Tutte tranne quella a cui lui aveva rubato la pelle. Naturalmente la ragazza foca si arrabbiò molto e quando il giovane pescatore apparve con la pelle sul braccio si infuriò. Nulla valsero le suppliche della giovane di averla indietro … il giovane la costrinse ad accompagnarlo alla sua casa dove la tenne con sé per molti anni come sua moglie. Dalla triste unione nacquero diversi figli che la donna crebbe con amore anche se il suo cuore era spezzato. Per evitare che la donna fuggisse, il giovane nascose la pelle in una cassa di cui solo lui aveva la chiave, che teneva sempre appesa ad una catena attaccata alla cintura.
Un giorno, mentre era in mare a pescare con i suoi compagni, il pescatore si rese conto di aver lasciato la chiave a casa e che avrebbe dovuto tornare subito al villaggio per impedire alla moglie di fuggire. Di fatto così fu e quando giunse alla sua casa trovò solo i suoi bambini. Il padre sapeva che lei non sarebbe tornata; trovata la chiave la donna aveva indossato la sua pelle di foca e si era subito tuffata in mare, dove una foca maschio, che l’aveva da sempre amata, la stava da sempre aspettando.
Passarono gli anni ed un giorno gli uomini del villaggio di Mikladalur decisero di addentrarsi in una delle caverne lungo la costa lontana per cacciare le foche che vi vivevano. La notte prima della partenza, la moglie foca dell’uomo gli apparve però in sogno e gli disse che se fosse andato a caccia nella caverna, avrebbe dovuto assicurarsi di non uccidere la grande foca maschio che sarebbe stata sdraiata all’ingresso, perché quello era suo marito. Né avrebbe dovuto fare del male ai due cuccioli di foca nelle profondità della caverna, perché erano i suoi due figli piccoli. Ma il pescatore non diede ascolto al sogno e l’indomani si unì agli altri uomini del villaggio nella caccia ed uccisero tutte le foche che riuscirono a trovare. Quando tornarono a casa, la caccia fu divisa e, per la sua parte, il contadino ricevette la testa della grande foca maschio e le pinne dei due cuccioli. La sera, quando stavano cenando, la donna foca apparve sotto forma di un terrificante troll ed annunciò la sua maledizione: avete ucciso mio marito e i miei figli e fino a quando non ci saranno tanti morti quanti possano unirsi per mano lungo le coste dell’isola di Kalsoy, gli uomini del villaggio avrebbero continuato a morire in mare o cadendo dalle cime delle montagne. Dopo aver pronunciato queste terribili parole, scomparve con un gran fragore di tuono e non fu mai più vista. Ma ancora oggi, ahimè, capita di tanto in tanto che gli uomini del villaggio di Mikladalur annegano o precipitano dalle cime delle scogliere, secondo la leggenda forse non abbastanza per soddisfare il desiderio di vendetta della Kópakonan.
la statua della bella e triste Kópakonan in riva al mare – Autore non noto – Fonte 1.5 Hour Kalsoy Island Boat Tour | Guide to Faroe Islands
Nel 2015, nei pressi del villaggio di Mikladalur, a ricordo di questo mito del mare, le è stata innalzata sulla costa rocciosa una grande statua, realizzata in acciaio inossidabile e bronzo, che è possibile osservare in tutta la sua solidità lungo la spiaggia, essendo stata progettata per resistere ad onde alte anche 13 mt. Un’opera di sicuro effetto che offre una finestra sui miti e le leggende di quelle isole lontane e sperdute, raccontandoci la storia di un uomo solo e di una donna foca.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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