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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XIX SECOLO
AREA: REGIA MARINA
parole chiave: Re d’Italia
La macchina, costruita dalle officine Novelty Iron Works, era simile a quella che la stessa ditta aveva realizzato per la Ammiraglio Generale. Era del tipo a “cilindri orizzontali con tirante motore capovolto” (back-acting nel lessico tecnologico anglosassone), così denominato perché le gambe dello stantuffo agivano sull’albero a gomito tramite un “tirante” che si trovava dalla parte opposta. dell’albero rispetto ai cilindri. Era composta da due cilindri affiancati di 2,13 m di diametro che avevano una corsa di 1,14 m 33; la potenza nominale sviluppata era di 800 CV. La macchina era alimentata da sei caldaie cilindriche orizzontali dotate di sei fornaci ciascuna.
L’elica bipala aveva un diametro di 5,8 m ed un passo di 9,14 m; durante la navigazione a vela poteva essere ritirata in un apposito pozzo ricavato nello scafo. Anche l’unico grande fumaiolo era telescopico e veniva abbassato durante la navigazione a vela. Dopo l’arrivo della fregata in Italia si riscontrò che l’albero motore era incrinato e che non era possibile ripararlo; ad aprile del 1865 la Re d’Italia dovette quindi essere inviata a Marsiglia presso la Forges et Chantieres che installò un nuovo albero ed eseguì altri lavori richiesti dalla Marina.
La forma della poppa e la sistemazione del timone delle Re d’Italia erano identiche a quelle della Ammiraglio Generale: buona parte della testa del timone, prima di penetrare nella volta di poppa dove era protetta dalla corazza, si trovava al di sopra del galleggiamento ed era completamente esposta all’offesa dell’artiglieria. All’indomani della battaglia di Lissa, questa sistemazione fu molto criticata in quanto si ritenne che fosse stata la causa della rottura del timone colpito da un proietto austriaco nella parte esposta, rottura che rese la nave ingovernabile e portò, grazie anche ad una decisione errata del suo comandante, al suo affondamento per speronamento da parte della fregata austriaca Erzherzog Ferdinand Max.
E’ però da notare che anche sulle due coeve fregate corazzate britanniche Warrior e Black Prince il timone era collocato in modo del tutto analogo, come si vede nella fotografia del Black Prince, senza che ciò suscitasse alcuna critica o apprensione, forse perché non parteciparono mai ad azioni belliche. Internamente, lo scafo del Re d’Italia era suddiviso in tre ponti continui: coperta, batteria e corridoio. Al di sotto di quest’ultimo la parte centrale era occupata dall’unico grande locale che ospitava le caldaie e la macchina; le carboniere si estendevano ai lati e alle due estremità della sala macchine.
A proravia e a poppavia della sala macchina si trovavano i depositi delle polveri e dei proietti, le cale dei viveri e delle attrezzature varie e i serbatoi di ferro dell’acqua potabile. I pozzi delle catene delle ancore erano collocati immediatamente a proravia del locale macchine. Non esistevano paratie stagne e i diversi locali erano separati solamente da paratie di legno. I due terzi anteriori del ponte di corridoio erano occupati dal locale dell’equipaggio, dove trovavano posto anche le casse del vestiario, mentre a poppavia, su entrambi i lati della nave, si trovavano le cabine degli ufficiali e dell’assistente macchinista e il locale destinato ai guardiamarina.
Tra le due file di cabine era ricavato il quadrato ufficiali. L’estremità di poppa del ponte di batteria, per la sua intera larghezza, era occupata dal salotto e dall’ampia cabina del comandante; a seguire si aprivano il pozzo nel quale veniva retratta l’elica durante la navigazione a vela e quello nel quale passava la testa del timone. Nella sezione longitudinale della nave non sono indicati i frenelli del timone, ma poiché la testa del timone terminava appena al di sotto dei bagli del ponte di coperta, è da ritenere che essi corressero sotto questi ultimi, lungo il cielo della cabina del comandante e della parte poppiera del ponte di batteria 34. Il ponte di coperta era quasi completamente sgombro, ad eccezione delle latrine dell’equipaggio collocate all’estrema prua, il cui cielo, stando alla sezione longitudinale, formava probabilmente una piccola piattaforma di manovra. Numerosi boccaporti aperti sui tre ponti lungo l’asse longitudinale della nave davano luce ed aria ai vari locali e alla sala macchine, che dovette rivelarsi però insufficiente in quanto gli ufficiali italiani che sorvegliarono la costruzione chiesero a Webb di installare un sistema di ventilazione meccanica, cosa che il costruttore rifiutò di fare.
Nel 1862 il Ministero della Marina fece apportare due importanti modifiche al progetto delle due corazzate. La prima venne decisa all’inizio dell’anno e consistette nell’inserimento di uno strato di lamiera di ferro spesso 10 mm tra i bagli e il tavolato del ponte di coperta. Esperimenti condotti dalla Marina francese avevano dimostrato come questo strato di lamiera faceva sì che le granate che avessero colpito il ponte con traiettoria ficcante, invece di conficcarsi nel tavolato, dove esplodendo avrebbero causato ingenti danni, rimbalzavano su di esso esplodendo innocuamente. La seconda modifica venne decisa in seguito alla battaglia di Hampton Roads dell’8-9 marzo 1862, nella quale per la prima volta si affrontarono due navi corazzate, la confederata Virginia e l’unionista Monitor. Nel primo giorno della battaglia la Virginia, dotata di rostro, aveva speronato ed affondato la fregata in legno unionista Cumberland, dimostrando così le nuove possibilità di impiego che il vapore e la corazza consentivano ad un’arma da secoli divenuta obsoleta. La Regia Marina italiana fu molto rapida nel recepire la novità tecnologica che per un decennio riscosse un grande favore in tutte le Marine, e verso la metà dell’anno ordinò che le due fregate fossero dotate di un rostro di ferro fuso.
A settembre fu approvato il disegno del rostro e dei necessari rinforzi interni della struttura di prora elaborati da Webb35; i rinforzi erano costituiti da un massiccio riempimento di legno dello spessore di circa tre m fissato alla controruota e da un certo numero di robuste travi diagonali, ben visibili nella sezione longitudinale della nave. Lo sperone fu installato immediatamente al di sotto del lembo inferiore della corazza e la sua estremità anteriore veniva a trovarsi a circa due metri di profondità 36; secondo le indicazioni scritte su uno schizzo dello sperone della Re d’Italia, probabilmente di pugno dello stesso Webb, la parte aggettante oltre il tagliamare era lunga 1,8 m.
Poiché era troppo tardi per modificare la forma della prua l’estremità dello sperone non aggettava oltre la parte superiore della prua che perciò, come ha sottolineato Franco Gay37, in caso di speronamento di una nave avversaria avrebbe certamente riportato seri danni. I giornali statunitensi sottolinearono l’elevato livello di finitura delle cabine del capitano e degli ufficiali, le quali “… avevano l’aspetto delle cabine dei più nostri lussuosi vapori oceanici…una volta a bordo è molto facile immaginare di trovarsi in un hotel di lusso…”38.
Ma il lusso più grande era certamente costituito dalle quattro vasche da bagno collocate in due locali del ponte di corridoio: quello di sinistra era riservato agli ufficiali mentre quello di dritta era a disposizione del personale della sala macchine: si trattava molto probabilmente di installazioni ancora del tutto inusuali sulle unità da guerra. Quando l’unità giunse in Italia, la sistemazione dell’infermeria sul ponte di batteria a prua si rivelò insoddisfacente a causa della scarsa ventilazione. Il Consiglio d’Ammiragliato decise perciò di trasferirlo in coperta, sempre a prua, spostando le latrine e costruendo un corto castello. A poppa venne invece realizzato, sempre sul ponte di coperta, un alloggio per un ammiraglio composto da diverse camere e in batteria fu modificato l’alloggio del comandante. Tutti questi lavori furono eseguiti durante la permanenza della nave a Marsiglia 39.
Sul ponte di batteria si aprivano 17 portelli per cannoni per ciascuna fiancata; i portelli erano molto stretti e i loro lati verticali presentavano un profilo sguanciato, simile a quello delle cannoniere delle fortificazioni terrestri. Sul ponte di coperta si trovavano invece cinque portelli per fiancata, ma non risulta che essi siano mai stati utilizzati per installarvi dei cannoni; all’estrema prua e poppa vi erano i portelli per l’eventuale installazione di un cannone su affusto a perno collocato per chiglia sull’asse longitudinale della nave. In base a quanto dichiarato dalla Commissione d’Inchiesta parlamentare istituita dopo la battaglia di Lissa, alla partenza da Ancona alla volta dell’isola l’armamento del Re d’Italia era composto da due cannoni Armstrong rigati ad avancarica d’acciaio da 300 libbre (250 mm), 30 cannoni rigati ad avancarica da 40 N° 1 (165 mm), di cui 16 cerchiati e 14 ordinari, e 4 cannoni lisci ad avancarica da 80 (200 mm), per un totale di 36 pezzi40. Molto probabilmente nel numero di cannoni rigati ordinari erano compresi anche i due pezzi che durante la permanenza ad Ancona erano stati sostituiti con gli Armstrong e che, per mancanza di tempo, non poterono essere sbarcati e furono invece depositati in coperta, legati al piede dell’albero maestro41. Ad aprile del 1865 fu valutata la possibilità di installare sul ponte di coperta a prua un “cannone da 160 R.A.C.” (Rigato, Acciaio, Cerchiato) su affusto a perno. In navigazione il cannone avrebbe trovato posto tra il castello e l’albero di trinchetto mentre in combattimento sarebbe stato collocato nel nuovo locale dell’ospedale, la cui disposizione era studiata in modo tale da consentire il collocamento del pezzo, e avrebbe fatto fuoco dai quattro portelli esistenti nei bastingaggi.
La movimentazione del pezzo avrebbe richiesto la posa di un sistema di circolari, ossia piatte lamine di ottone inchiodate al tavolato del ponte, che però al momento non venne progettato, perché non si avevano ancora i disegni del pezzo e dell’affusto42. E’ molto probabile che questo pezzo non sia mai stato installato. Completavano l’armamento tre cannoni da sbarco di bronzo, rigati e ad avancarica, da 8,65 cm, uno tipo N° 1 e due tipo N° 2, con i relativi affusti da campagna. Questi pezzi, comuni a tutte le unità della squadra, erano solitamente posti, con i relativi affusti, sui ponti di coperta; sulla Re di Portogallo erano collocati sul castello di prua43. L’attrezzatura velica era a brigantino a palo, con un corto bompresso e tre alberi di altezza molto ridotta; le sartie e i paterazzi degli alberi erano arridati al ponte di coperta all’interno dei bastingaggi, lasciando così le fiancate della nave prive di qualsiasi protuberanza.
Fine parte V – continua
Aldo Antonicelli
Estratto da La Pirofregata corazzata Re d’Italia di Aldo Antonicelli – NAM anno 4 (2023), Fascicolo n. 16 Storia Militare contemporanea (novembre) che può essere letto integralmente seguendo questo link https://www.academia.edu/108755759/La_pirofregata_corazzata_Re_dItalia?email_work_card=abstract-read-more
Note
33 Nel gergo tecnico dell’epoca un singolo cilindro e i suoi relativi apparati costituiva una “macchina”, per cui tecnicamente le Re d’Italia avevano due macchine.
34 Ciò è confermato dalla testimonianza dell’ufficiale piloto Giuseppe Russo che, dopo aver constatato che la ruota del timone era bloccata, si recò nel ponte di batteria e nella cabina del comandante per verificare lo stato dei frenelli e del timone, Carlo Randaccio, Storia della Marina Italiana, Vol II 1860-1880, Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma 1886, Libro V, Nota p. 170-171.
35 ACdS, busta 60, 3 maggio 1863, Promemoria intorno alle due fregate corazzate costruentesi in America.
36 E’ quindi errato il posizionamento dello sperone immediatamente al di sotto della linea di galleggiamento come disegnato da Franco Gay nella tavola III del volume Le Navi di Linea Italiane, cit.
37 Le navi di linea Italiane, cit., p 163.
38 «Soiree on Board», cit.
39 ACdS, busta 60, 18/10/1865, Regia Marina, 2° dipartimento, rapporto della Commissione incaricata della visita della corazzata Re d’Italia passata in disponibilità.
40 Commissione d’inchiesta sul materiale della Regia Marina, Stato della flotta, Giuseppe Pellas, Firenze 1868, allegato n° 3, p XI.
41 Commissione d’inchiesta, cit., testimonianza del luogotenente di vascello Enrico Gualterio, p. 229.
42 ACdS, busta 60, 18/10/1865, Regia Marina, 2° dipartimento, rapporto della Commissione.
43 Commissione di inchiesta, cit., dichiarazione del capitano di vascello Augusto Riboty, p. 118.
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