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La presenza di microplastiche è stata verificata nel 90% del sale da cucina … una minaccia sempre più emergente

tempo di lettura: 5 minuti


livello elementare
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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OVUNQUE
parole chiave: sale da cucina, microplastiche, nanoplastiche

 

Le ricerche effettuate in tutto il mondo hanno dimostrato che pesci e crostacei contengono tracce di micro e nanoplastiche derivanti dall’enorme quantità di materiali che dalle aree costiere affluiscono nei nostri oceani. La luce del sole, il vento, le onde e il calore scompongono quel materiale in pezzetti sempre più piccoli che vengono ingeriti dalle forme viventi. Ma il pericolo non sembra provenire solo dall’ingestione di pesci, bivalvi  e crostacei che le hanno ingerite ma anche da alcuni sali usati per cucinare.  Una ricerca, Global Pattern of Microplastics (MPs) in Commercial Food-grad Salts: Sea salt as an indicator of seawater MPs pollution, pubblicata dalla rivista Environmental Science & Technology e condotta da ricercatori della Corea del Sud e da Greenpeace East Asia, ha rivelato la presenza di microplastiche nel 90 percento delle marche di sale da tavola campionate in tutto il mondo. Secondo questo studio su 39 marchi di sale testati, 36 contenevano microplastiche. 

I risultati suggeriscono che l’ingestione umana di microplastiche attraverso prodotti marini è fortemente correlata alle emissioni in una determinata regione“, ha affermato Seung-Kyu Kim, professore di scienze marittime presso la Incheon National University in Corea del Sud e coautore dello studio.

luoghi di produzione – da studio citato

Le ricerche dimostrano che le microplastiche danneggiano le creature acquatiche, incluse tartarughe e uccelli; inoltre, bloccando il tratto digestivo, alterano il comportamento alimentare, il che riduce la crescita e la produzione riproduttiva. I loro stomaci sono tanto pieni di plastica che alcune specie muoiono letteralmente di fame. Oltre a questi effetti, le microplastiche si comportano come dei trasportatori di inquinanti chimici come i bifenili policlorurati (PCB), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e i metalli pesanti, che tendono ad aderire alle loro superfici porose, venendo “assorbiti” come se fossero delle spugne.

Detto questo, gli scienziati rimangono preoccupati per gli impatti sulla salute umana della plastica in mare perché, la sua presenza è in forte aumento e, alla fine, questi frammenti di microplastiche si degraderanno frammentandosi in nanoplastiche che, misurando da 0,001 a 0,1 µm (ossia da 1 a 100 nanometri), sono invisibili all’occhio umano. A causa di queste dimensioni esse possono penetrare nelle cellule e spostarsi nei tessuti e negli organi con conseguenze cliniche ancora non chiare.

Cosa fare per ridurre l’impatto?
Il problema come sempre è economico e politico. I rimedi sono noti: dall’emanazione di divieti sull’uso di alcuni tipi di plastica, alla riduzione degli imballaggi ed alla messa fuori legge della plastica monouso. Inoltre, l’ingegneria chimica consente di produrre polimeri biodegradabili che possono ridurre sensibilmente l’impatto sull’ambiente. Non ultimo sarebbe necessario investire in infrastrutture per catturare e riciclare questi materiali prima che raggiungano le falde acquifere ed il mare.

Va compreso che stiamo subendo un costante e crescente aumento dell’esposizione alle plastiche. Alcune di queste sostanze chimiche sono considerate interferenti endocrini che interferiscono con la normale funzione ormonale e possono influenzare lo sviluppo del cervello nei feti e nei bambini. Altri composti chimici, che vengono assorbiti dalla plastica, possono causare malattie gravissime come il cancro o difetti alla nascita. Tra di essi  il bisfenolo A, un composto che si utilizza per la produzione delle confezioni di alimenti, che favorisce l’obesità e ha potenziali conseguenze sulla riproduzione, ed il Triclosan, che si trova nei giocattoli ed agisce sul funzionamento degli ormoni maschili.

L’elenco sarebbe lungo. In generale si tratta di una vasta categoria di molecole e/o miscele di sostanze chiamate Endocrine-Disrupting Chemicals (EDC), in italiano “interferenti o perturbatori endocrini“, che alterano la normale funzionalità ormonale dell’apparato endocrino. Esse sono sostanze spesso vietate che imitano, bloccano o modificano silentemente gli ormoni umani. Le conseguenze sono diversificate e vanno dall’obesità al diabete, influenzano la riproduzione femminile e maschile e possono causare tumori ormono-sensibili nelle donne, il cancro alla prostata nei maschi, e patologie tiroidee e dello sviluppo neurologico e neuroendocrino. Non c’è da stare tranquilli.

da https://microplastics.whoi.edu/

Valutare gli impatti delle microplastiche marine sulla salute umana è una sfida non semplice sia perché le materie plastiche e i loro additivi agiscono in modo diverso a seconda del contesto fisico e chimico sia perché gli effetti possono cambiare a seconda delle creature con cui vengono a contatto. Inoltre, non si conosce come la trasformazione o la cottura degli alimenti influenzi la tossicità dei componenti microplastici ingeriti dagli organismi acquatici (in particolare dai filtratori come i bivalvi) e, quindi, quale livello di contaminazione potrebbe essere effettivamente nociva per gli umani.

da studio citato

La contaminazione dei sali
Lo studio citato affronta il problema della contaminazione dei sali (non solo marini) non solo da un punto di vista sanitario ma anche ecologico. L’analisi si basa sull’ipotesi che i sali marini commerciali, qualora non filtrati durante il processo di fabbricazione,  possano essere usati come  indicatori dell’inquinamento da microplastiche (MP) nell’ambiente. In estrema sintesi, sono stati raccolti campioni di sale da cucina provenienti da 21 paesi in Europa, Nord e Sud America, Africa e Asia, analizzando 39 diverse marche di sale prodotto in siti geo spazialmente diversi, tra cui 28 marche di sale marino di 16 Paesi/regioni in sei continenti. Le analisi hanno rivelato un’ampia gamma di contenuti di microplastiche (espressi in numero di microplastiche per kg di sale; n / kg): 0–1674 n / kg nei sali marini, 0–148 n / kg nel salgemma e 28–462 n / kg nel sale del lago. I sali marini, prodotti nei paesi/regioni asiatici, hanno mostrato un contenuto relativamente elevato di microplastiche mentre quelli meno inquinati sembrano essere quelli francesi e mediterranei.

La distribuzione geografica dei sali contenenti microplastiche per ogni paese o regione. Notare i livelli di abbondanza asiatici decisamente più elevati di quelli europei – dallo studio citato 

I risultati confermano che l’Asia è quindi un punto caldo dell’inquinamento globale da plastica, ma anche che il sale marino può essere un buon indicatore della grandezza dell’inquinamento da MP nell’ambiente marino circostante. Inoltre, è stato valutato che i livelli di microplastica risultano più alti nel sale marino, seguiti dal sale di lago e quindi dal sale di roccia. 

Ricordiamoci, anche in questo periodo di pandemia che tutto ciò che abbandoniamo finisce in mare e dal mare nelle nostre tavole … e dalle tavole nel nostro corpo predisponendoci a malattie anche gravi. Pensiamoci, siamo ancora noi gli artefici del nostro futuro.

Andrea Mucedola

 

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