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livello elementare.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO
parole chiave: pirateria, Genova, Giuseppe Dodero
Come si è detto in articoli precedenti, nel corso della Guerra d’Indipendenza greca nell’Arcipelago egeo prese piede il fenomeno che divenne endemico della pirateria. Dalle cale e insenature delle isole che costellavano l’Arcipelago innumerevoli bastimenti di varie dimensioni uscivano per assalire e depredare i bastimenti di qualsiasi nazione che transitavano negli stretti tra un’isola e l’altra, solitamente approfittando dei momenti di calma di vento durante i quali le prede erano immobilizzate. Ad essere attaccati erano i bastimenti mercantili austriaci, inglesi, francesi, russi e, anche se in misura minore, quelli appartenenti al Regno di Sardegna, che erano generalmente liguri.
Inizialmente questi attacchi erano effettuati con il pretesto di ispezionare i bastimenti sospettati di trasportare approvvigionamenti e materiali ai turchi, ma ben presto divennero atti di pura e semplice pirateria. Tanto numerosi erano i pirati che un singolo bastimento poteva essere assalito due o anche tre volte nel corso dello stesso viaggio. Spesso i pirati si lasciavano andare a violenze contro i capitani e gli equipaggi dei mercantili per costringerli a confessare dove avevano nascosto i valori trasportati e il denaro di loro proprietà, ma l’assassinio era piuttosto raro, anche se non sconosciuto. Quando non trovavano nulla di valore i pirati depredavano i bastimenti delle attrezzature veliche e di navigazione e anche del vestiario personale dell’equipaggio e delle posate! I mercantili, specialmente quelli liguri, erano spesso armati con fucili e cannoncini, ma generalmente o rinunciavano a difendersi per timore di suscitare reazioni ancora più violente, oppure la loro difesa risultava inefficace. Un insolito episodio di difesa ben riuscita fu quello che vide protagonista l’equipaggio del brigantino La Fortuna comandato dal capitano Giuseppe Dodero, che, come la maggior parte dei bastimenti genovesi che commerciavano con il Levante, era in viaggio da Genova ad Odessa per imbarcare un carico di grano. Il capitano Dodero descrisse l’episodio in una dichiarazione ufficiale resa al console sardo ad Odessa [1].
Il brigantino La Fortuna ebbe un primo incontro con un brigantino greco che con la scusa di “parlamentare” lo abbordò; i pirati, dopo aver schiaffeggiato Dodero, rubarono la bussola, coltelli, forchette “di camera” formaggio e galline e poi se ne andarono. Il giorno successivo la Fortuna incontrò un’altra goletta che “facendo il goffo” tentò di abbordarla ma Dodero non si lasciò ingannare dalla sua “mala navigazione” e gli fece tirare contro alcune fucilate ed una cannonata caricata con una doppia carica di “palla e mitraglia” che convinse il pirata a desistere e ad allontanarsi. Alla sera La Fortuna rimase in panna tra l‘isola di Zea (attuale Kea) e l’Isola Lunga (attuale Makronisi); i marinai liguri videro di prora un mistico greco con le “gabbiole ad uso goletta”. Verso le otto e mezza udirono il battello alla voga e i suoi marinai parlare tra loro ma dapprima non lo videro perché era nascosto dalla terra. Infine lo videro comparire e dirigersi a forza di remi verso un bastimento britannico proveniente da Londra che era distante dalla Fortuna “uno scandaglio” ed abbordarlo. Il capitano britannico gridò a Dodero di aiutarlo, perché era totalmente disarmato, ma il genovese non poté fare nulla perché si trovava in “perfetta calma”.
All’alba Dodero sparò in direzione del mistico una cannonata “piena fino alla bocca” senza alcun risultato, poi dal bastimento greco si distaccò una lancia diretta verso La Fortuna, mentre i Greci che erano saliti sul mercantile britannico gridavano ai marinai genovesi di lasciar salire a bordo i propri compagni senza timore perché “non abbiamo cannoni”. Dodero e i suoi marinai si prepararono però a combattere “ben preparati ed intrepidi”, nonostante i greci della lancia gridassero “non paura, siamo Cristiani” e li invitassero “ad andare all’obbedienza”, ossia di sottomettersi ad una pretesa ispezione dichiarando di essere corsari, quindi autorizzati da una qualche autorità ufficiale del governo provvisorio greco, ed anche chiedendo loro se volevano un pilota, tutti sotterfugi per confondere l’equipaggio della Fortuna e impedirgli di opporre resistenza. Senza dare loro risposta, Dodero e i suoi uomini attesero in silenzio che si avvicinassero e quindi aprirono un nutrito fuoco di moschetteria.
Nel frattempo il vento si era alzato e il mistico, orzando, si avvicinò al brigantino genovese ma così facendo si portò nel campo di tiro del suo “cannone da poppa” col quale i genovesi fecero fuoco due volte; nel continuare la manovra il mistico fu poi preso di mira dal cannone di sinistra. Poggiando per evitare il tiro di quest’ultimo, i Greci tornarono nel campo di tiro del cannone di poppa e poi i portarono a tiro di quelli di dritta mentre l’equipaggio genovese faceva “sempre fuoco, carica, e discarica e cogli Schioppi senza mai cessare di modo ché, è seguito un fuoco come se fossimo stati 30 persone, ma la bellezza senza mai parlare”.
Dodero riferì che inizialmente i greci fecero tre scariche di “cannoni, tromboni e schioppi”, urlando “furia, furia, attacca, attacca, ammaina senza fede” ma che dopo la terza cannonata non si udirono più. Quando i genovesi cessarono il fuoco perché il mistico si stava allontanando, Dodero lo osservò con il cannocchiale e vide che non aveva più l’albero di maestra. Il mistico tornò a fianco del bastimento britannico catturato e i greci ripresero a far fuoco contro La Fortuna, ma senza tentare ulteriormente di attaccarla. Il brigantino genovese quindi si allontanò indisturbato, non potendo fare nulla per aiutare i britannici.
Nel combattimento, La Fortuna ricevette “una palla nel Pozzetto, un’altra nella batteria e una mitraglia dall’argano, e diverse nelle vele, tagliato diverse manovre”. Non si hanno notizie dettagliate sul brigantino Fortuna, ma da un registro del consolato del Regno di Sardegna di Costantinopoli si evince che i brigantini genovesi che nel 1831 commerciavano con il Mar Nero avevano una stazza che andava da un minimo di 99 ad un massimo di 430 tonnellate, ed un equipaggio di 12-15 uomini compreso il capitano. Il mistico era un bastimento molto diffuso nel Mediterraneo, una via di mezzo tra una feluca e uno sciabecco; era a tre alberi con velatura latina oppure mista latina e quadrata ed era anche propulso a remi; le antenne delle vele latine erano costituite da un unico elemento. La sua stazza era generalmente compresa tra 90 e 120 tonnellate.
Aldo Antonicelli
testo e immagini dell’autore
Note
[1] una descrizione dell’episodio più succinta e sostanzialmente simile alla dichiarazione resa da Dodero al console fu pubblicata dalla Gazzetta di Genova nel numero di mercoledì 14 giugno 1826
Fonte
Archivio di Stato di Torino, Consolati nazionali, Odessa. Dispaccio del 9 maggio 1826 del console del Regno di Sardegna Milante al Ministro per gli Affari Esteri.
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