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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: OCEANO PACIFICO
parole chiave: storia contemporanea
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Qualcuno avrà visto nelle sale cinematografiche il film “USS Indianapolis: men of courage”. Da ufficiale di marina sono sempre dubbioso quando vedo questi film, apparentemente girati più per accontentare un pubblico alla ricerca di sensazioni ed emozioni forti che per raccontare la vera storia. Siamo abituati ai film storici americani in cui la storia viene spesso modificata per motivi che ancora devo capire. Ricorderete Troy, lo spettacolare film che doveva raccontare l’Iliade, e che terminava in maniera assolutamente diversa da quella scritta da Omero.
USS Indianapolis
Il film centra la storia sui momenti drammatici a seguito dell’affondamento della nave, presentando però alcune inesattezze storiche e, a mio avviso, non dando sufficiente attenzione al processo che dovette poi subire il suo comandante. Sinceramente, nella ricerca della storia della USS Indianapolis nelle “limitate” fonti su internet ho avuto la sensazione che la storia avrebbe meritato un adattamento cinematografico più vicino alla realtà, approfondendo le fasi del processo ed il dramma interiore del Comandante.
Un cold file di oltre 70 anni
Sono passati molti anni da quando l’U.S.S. Indianapolis affondò, pochi giorni prima della fine della seconda guerra mondiale, nell’Oceano Pacifico.
Un team di ricercatori guidato dal co-fondatore di Microsoft, Paul Allen, ha scoperto il relitto dell’incrociatore sul fondo dell’Oceano Pacifico, a circa 18.000 piedi (5500 metri) sotto la superficie. La scoperta del sito, le cui coordinate sono segrete, richiama uno dei più tragici disastri della storia navale statunitense. In passato altri ricercatori avevano cercato di ritrovare la nave. Nel 2016 è iniziata una nuova ricerca in un’area ad ovest della posizione presunta, basata su dei documenti ritrovati da Richard Hulver, uno storico navale, e dell’Heritage Command. Il carteggio è la testimonianza scritta estratta dal diario di bordo di una nave militare americana che aveva avvistato l’U.S.S. Indianapolis poche ore prima che venisse affondato, segnandone la posizione. Queste informazioni hanno portato il team di ricerca a concentrare le attività su quest’ultima, permettendo la scoperta del relitto della nave.
Il U.S.S. Indianapolis è stato così localizzato dalla Research Vessel Petrel, che abbiamo spesso citato nei nostri articoli. La Petrel è una nave da ricerca di circa ottanta metri di lunghezza, dotata di modernissime attrezzature tecnologiche per la ricerca oceanografica che le consentono di effettuare ricerche sofisticate a profondità di 6.000 metri. Utilizza per la ricerca dei relitti dei sonar avanzatissimi che vengono ispezionati tramite un AUV Remus 6000 della Hydroid. Il team, composto da tredici ricercatori, ha in programma di continuare le ricerche per ricercare maggiori informazioni che potrebbero far luce sull’evento, ma sempre nel rispetto della sua sacralità di cimitero di guerra.
Cosa successe veramente
Torniamo alla storia della nave. Alla fine di luglio 1945, la U.S.S. Indianapolis aveva effettuato una missione segreta, trasportando parti della prima bomba atomica all’isola di Tinian, sita nell’oceano Pacifico, che ospitava una base dei bombardieri statunitensi B-29. Probabilmente nessuno a bordo si rese conto di ciò che era stato trasportato. Dopo lo sbarco del materiale segreto la nave, con il suo equipaggio di 1.197 uomini, si diresse alla volta di Leyte nelle Filippine ma, in quella tragica notte incontrò la sua fine, silurata da un sottomarino giapponese. Era il 30 luglio del 1945, circa due settimane prima della fine della guerra. Leggendo la sua storia ci si rende conto che al Fato non ci si può opporre. L’incrociatore era stato consegnato alla Marina statunitense al Philadelphia Navy Yard il 15 novembre 1932 ed apparteneva alla classe Portland, incrociatori pesanti sviluppati e costruiti per la United States Navy nei anni trenta.
Ne furono costruiti due esemplari, il capoclasse U.S.S. Portland e l’U.S.S. Indianapolis. Aveva una lunghezza di ben 186 metri con un dislocamento di 9800 tonnellate; grazie alle sue otto caldaie, con motori che producevano una potenza complessiva di 107,000 shp, poteva raggiungere la notevole velocità di oltre 32 nodi. Il suo armamento era imponente con nove cannoni da 8″ (203 mm)/55, otto cannoni da 5″ (127 mm)/25 ed otto mitragliere calibro .50 (12.7 mm). Inoltre, poteva trasportare due idrovolanti OS2U Kingfisher.
L’U.S.S. Indianapolis era scampata all’attacco giapponese a Pearl Harbor perché quel drammatico 7 dicembre del 1941 era intenta in un’esercitazione nei pressi di Johnston Island. Aveva poi combattuto durante la guerra nel Pacifico nelle principali azioni navali diventando anche sede del comando della V flotta.
Nel luglio del 1945, gli fu assegnata l’Operazione Bronx Shipment ovvero il trasporto del meccanismo di innesco della prima bomba atomica e dell’uranio 235. Quest’ultimo era stato posto in un contenitore foderato di piombo e conservato, anonimamente, nella cabina che era riservata all’ammiraglio quando presente a bordo. Consegnato il suo carico speciale la nave ripartì dal porto di Tinian verso Leyte, nelle Filippine, per riunirsi alla task force 95.7 dell’ammiraglio McCormick. Il fato volle che sulla rotta incontrò un sommergibile giapponese, l’I-58, che la silurò affondandola.
Il suo comandante, Mochitsura Hashimoto, nonostante avesse a disposizione un Kaiten (un siluro che poteva essere pilotato in maniera attiva da un pilota suicida) decise di lanciare due siluri convenzionali che centrarono la fiancata dell’Indianapolis, causando l’interruzione dell’energia elettrica e l’allagamento della nave che, dopo pochissimo, iniziò a sbandare.
La situazione a bordo apparve da subito senza speranza; la nave incominciò ad imbarcare acqua e nemmeno la chiusura dei portelloni fu sufficiente a mantenere il galleggiamento. Iniziò cosi una dramma del mare che costò la vita alla maggior parte dell’equipaggio. I racconti dei sopravvissuti, pubblicati dal Naval Historical Center of the U.S. Department of the Navy, descrivono quei momenti drammatici che seguirono l’affondamento. Di particolare interesse è il racconto del comandante della nave, il capitano di vascello Charles B. McVay (di cui ho preferito lasciare il testo in inglese per rispetto):
“… On Sunday night, the 29th of July … approximately five minutes after midnight [on 30 July], I was thrown from my emergency cabin bunk on the bridge by a very violent explosion followed shortly thereafter by another explosion. I went to the bridge and noticed, in my emergency cabin and charthouse, that there was quite a bit of acrid white smoke. I couldn’t see anything … I asked the Officer of the Deck [senior officer on duty] if he had had any reports. He said ‘No, Sir. I have lost all communications …“
“ … Within another two or three minutes the executive officer [second in command on the ship] came up … and said, ‘We are definitely going down and I suggest that we abandon ship.’… As I had this word passed, I turned to the Officer of the Deck … and said, ‘I have been unable to determine whether the distress message, which I told the Navigator to check on has ever gotten out.’…
“ … I was sucked off into the water by what I believe was a wave caused by the bow going down rather rapidly … Within a few seconds, I felt hot oil and water brush over the back of my neck and looked around and heard a swish and the ship was gone …We could still see nothing. It was still dark and I could hear people yelling for help … Most people had been sucked down by the ship or were full of fuel oil and salt water and were violently ill or else so exhausted that they lay more or less in a stupor … their eyes were filled with fuel oil and consequently, they spent a very uncomfortable 36 to 48 hours trying to get the fuel oil out. … The first night, the first day, Monday, and Tuesday night, were, as I say, very uncomfortable. We then had two days of almost no wind and a glassy [calm] sea. However, the sea still contained those long rolling swells which did not permit you to see very far ...”
Nei giorni a seguire molti naufraghi impazzirono sotto il sole dopo aver bevuto acqua di mare, altri perirono per le ferite. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti centinaia di squali circondarono i poveri superstiti, attaccandoli in una mattanza senza fine. Cosa comprensibile in quanto molti di loro erano morti o feriti e gli squali potevano percepire il sangue nell’acqua. Lo stato di disperazione colpì la maggior parte dei superstiti che si sentirono sempre più abbandonati sotto quel sole implacabile. Solo 316 sopravvissero.
Ma torniamo alla parte finale della dichiarazione del Captain McVay:
“To give some explanation as to how we were picked up and when, I talked to the aviator, Lt. Wilbur C. Gwinn … who was piloting … a (PV-1) patrol bomber … He … was on a regular routine reconnaissance and search from Palau when he … went back to take a Loran [navigational] fix … and happened to glance down towards the water and saw a large oil slick. He then decreased his altitude and followed the oil slick for a number of miles when he sighted the group of what he thought were about 30 survivors. He did not know that they were survivors from the Indianapolis. He did not know the Indianapolis was missing.”
Questo è un punto interessante … il pilota non sapeva che la nave era mancante. Non solo, in seguito nei rapporti emerse che l’aereo che li aveva avvistati, a causa di una grande macchia di olio in superficie, aveva pensato si trattasse di un sommergibile giapponese.
L’inchiesta
Dalle dichiarazioni dei sopravvissuti, il segnale di soccorso fu immediatamente inviato ma ben tre stazioni riceventi lo ignorarono con motivazioni … decisamente vaghe. Ad esempio una stazione lo ignorò deliberatamente perché il comandante della stazione radio in quel momento era ubriaco, un’altra perché il comandate aveva ordinato ai suoi uomini di non essere disturbato e la terza perché il segnale fu considerato un falso, inviato dai giapponesi. Altro fattore inconcepibile fu che il mancato arrivo della nave, previsto il 31 luglio, fu ignorato per due giorni dal controllo del traffico militare di Leyte. Un insieme di sfortunati eventi che fanno pensare.
Nel novembre del 1945, il comandante McVay venne sottoposto alla corte marziale, unico tra i settecento comandanti di navi statunitensi affondate durante il conflitto, e giudicato colpevole di aver “messo a rischio la nave rinunciando a zigzagare“. Questo nonostante il comandante giapponese avesse testimoniato che la cosa non avrebbe fatto alcuna differenza. Una situazione paradossale. Esistevano di fatto numerose prove che discolpavano il Comandante da ogni responsabilità. Con il senno del poi ci possiamo domandare perché:
– nonostante il Comandante avesse richiesto una scorta navale gli era stata negata, unica unità maggiore inviata da Guam verso le Filippine senza un appoggio;
– un cacciatorpediniere era stato affondato solo 24 ore prima della partenza della U.S.S. Indianapolis da Guam ma il Comandante McVay non era stato nemmeno informato del possibile pericolo.
Al termine del processo, la U.S.N. condannò il comandante, accanendosi inspiegabilmente contro l’Ufficiale. Solo in seguito l’ammiraglio Chester Nimitz prosciolse McVay rimettendolo in servizio attivo. Sebbene molti superstiti non attribuirono alcuna responsabilità al comandante, i familiari delle vittime crearono un amaro clima di linciaggio morale che portò il Comandante McVay al suicidio nel novembre 1968.
Perché la nave non fu avvisata della presenza di un sommergibile?
Nel 1990, fu rivelato che la Marina Statunitense, tramite intercettazioni di Ultra, erano in realtà a conoscenza della presenza di un sommergibile giapponese operante nell’area di transito dell’Indianapolis. La non assegnazione di una scorta fu quindi solo una incredibile svista ed una cattiva valutazione della minaccia. Nell’ottobre 2000 il Congresso degli Stati Uniti pose definitivamente fine alla triste storia, approvando che sullo stato di servizio di McVay dovesse essere riportato la sua assoluta non responsabilità nell’evento.
Una triste storia che ho voluto raccontare, ricercando tra le rare fonti di quel tragico evento, per portare rispetto a quel Comandante ed i suoi uomini che furono vittime della guerra e dell’ignavia e incapacità di alcuni.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
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