.
livello elementare
.
ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO – TARANTO
parole chiave: Taranto, Regia Nave Leonardo da Vinci, sabotaggio, palombari
La “Leonardo da Vinci” a chiglia in su con le torri a pressione installate per poter svuotare l’acqua dall’interno della nave. Qui la vediamo mentre entra nel bacino che la accoglierà per i lavori di riparazione (da I lavori di recupero della R.N. “Leonardo da Vinci”, Odoardo Giannelli, Taranto 1922)
Dopo la decisione di recuperare la Leonardo Da Vinci ci si rese conto che il lavoro si annunciava veramente arduo: una mole così enorme rovesciata all’ingiù presentava una complessità estrema per gli interventi da attuare. C’era da considerare la presenza di tutte le strutture mobili, dei materiali e degli esplosivi ancora giacenti nelle viscere della nave e che bisognava recuperare. L’indirizzo operativo fu di portare la nave in condizioni di galleggiamento così com’era per riuscire in seguito a raddrizzarla.
L’idea è da attribuire al progetto del Tenente Generale del Genio Navale Edgardo Ferrati mentre i lavori furono diretti dal Maggiore del Genio Navale Odoardo Giannelli. La prima cosa da fare sarebbe stata la chiusura delle falle presenti in chiglia e nelle murate. Poi si sarebbero dovute applicare alla nave delle camere di equilibrio e cioè delle torri da cui si sarebbe potuto accedere all’interno dello scafo messo in pressione per poter scacciare l’acqua presente in esso. Da queste vie si sarebbe potuto far passare il materiale da sbarcare. Le prime due camere furono installate nell’aprile del 1917 e a maggio iniziò la messa in pressione.
Si avvita l’oblò e poi giù per ore di duro lavoro (Archivio Ufficio Storico Marina Militare)
Si decise di far costruire sei cassoni ad aria compressa, dei grandi cilindri, che poi si sarebbero applicati ai lati dello scafo immerso; una volta riempiti d’aria, avrebbero portato la grande nave in galleggiamento. Tra i problemi più gravosi si propose quello di trovare del personale che entrasse nel ventre della nave. Spaventava l’idea di lavorare in quell’ambiente messo in pressione, al buio, in un caldo-umido insopportabile (si arrivava oltre i quaranta gradi di temperatura con un tasso di umidità elevatissimo) e con la costante presenza di tutto quell’esplosivo che avrebbe potuto ancora giocare qualche brutto scherzo. Non fu per niente facile trovare quaranta operai che si mettessero all’opera. In sette mesi di durissimo lavoro furono portate fuori dalla nave ben settecento tonnellate di munizioni mentre i palombari della Regia Marina si adoperavano per un altro difficilissimo lavoro, quello di turare gli squarci lungo le murate. Tra i tanti palombari presenti ne vennero selezionati dieci tra i più esperti e capaci e anche loro lavorarono ininterrottamente per otto mesi agli ordini del Capitano del Genio Navale Andri. Per immaginarsi la difficoltà di quest’opera basti pensare che i due squarci principali avevano un’estensione pari a circa 60 metri quadrati e presentavano i bordi frastagliati e slabbrati verso l’esterno. Si dovettero smussare tutte queste sporgenze per dopo poter applicare le piastre metalliche che erano dotate di guarnizioni di gomma affinché ci fosse la tenuta stagna una volta attaccate alla chiglia.
Il progetto prevedeva quindi di rimettere a galla la nave per poi trasportarla per circa due chilometri e mezzo al traino di rimorchiatori fino al grande bacino in muratura dell’arsenale. Una volta trasportata al suo interno e messa in secco, si sarebbero eseguiti i lavori di chiusura delle falle e delle aperture sul ponte in modo da renderla completamente stagna. Completato anche questo passaggio la si sarebbe riportata in mare dove, in uno spazio appositamente scelto e predisposto, si sarebbe potuta effettuare la manovra di raddrizzamento. Per immaginarsi le difficoltà incontrate dobbiamo tenere presente che durante i lavori di chiusura delle falle laterali bisognò anche scavare lateralmente lungo le pareti poggiate sul fondo e questo per cercare di alleggerire la morsa del fango nel quale le strutture di coperta erano sprofondate per circa una decina di metri. I tecnici dovettero decidere di procedere ad un lavoro colossale, imposto dalla decisione di portarla in bacino. Si sarebbero dovuti staccare alberi, fumaioli, torri corazzate e qualsiasi altra sovrastruttura sporgente di molto sulla coperta e questo lavoro doveva essere fatto in parte sul fondo facendosi largo nella melma e in parte dall’interno della nave.
Fu un’impresa titanica realizzata dai palombari della Regia Marina. Ore e ore di duro lavoro, immersi nella oscurità del fango impenetrabile alla luce delle lampade. Smontarono, pezzo a pezzo ed a costo di durissima fatica, tutti i fumaioli formati da tre anelli concentrici di grossa lamiera. Le torri corazzate vennero sganciate dall’interno della nave ma si dovettero predisporre degli agganci per il successivo recupero. Solo per il distacco delle torri, la corazzata si alleggerì di 3.000 tonnellate. Si continuava a lavorare anche dentro la nave per cercare di asportare tutto il possibile. Il personale impiegato, tra operai e palombari, era arrivato a circa centocinquanta unità.
Alla fine furono agganciati i cilindri ai fianchi della nave. Si giunse così al fatidico giorno del sollevamento, il 15 settembre del 1920: erano passati praticamente quattro anni per arrivare a questo risultato. Migliaia di ore di immersione da parte dei circa 120 palombari che si erano avvicendati. La manovra di galleggiamento ebbe successo e la “Leonardo Da Vinci” poté essere rimorchiata fino in bacino. Anche qui non fu facile perché per agevolare il rimorchio della nave si dovette scavare un canale di due chilometri e mezzo di lunghezza per quarantacinque metri di larghezza affinché non ci fossero ostacoli alla navigazione.
Dopo gli ulteriori lavori sulla coperta la nave poté essere raddrizzata il 24 gennaio del 1921. Purtroppo a questo poderoso lavoro non corrispose il risultato sperato perché la nave non poté mai essere ripristinata e venne radiata nel 1923.
Qualcuno potrebbe sorridere a questo punto perché dopo un lavoro colossale l’obiettivo non fu raggiunto; invece forse l’obiettivo più importante fu proprio la dimostrazione delle capacità operative di quegli uomini e soprattutto dei palombari della Regia Marina Italiana, una tradizione che a distanza di oltre novant’anni abbiamo ritrovato nel recupero del Costa Concordia.
filmato di Emilio Fusco, tratto da Taranto anni’20 di Giuseppe Francobandiera
N.d.R. L’ ammiraglio Caffio, in un suo saggio a riguardo dell’evento, riporta che l’inchiesta ministeriale concluse che: “… possibile appare la provocazione di un incendio in un locale esterno ai depositi e probabilmente in una forma che potesse prontamente interessare il condotto d’areazione“. In sostanza l’esplosivo potrebbe essere stato introdotto a bordo in modo occulto, eludendo la sorveglianza al barcarizzo. Dunque la causa dell’incendio era stata dolosa. Nonostante gli esecutori non fossero mai stati trovati, i mandanti furono individuati in soggetti facenti capo all’organizzazione spionistica austro-ungarica ed ai settori politici che la sosteneva. |
Fabio Vitale
di Fabio Vitale si consiglia la lettura dei seguenti libri:
Alcune delle foto presenti in questo blog possono essere state prese dal web, citandone ove possibile gli autori e/o le fonti. Se qualcuno desiderasse specificarne l’autore o rimuoverle, può scrivere a infoocean4future@gmail.com e provvederemo immediatamente alla correzione dell’articolo
- autore
- ultimi articoli