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Recensione: Dante e l’incontro con Ulisse nella Divina Commedia

tempo di lettura: 9 minuti

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livello medio
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ARGOMENTO: LETTERATURA
PERIODO: XIII-XIV SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Dante Alighieri, Divina Commedia, Ulisse
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Nel 2021 si celebra il sommo poeta Dante Alighieri, a settecento anni dalla morte, avvenuta a Ravenna tra il 13 e il 14 settembre del 1321. I mass media di tutto il mondo stanno diffondendo trasmissione e speciali incentrati sulla sua opera e, in particolare sulla Commedia, come si chiamava originariamente la Divina Commedia. 

La Divina Commedia
Questa opera straordinaria, studiata in tutto al mondo per la sua bellezza, fu scritta nel XIV secolo e racconta il percorso del poeta nei tre regni dell’Oltretomba cristiano accompagnato, nella discesa dell’Inferno e nella successiva risalita del monte del Purgatorio, dal poeta latino Virgilio.

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La prima domanda che ci si pone leggendo l’opera è perché Dante ricerchi un accompagnatore in questo viaggio straordinario di ricerca interiore. Siamo nel Medioevo, un periodo storico tutt’altro che buio, come spesso viene descritto, e Virgilio è di fatto per Dante il collegamento ideale tra la ragione umana (il mondo classico) e la Teologia. Il poeta latino lo accompagnerà nel primo regno, l’Inferno, che viene rappresentato come un’immensa voragine a forma di cono rovesciato che penetra nelle viscere della terra al di sotto della città santa di Gerusalemme.

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Antonio Manetti – Fonte Cornell University Library, Collezione Girolamo Benivieni. Dialogo di Antonio Manetti: Cittadino fiorentino circa al sito, forma e misure del lo infero di Dante Alighieri poeta excellentissimo. Florence: F. di Giunta. Opera pubblicato nel 1506 Gilbert 1945, 289 n. 3. The Content of Dante’s Divine Comedy Described in Six Plates. (Part 3) Manetti Overview of Hell 1506 Cornell CUL PJM 1004 03.jpg – Wikimedia Commons

L’Inferno si formò quando Lucifero, cacciato dal Cielo dopo la sua ribellione a Dio, venne scaraventato con i suoi demoni verso il centro della Terra. Per risposta, la Terra sottostante, spinta verso il basso, si proiettò nell’emisfero meridionale creando l’alto monte del Purgatorio. 

Prima di arrivare al Canto di Ulisse, raccontiamo brevemente gli antefatti. Il I Canto dell’Inferno vede Dante smarrito in una selva oscura, nel mezzo della sua vita, che sente di aver smarrito la “giusta via” (retta via), un’allegoria della perdizione e del peccato. Dante si paragona ad un naufrago che dopo tante fatiche riesce finalmente a raggiungere la riva:

E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata, 
così l’animo mio ch’ancor fuggiva,

si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva

E’ un primo riferimento al mare (pelago, dal latino pelagus per mare e oceano) che in diverse forme ritroveremo nella Commedia. Le allegorie si rincorrono. Al mattino, risvegliato dai primi raggi del Sole (rappresentanti la speranza divina che fuga il buio della notte) si incammina su un colle (le fatiche della vita) ma viene risospinto in basso. Il senso doloroso della disperazione lo prende ma, improvvisamente, scorge una figura, a cui chiedere aiuto:  scoprirà che è l’anima del poeta Virgilio che lo tranquillizza e lo accompagnerà nel suo cammino. Insieme, non senza difficoltà, trovano la porta dell’inferno che li accoglie con una frase minacciosa (e tristemente famosa):

Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Lasciate ogne speranza, o voi ch’ intrate.

Dante rimane sconvolto dalla quella scritta certamente poco rassicurante (chi non lo sarebbe), ma Virgilio lo prende per mano e lo accompagna verso l’interno. Quello che il poeta scoprirà è una profonda voragine, suddivisa in nove Cerchi, simili a cornici rocciose, che circondano la sua parte interna. Ogni cerchio ospita, a seconda dei diversi peccati, i dannati che scntano quindi diverse pene.

Dante e Virgilio incontrano inizialmente gli ignavi ovvero coloro “che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo“, senza mai prendere decisioni. Una popolazione immensa che esiste ancor oggi ed è complice con la sua neutralità di tanti mali. Questo luogo è diviso dall’Inferno dal fiume Acheronte, dove i dannati vengono traghettati da Caronte (Caron dimonio, con occhi di bragia) sulla sua barca nell’altra sponda.

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Dante e Caronte, opera di Paolo Vietri (1855–1937) – foto di Davide MauroFile:Dante e Virgilio dinnanzi la barca di Caronte – Paolo Vetri.jpg – Wikimedia Commons

Attraversato il fiume infernale, Virgilio accompagna Dante verso l’abisso. Inizialmente entrano nel I Cerchio, detto anche Limbo (parola che deriva dal «lembo», ovvero l’orlo estremo dell’abisso infernale), che ospita i pagani virtuosi ed i bambini morti prima del battesimo. Essi in realtà non sono dei veri e propri dannati e per questo non subiscono alcuna pena se non il desiderio insaziabile di vedere Dio. Non a caso Virgilio, non essendo stato cristiano, è uno di essi e per questo potrà accompagnare Dante solo per la prima parte del suo viaggio. Dopo il Limbo, i dannati vengono portati al cospetto di Minosse, mostruoso custode del II Cerchio e terribile giudice infernale, descritto come una bestia ringhiante.

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Dante incontra il giudice infernale Minosse, stampa del Dorè (dettaglio) – Fontehttp://gutenberg.kk.dk/8/7/8/8781/8781-h/images/05-047.jpgInferno Canto 5 line 4 Minos.jpg – Wikimedia Commons

Minosse giudica i dannati per le loro colpe e avvolge con la sua lunga coda i loro corpi tante volte quanti i Cerchi a cui essi dovranno discendere, scagliandoli poi negli abissi per la loro destinazione finale. Il viaggio di Dante meriterebbe una attenta lettura per la ricchezza dei contenuti e dei messaggi che il poeta ci manda, ma oggi ci soffermeremo solo sull’incontro tra Dante e Virgilio e le anime dannate di Ulisse e del compagno d’arme Diomede. Il Canto, che analizzeremo in breve, riporta molte cose interessanti che vanno oltre la poesia e fanno comprendere che Dante aveva una qualche conoscenza del mondo marittimo del suo secolo.

La crisi del XIII secolo
Secondo i critici la Commedia  fu composta tra il 1304/07 e il 1321, quando Dante era stato esiliato nelle Terre di Lunigiana e Romagna. In quegli anni il cosiddetto periodo caldo medievale si era appena concluso e dal Nord Europa al sud dell’Italia le temperature incominciarono a scendere, preparando un periodo storico che viene chiamato dagli scienziati la piccola glaciazione. Tutto ebbe inizio nel XIII secolo, quando la banchisa ed i ghiacciai della Groenlandia iniziarono ad avanzare verso Sud nel Nord Atlantico. In inverno ghiacciarono molti fiumi e nel Nord Europa gelò il Baltico. Inutile dire che i danni per le economie furono notevoli e le condizioni di vita umane peggiorarono. Oggi sappiamo che questo fu legato ad un fenomeno ben noto, dovuto ai cicli di bassa attività solare che producono temperature più fredde della media. Niente di anormale, è successo in passato e risuccederà prima o poi anche in futuro e fa parte dei cicli della Terra. Ciò comportò ovviamente una notevole variabilità nel clima ed un gran numero di eventi sociali ed economici come la grande carestia del 1315 che causò in Europa molte morti e epidemie. Un lungo periodo che segnò la fine del periodo di crescita e prosperità che si era goduto dall’XI al XIII secolo. Sebbene la crisi economica del periodo colpì probabilmente anche i commerci via mare, le conoscenze nautiche non si persero e furono comunque tramandate tra gli uomini di mare. Se così non fosse stato, non si sarebbe potuta avere la stagione delle grandi scoperte geografiche del XV secolo. Dante era un uomo del suo tempo, e aveva viaggiato apprendendo nozioni ovunque era stato. Sicuramente aveva visitato Pisa e Venezia, floride Repubbliche marinare che basavano la loro prosperità sui commerci marittimi, acquisendo nozioni e terminologie specifiche. Non a caso nel XXVI Canto, con la voce di Ulisse, Dante descrive conoscenze geografiche e nautiche che rendono ancora più affascinante il tragico racconto dell’eroe omerico.

Il XXVI Canto: l’incontro di Dante e Virgilio con Ulisse
Nel loro cammino, Virgilio e Dante risalgono faticosamente su un ponte roccioso dal quale si scorgono in basso delle lingue di fiamma muoversi nella fossa. Virgilio gli spiega che all’interno di ogni fuoco c’è lo spirito di un dannato che fu in vita un consigliere fraudolento. Tra di essi Dante nota una fiamma a due punte e ne domanda la ragione a Virgilio. Scopre così che all’interno vi sono due eroi greci, Ulisse e Diomede, che condividono i peccati di una vita che si basò sull’inganno altrui. Quanti ne potremmo immaginare oggigiorno tra quelle fiamme.

Visto l’insistente grande interesse di Dante («S’ei posson dentro da quelle faville parlar», diss’io, «maestro, assai ten priego e ripriego, che ’l priego vaglia mille), Virgilio fa avvicinare la duplice fiamma e chiede ai due dannati tra le fiamme di raccontare la loro triste storia. Risponderà Ulisse incominciando il racconto dalla sua partenza dalla dimora di Circe. Omettendo le vicende del suo faticoso rientro in patria, afferma che né la nostalgia per il figlio o il vecchio padre, né l’amore per la moglie, riuscirono poi a trattenerlo a Itaca. Raccolti nuovi compagni riprese presto il mare, con il desiderio di esplorare il mondo ignoto.

Un viaggio che non viene descritto nell’Odissea di Omero, che come ricorderete si conclude con il suo rientro a Itaca, ma che nella stessa opera viene preannunciato nella discesa agli inferi di Odisseo (Ulisse latino) quando l’indovino Tiresia gli prevede che, dopo il suo ritorno, riprenderà a viaggiare trovando infine una dolce morte in mare. Quello che attrae l’attenzione del lettore sono le descrizioni (che ora leggeremo insieme) con a sinistra il testo delle terzine originali del Canto ed a destra una loro breve spiegazione.

ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola dalla qual non fui diserto. 

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi, e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi, acciò che l’uom più oltre non si metta: dalla man destra mi lasciai Sibilia, dall’altra già m’avea lasciata Setta.

Ulisse intraprende il suo viaggio verso l’ignoto con la sua nave, accompagnato solo da pochi fedeli compagni  che mai lo avevano abbandonato. Attraversarono molte terre  che Ulisse nomina (Spagna, Marocco, Sardegna), fino ad arrivare al limite delle colonne d’Ercole, quella foce stretta dove Ercole segnò i limiti del mondo, tra Seviglia (Sibilia) e Ceuta (Setta). Queste citazioni geografiche derivano dalla conoscenza di Dante dei commerci marittimi dell’epoca, appresa nei suoi viaggi di lavoro lungo la penisola italiana, incontrando marinai e commercianti.

Li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; Ispirati dalle parole di Ulisse, i compagni si convinsero al punto che niente li avrebbe più potuti fermare. 
e volta nostra poppa nel mattino,
dei remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Rivolta la poppa verso Oriente  i marinai spinsero sui remi la nave oltre il confine del mondo verso sud (1)
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte e ‘l nostro tanto basso,che non surgea fuor del marin suolo.
oltre quel confine le stelle sono diverse perché i naviganti passano nell’emisfero meridionale. 
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
cinque volte si era illuminata e spenta la luce della parte inferiore della luna da quando erano in viaggio [erano passati quindi cinque mesi lunari]
quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. ed apparve una montagna (il Purgatorio, unica terra che si riteneva emersa dell’emisfero australe, considearo comem un grande oceano)
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
la gioia della scoperta durò poco perchè un violento turbine partì dalla nuova terra e colpì lo scafo della nave sulla sua prua
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
la nave ruotò  su se stessa tre volte, avvolta nel vortice, e la quarta (volta) fu inghiottita con la poppa verso l’alto, come piacque a Dio (altrui), finché il mare non la inghiottì 

(1) Queste terzine sono interessanti e potrebbero essere interpretate facendo ricorso alla filosofia aristotelica in cui la mente umana era vista  come una nave dove la poppa era la memoria (razionalità) mentre la prua rappresentava la fantasia o l’immaginazione. Per cui mettere la prua verso occidente potrebbe voler significare la volontà umana di far prevalere la fantasia  sulla razionalità.

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photo credit @andrea mucedola

In sintesi, questo bellissimo canto può essere visto come un mesto inno di Ulisse all’irrazionalità umana, che ci porta a guardare il futuro e sognare ma anche alla consapevolezza che questo ultimo volo ci porterà alla morte, facendoci perdere gli affetti di una retta via. Una strada affascinante ma dolorosa che similmente lo stesso Dante aveva perso e lo aveva spinto in questo viaggio attraverso l’Inferno. 

«”O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
Ulisse chiama i compagni fratelli, ricordandogli che hanno condiviso centomila pericoli per arrivare fino al limite conosciuto
d’i nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
non negate ai nostri sensi quello che ci rimane da scoprire, oltre l’orizzonte dove tramonta il sole, nel mondo ritenuto disabitato (l’emisfero australe era considerato come un unico grande oceano)
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.»
la frase più celebre di questo splendido canto: considerate la vostra origine, non siete nati per vivere come animali, ma per per comportarvi virtuosamente, apprendendo la conoscenza. 

Un viaggio senza speranza che per Ulisse ed i suoi compagni termina tra i flutti, in quella dolce morte profetizzata da Tiresia, ma che per Dante continuerà quando, raggiungendo la spiaggia ai piedi del Purgatorio, potrà tornare a contemplare la bellezza del cielo notturno, e dire  “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.

Andrea Mucedola

 

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