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Il coltello da palombaro, attrezzo da lavoro ma anche status simbol

tempo di lettura: 6 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA DELLA SUBACQUEA
PERIODO: XX – XXI SECOLO
AREA: COLLEZIONISMO
parole chiave: palombari, coltello, subacquea
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Alcune brevi note del collezionista 
Il coltello da palombaro è sicuramente l’attrezzatura che, insieme all’elmo, possiamo definire la più emblematica di questo antico mestiere. Non solo, rapisce, affascina e richiama l’immaginario popolare, nutrito dai tanti disegni d’epoca che vedono palombari di tutto il mondo lottare a colpi di coltello contro piovre, squali o enormi gronghi.

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Copertina della Domenica del Corriere del 27 novembre 1938 disegnata da Beltrame con dovizia di particolari. Ritrae un palombaro che si difende con il coltello dall’assalto di un enorme grongo.

Tutto questo era ben risaputo dagli stessi palombari che indossavano il coltello con la stessa fierezza degli antichi guerrieri, una legittima vanità di chi sapeva di appartenere a una stirpe di uomini particolari.

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Immagine del coltello da palombaro con cinturone e anello di ritenuta della manichetta presente nelle tavole delle Istruzioni per i Torpedinieri del 1900

In realtà il coltello era previsto nel corredo quale utile attrezzatura per tagliare cime, reti o altro che potessero costituire pericolo o impedimento al lavoro sott’acqua. Era agganciato a un cinturone in cuoio, utile per completare l’assetto in vita del vestito elastico. Da un punto di vista collezionistico, invece, il coltello è un pezzo molto ambito ma molto pericoloso. Ambito perché la sua destinazione non è esclusivamente rivolta ai collezionisti di attrezzature da palombaro ma sconfina nel ben più ampio mondo dei collezionisti di armi, soprattutto quelle “bianche”. Pericoloso perché, sempre per la sua ricercatezza, esistono più repliche che originali, copie molto difficili da individuare soprattutto quando chi vende sa il fatto suo in tema di invecchiamento.

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Vecchio coltello da palombaro, molto usurato, completo di cinturone. Di sicuro uso civile perché molto difforme nei criteri costruttivi dagli standard

I coltelli sono definiti “attrezzatura da lavoro” e normalmente non riportano numeri di matricola come ad esempio le baionette che sono rubricate come armi. Oltre a questo bisogna dire che i coltelli raramente riportavano i marchi dei costruttori (soprattutto in Italia) con un’unica eccezione per i coltelli Galeazzi e quindi non c’è una grande letteratura storica su questo argomento.

galeazzi 1 galeazzi

Anche i coltelli utilizzati dalla Marina non riportavano numeri seriali o particolari marcature anche perché si tratta di strumenti da lavoro e non di armi bianche. In alcuni casi si sono trovati coltelli con punzonati dei numeri o la sigla R.M. (Regia Marina) magari con stemmi saldati sul fodero.

regia marin agaleazzi coltello Non abbiamo indicazioni documentali che ci dicano di questi protocolli di marcatura e quindi non siamo in grado di stabilire le origini di tali punzonature. Chi si è cimentato nel tentativo mirabile di una catalogazione per tipo ed età non ha riscontri storici e quindi tale lavoro cade nel vuoto.

Ed è per questo che, consapevoli di addentrarci in un terreno minato, abbandoniamo la pretesa di fare qualsivoglia catalogazione affidabile ma semplicemente metteremo nero su bianco una serie di osservazioni e riflessioni dettate dalla esperienza per essere di aiuto a chiunque si imbattesse in un coltello da palombaro da acquisire.

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Disegno esecutivo del coltello presente nell’album dei disegni di progetto delle apparecchiature del 1898 e 1905

 

Il coltello da palombaro
Il coltello nasce praticamente insieme allo scafandro. Nelle Istruzioni militari per i torpedinieri – Parte IV – del 1885 il coltello da palombaro è semplicemente elencato tra gli oggetti componenti un apparecchio da palombaro e viene sommariamente descritto al punto in cui si parla del cinturino: E’ di cuoio e porta un coltello da palombaro con fodero ed un canale, in cui si passa la manichetta che porta l’aria al palombaro.

Nelle Istruzioni per i torpedinieri del 1900 il coltello da palombaro è descritto più approfonditamente: “Ha la lama di acciaio: il manico ed il fodero di ottone, negli apparecchi mod. 1885 modificato; il manico di legno ed il fodero di ottone, negli apparecchi mod. 1898 …  è assicurato al fodero per mezzo di un’avvitatura fatta nel manico. Un cinturino di cuoio lo mantiene sospeso al lato sinistro del palombaro e nello stesso tempo, serve di guida alla manichetta che passa in un anello (a), infisso nel cuoio posteriormente e dallo stesso lato del coltello.

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Il coltello smontato nei suoi componenti. E’ possibile notare lo stato di usura anche delle parti interne.

In tutta la manualistica italiano fino al 1905 del coltello troviamo delle descrizioni generiche mentre è nel 1905 che compare un primo progetto esecutivo di dettaglio. Lo troviamo all’interno dei disegni di progetto dell’Arsenale di Spezia che descrivono tutti i componenti dell’Apparecchiatura Modello 1905. Arriva così anche il coltello ad avere il suo standard per la Regia Marina. Ma se girando per i banchetti di un mercatino dell’antiquariato ci dovessimo imbattere in un coltello da palombaro cosa dobbiamo osservare per evitare di incappare in una “fregatura” ?
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Check list contro le contraffazioni
Ecco di seguito una breve “check list” che non vuole essere una garanzia ma solo una indicazione di massima. Molto importante lo stato di usura del coltello, diffidare sempre di coltelli “come nuovi”. Anche se mai usati siamo in presenza di un oggetto che ha almeno cinquant’anni e i segni di ossidazione anche blanda ci devono essere. Più l’usura è marcata meglio è (lame consumate o con presenza di ossidazione tipo butteratura della superficie della lama, legno levigato dall’uso e con imperfezioni). In presenza di una forte ossidazione senza segni di usura conviene smontare il coltello e osservare le parti che rimangono solitamente non visibili (poste all’interno del manico in legno) e l’interno del fodero.

Una contraffazione potrebbe aver proceduto a una ossidazione per mezzo di acidi solo a coltello montato). Ovviamente se siamo in presenza di parti interne lucide diventa un campanello di allarme, in caso contrario è un punto a favore dell’originalità anche se un abile artigiano può essere in grado di ossidare facilmente le parti prima di montarle:

  • presenza di tracce di grasso invecchiato dal tempo. Anche nei coltelli nuovi il grasso veniva messo per prevenire ossidazioni. (ad esempio coltello facente parte di una apparecchiature mai utilizzata come le dotazioni di rimorchiatori, ecc.);   
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  • filettatura della guardia: solitamente nei coltelli italiani troviamo la presenza di almeno quattro filetti, in quelli tedeschi/francesi almeno sette. La presenza ad esempio solo di due filetti (parliamo di filettatura oltre la guarnizione in cuoio) che fanno avvitare il coltello al fodero solo con un giro è sicuramente indice di non originalità. 
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Quarta di copertina della Domenica del corriere del dicembre 1920, sempre di Beltrame, che ritrae il palombaro Domenico Sasso che lotta a colpi di coltello con una enorme piovra. Il fatto di cronaca cita un palombaro che quasi trent’anni dopo morirà nelle acque del porto di Messina così come riportato nella partecipazione di lutto fortuitamente ritrovata.

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Quindi, concludendo, la principale prova di originalità è data dall’usura (che non vuol dire solo ossidazione ma consunzione globale dell’oggetto dove maggiore deve essere in base agli elementi e al loro uso. In ordine decrescente di usura: lama, filettatura della guardia, impugnatura, nottolino, parte esterna del fodero, parte interna). Rimane poi un’altra principale fonte di originalità che è la provenienza del coltello e della sua probabile storia (ad esempio coltelli ceduti dalle famiglie di palombari con foto a riprova della storia del congiunto).

Fabio Vitale

immagini dell’autore

 

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1 commento

  1. venezia roberto venezia roberto
    13/12/2018    

    io ne ho trovato uno ai suoi tempi; anche li grossi dubbi ma alla fine lo ho ceduto. Però poi non ne ho piu ritrovati

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