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Il Tempio di Apollo Navale

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA ROMANA
PERIODO: ROMA
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Ottaviano Augusto, Marco Agrippa, Nauloco, Azio, tempio di Apollo navale 

 

L’eredità marinara di Cesare venne raccolta da due diciottenni, amici per la pelle fin dall’infanzia: Gaio Ottavio, pronipote di Cesare, e Marco Agrippa, di origini arpinati. Essi appresero la terribile notizia dell’assassinio di Cesare mentre si trovavano ad Apollonia, sulla costa dell’odierna Albania, e decisero di tornare subito in Italia per affrontare la pericolosa situazione. Sbarcato sulla costa pugliese, Ottavio accettò coraggiosamente di divenire il figlio adottivo di Cesare, secondo le volontà che lo stesso Cesare aveva lasciato nel suo testamento. Avendo dunque assunto, secondo la tradizione romana, il nome del padre adottivo “Gaio Giulio Cesare” seguito da “Ottaviano” (che indicava la sua famiglia di origine), con l’appoggio dei veterani di Cesare rivestì subito un ruolo di primo piano, superando con Agrippa varie battaglie politiche e militari, e giungendo presto alla carica di console, poco prima di compiere vent’anni (settembre 43 a.C.).

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Cesare Ottaviano, il futuro Augusto

Dopo aver ottenuto la condanna in contumacia di tutti gli assassini di suo padre, egli si alleò con Marco Antonio e Lepido, insieme ai quali venne nominato Triumviro per la riorganizzazione dello Stato, una magistratura straordinaria quinquennale, successivamente rinnovata per un secondo quinquennio. Partecipò dunque, sempre con l’amico Agrippa, alla guerra Filippense, condotta dai Triumviri contro Bruto e Cassio, e terminata con il suicidio dei due parricidi. Poi, mentre Antonio si stabiliva ad Alessandria, in quanto responsabile delle province d’Oriente, e Lepido gestiva le province d’Africa, Cesare Ottaviano rimase il solo responsabile dell’Italia e delle province d’Occidente, dovendo fare i conti con una nuova forma di pirateria che stava privando Roma e l’intera Penisola dei rifornimenti vitali provenienti per via marittima.

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Una moneta raffigurante il generale e statista romano Gneo Pompeo Magno, sul retro mostra Nettuno (40 a.C. circa)

Questa pirateria era organizzata da Sesto Pompeo (secondogenito di Gneo Pompeo Magno), che, pur avendo ricevuto il comando di tutte le forze navali, era rimasto insoddisfatto: occupata la Sicilia, conduceva la sua guerra personale raccogliendo sotto le sue bandiere dei pirati catturati da suo padre, nonché schiavi fuggitivi e delinquenti di ogni risma, oltre a molti superstiti della fazione dei cesaricidi. Ma la sua battaglia non perseguiva alcun ideale, poiché usava le sue flotte, comandate da capi pirati scaltrissimi nei combattimenti in mare, per attaccare e rapinare tutto il traffico marittimo diretto in Italia, effettuando altresì delle cruenti incursioni sulle coste tirreniche.

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Sesto Pompeo – Asse (zecca siciliana) Cr. 479/1 AE (g 22,73)

 

Dopo molti vani tentativi di rimuovere quella minaccia foriera di carestia e di lutti, Ottaviano poté nuovamente avvalersi della collaborazione di Marco Agrippa, che terminava il suo periodo di governo della Gallia. Diventato console (37 a.C.) e messo a capo della marina, Agrippa costruì una nuova base navale in Campania (il Porto Giulio, fra Baia e Pozzuoli), mise in cantiere una grande flotta costituita da navi poderose, reclutò i relativi equipaggi e ne curò personalmente l’addestramento per tutto l’inverno successivo, abituandoli ad operare anche nel mare in burrasca.

Egli stesso condusse poi quella flotta nelle acque sicule nell’estate seguente, cogliendo subito il primo successo in mare davanti a Milazzo e poi la seconda e determinante vittoria navale al largo di Nauloco (3 settembre 36 a.C.), laddove la flotta avversaria, forte di 350 navi, fu interamente annientata, salvo 17 unità fuggite con Sesto Pompeo verso l’Asia minore.

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Marco Agrippa con la corona navale rappresentato su di un asse di bronzo coniato in suo onore da suo nipote Gaio Caligola (foto CNG, con licenza CC BY-SA 3.0)

Questo insperato risultato, che ripristinava la sicurezza del mar Tirreno dopo ben sette anni di tormenti, venne festeggiato con straordinario entusiasmo a Roma, che accolse Ottaviano con l’onore dell’ovazione e gli dedicò una colonna rostrata sormontata dalla sua statua, con l’iscrizione: La pace a lungo turbata è stata da lui ristabilita sulla terra e sul mare. Fu in quell’occasione che Marco Agrippa fu insignito della corona navale (detta anche corona rostrata perché ornata con la riproduzione dei rostri navali), considerata la più alta delle onorificenze militari.

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Denario d’argento con la colonna rostrata dedicata ad Ottaviano per la vittoria navale di Nauloco

L’anno seguente lo stesso triumviro, accompagnato dall’amico Agrippa alla testa delle sue navi vittoriose, effettuò una campagna militare contro gli Illiri, che avevano approfittato della guerra Sicula per riprendere a pirateggiare nell’Adriatico e nello Ionio. Con la sua flotta, Agrippa annientò i covi di pirati insediati nelle isole e sulla costa della Dalmazia, distruggendo o catturando tutte le loro navi, incluse le veloci liburne, che per le loro pregevoli qualità nautiche furono immesse nella flotta romana. Nel successivo inverno questa flotta rimase ad operare nelle acque della Dalmazia per bloccarne i rifornimenti via mare, e tale azione risultò determinante dopo un ulteriore anno, perché stremò i Dalmati e li indusse alla resa (inizi del 33 a.C.).

A quel punto tutti i mari d’Italia erano nuovamente divenuti sicuri, ma un’ultima e smisurata minaccia navale si approntò l’anno successivo nel Mediterraneo orientale sotto la guida di Cleopatra e del suo consorte Marco Antonio, che non rivestiva più alcuna carica romana (il Triumvirato si era concluso alla fine del 33). Sotto gli auspici dei due sposi e con il contributo di tutte le città e regni ellenistici, si costituì un’ingente forza d’invasione che venne imbarcata su circa 1000 navi (di cui 500 da guerra): 200 alessandrine e 800 con equipaggi ellenici o egizi. L’immensa forza navale salpò dal Pireo nell’autunno del 32 a.C. e penetrò nel mar Ionio diretta verso l’Italia. Giunti all’altezza di Corfù e dissuasi dalla presenza della flotta di Agrippa che pattugliava al largo della Puglia, i due coniugi decisero di invertire la rotta ed ormeggiarsi ad Azio, nel golfo di Ambracia, per farvi svernare le loro forze prima di proseguire l’offensiva.

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Denario con il titolo di Cesare databile al periodo 29-27 a.C. – Zecca: Brindisi o Roma – Diritto: la Vittoria stante a destra su una prora di nave, tiene una corona con la mano destra e un ramo di palma con la sinistra – Rovescio: Ottaviano in quadriga verso destra tiene un ramoscello con la mano destra e le redini con la sinistra – gr. 3,77

Marco Agrippa non ebbe dubbi sul da farsi: con la propria flotta impose immediatamente il blocco navale alle forze orientali, e lo mantenne per l’intero inverno intercettando in mare tutti i rifornimenti marittimi diretti ad Azio. In primavera sconfisse in battaglia navale due reparti navali avversari che avevano tentato di forzare il blocco; venne poi raggiunto da Ottaviano, che nel frattempo era stato eletto console. Il protrarsi del blocco navale trasformò Azio in una trappola mortale in cui le forze orientali continuarono a subire perdite per la carestia e le malattie. Sul finire dell’estate Antonio e Cleopatra decisero infine di tentare il tutto per tutto, affrontando la flotta romana in battaglia navale per liberarsi da quella morsa. Il combattimento in mare che ne seguì rappresentò il coronamento degli straordinari successi tattici e strategici di Agrippa: in quella splendida vittoria navale (2 settembre 31 a.C.), egli catturò 300 navi da guerra avversarie e distrusse tutte le altre, tranne le 60 navi di Cleopatra che fuggirono e la quinquereme di Antonio che si accodò alla sua regina. Nelle acque di Azio naufragarono dunque i sogni di un predominio ellenistico sul mondo romano, così come le velleità dei due coniugi, che si tolsero la vita l’anno dopo, quando Cesare Ottaviano sbarcò da vincitore ad Alessandria.

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Resti di uno dei due archi di trionfo di Augusto (Roma, Foro Romano)

La conseguente chiusura del Tempio di Giano, possibile solo nei rarissimi periodi di assenza di guerre, simboleggiò l’effettiva instaurazione della pace sulla terra e sui mari. I Romani ne furono comprensibilmente entusiasti e celebrarono la vittoria navale di Azio con un’enfasi proporzionata alla sua importanza storica. Ottaviano conferì ad Agrippa l’insegna del vessillo azzurro, che sanciva il suo imperium maris (così come il vessillo purpureo era l’antichissima insegna dell’imperium, destinata ad essere riservata ai soli imperatori). Il futuro Augusto celebrò poi il trionfo, ricordato nel Foro Romano con l’Arco di trionfo Aziaco, di cui rimane ancora qualche resto.

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Augusto in età matura (Roma, Musei Vaticani)

Parte dei moltissimi rostri navali catturati ad Azio venne utilizzata per decorare il basamento del Tempio del Divo Giulio, mentre con gli altri vennero realizzate quattro colonne rostrate di bronzo fuso, che furono erette sul Palatino, nell’area del Tempio di Apollo Navale. La costruzione di questo santuario era stata avviata da Ottaviano dopo la vittoria navale di Nauloco, ma esso fu completato dopo l’ancor più importante vittoria di Azio, che gli conferì il suo pieno significato. Esso fu pertanto chiamato anche Tempio di Apollo Aziaco, sebbene oggigiorno prevalga la più banale dizione Apollo Palatino. Il monumento, di cui si è conservato solo il basamento, sorgeva nei pressi della Casa di Romolo e della Scala di Caco, ed era attiguo alla casa di Ottaviano Augusto. Costruito in marmo di Carrara, si trovava in posizione dominante sul Circo Massimo, ed era collegato ad un ampio portico fra le cui colonne erano sistemate cinquanta erme in bronzo di Danaidi, tre delle quali sono state ritrovate e sono ora esposte nel Museo Palatino. Il complesso apollineo, che era completato da una biblioteca pubblica, latina e greca, divenne subito uno dei più importanti siti della Città Eterna, tanto da essere la sede di frequenti riunioni del Senato e di gran parte delle cerimonie dei Ludi Secolari (17 a.C.), presiedute da Augusto ed Agrippa. Lo stesso Augusto aveva fatto creare un passaggio diretto fra la sua casa ed il tempio del nume protettore della vittoria navale, coerentemente con la tradizionale contiguità – tutta romana – fra l’umano e il divino.

Domenico Carro

 

 

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