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Architettura e Nautica: analogie e parallelismi …adattamento evolutivo e genesi di una “specie”

tempo di lettura: 6 minuti

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livello medio
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ARGOMENTO: ARCHITETTURA NAVALE
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: sviluppo navale
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Come può una barca, pur di piccole dimensioni, accogliere anche per lunghi periodi persone prive di cultura del mare ed abituate a spazi casalinghi?
La risposta viene da lontano, dai pionieri e padri dell’avanguardia che della ricerca e sperimentazione ne subivano il fascino e la trasformavano in creatività.

“… a un uomo nudo in vacanza non serve molto più di un letto, servizi, un tetto e la vista del sole che risplende sul mare”. Le Corbusier

Da questa consapevolezza, credo, si trovi la risposta e il senso nella definizione di uno spazio ”ad uso diportistico“. Le Corbusier, con la sua machine à habiter e le sue unità minime di abitazione, è stato un teorico di selezione delle necessità minime dell’abitare; introdusse il concetto di “equipaggiamento casalingo”,  attrezzando la casa in maniera efficiente, lasciando libera la maggiore quantità di spazio possibile, codificando i concetti basilari e prestandoli anche alla nautica moderna insieme alle sue lezioni  geometriche, spaziali ed ergonomiche.

Il Cabanon (1951) di Le Corbusier si costituisce come un minimum architettonico irriducibile, non semplificabile, grande appena quattordici metri quadrati (come la cabina di un treno o di una nave), dove ogni elemento è ridotto al massimo dell’essenzialità e studiato con estrema precisione secondo i dettami aurei e antropocentrici del Modulor. Il Cabanon rappresenta l’atto di nascita di quella che diventerà 20 anni dopo la ricerca e la tendenza nel design della nautica di serie da diporto dagli anni 70 fino ad oggi. Poi il tema delle contaminazioni, del trasferimento tecnologico da altri settori industriali, dell’adattamento funzionale hanno sempre costituito per la pratica del design un terreno di ricerca e sperimentazione estremamente fertile. Dai grandi padri del passato ad oggi si trova la lectio magistralis del concepimento architettonico
contemporaneo. E ancora il tema dell’ospitalità, dello stare, dell’ottimizzazione, delle soluzioni salvaspazio, dove ritroviamo i parallelismi e le analogie tra il mondo dell’architettura e quello della nautica. 

La barca nasce principalmente come mezzo necessario per attraversare le acque, per trasportare uomini e mercanzie di terra in terra. Per motivi commerciali, di guerra, di conquista e d’esplorazione nascevano e non certo per diporto e piacere. Ai passeggeri non era mai assicurata una traversata sicura e confortevole. Gli spazi interni della nave dovevano essere ottimizzati per contenere merci e attrezzature, e come tali … erano trattati anche gli esseri umani a bordo. Spesso questi mezzi, soprattutto nell’antichità, non contemplavano nemmeno l’utilizzo della coperta. Gli equipaggi e i rari passeggeri, per lo più commercianti, erano costretti ad adeguarsi alle peggiori condizioni e ai rischi che una traversata di questo tipo comportava. Questo tipo di approccio alla navigazione non cambia fino all’avvento di carene più ampie e chiuse e di tipologia differente, ma le condizioni erano pur sempre precarie: scarse condizioni igieniche e spazi interstiziali per le cuccette rendevano il viaggio una cosa ancora non da turisti e il prezzo da pagare era alto, sia in termini economici sia per la salute.

Le condizioni cambiano quando si comincia a intravedere una possibilità ludica nel viaggiare in barca, soprattutto a vela; con l’avvento di quello che sarebbe diventato lo “yachting”, sport riservato a pochi ed a chi poteva destinare un’imbarcazione solamente al piacere, escludendo finalità commerciali. Si iniziava ad intendere lo stare per mare come un attività ricreativa. Nuove disposizioni di spazi interni e non più solo di servizio e stive ma si cominciavano a inventare modi per godere della brezza e dei panorami marini. Il navigare inteso come svago, come attività sportiva, svilupperà negli anni 80 – 90 progetti di imbarcazioni con una nuova dimensione mettendo al centro l’uomo e il corpo, la modularità e l’ergonomia, il funzionalismo, la prefabbricazione, riprendendo le lezioni di alcuni dei padri  dell’architettura moderna e sperimentazione (Le Corbusier, Prouvè, Pierre Chaureau, Buck Fuller). 

Nel 1948, Fuller ed i suoi allievi ebbero l’idea di una casa pieghevole, lunga 25 piedi e alta e larga 8 piedi, da poter trainare come una roulotte e delle dimensioni di una barca. Una volta dispiegata, avrebbe potuto ospitare confortevolmente sei persone, con camera da letto, soggiorno, cucina e perfino due bagni. Sfortunatamente, mancavano muri e tetto. Il sogno delle case costruite in serie fu incentivato dall’avvento della plastica: probabilmente i primi prototipi furono realizzati in Francia nel 1956, da Coulon, Schein e Magnant, e seguiti da molti altri. Ionel Schein raccomandava l’uso di questo materiale rivoluzionario per tre ragioni principali: la loro qualità di implementazione, la loro leggerezza e rapida riproducibilità. Per Schein, infatti, l’architettura plastica è l’architettura della vita!

Anche nel settore nautico del diporto si comincia a sperimentare la Plastica. Nel 1957 il giovane ingegnere Michel Dufour scopre un nuovo materiale: il Poliestere.  È così che nasce l’idea della costruzione di una barca a vela in poliestere e nel 1964 si lancia nella progettazione di una barca a vela trasportabile, la “Sylphe”.

Nel 1968 l’architetto finlandese Matti Suuronen presentò il prototipo di una casa di poliestere a forma di UFO, di 8 metri di diametro e 4 d’altezza, sorretta da zampe regolabili, trasportabile in elicottero ovunque. Si chiamava “Futuro” per 8 persone e per i climi gelidi finlandesi, ovviamente con camino. “Il perfetto disegno della nave spaziale riflette l’architettura del domani. L’era della plastica sta per iniziare”. Sfortunatamente il vertiginoso aumento del prezzo del petrolio nel 1971 pose fine al sogno delle case di plastica ma … non nella nautica che iniziò una produzione di massa senza precedenti nella storia.  Il disegno d’interni delle barche, sino agli anni ‘90, si basava su una regolarizzazione della forma del guscio stesso (grazie all’imbonaggio), ma con il tempo si è iniziato a estendere il modulo civile stereometrico al mondo delle barche abbandonando il principio di adattamento salvaspazio ed introducendo sempre più il gusto e la volontà terrestre del committente.

La Forma segue (sempre) la Funzione? 1896 Louis Sullivan

Che sia l’aquila in volo, o il fiore di mela aperto, il cavallo da lavoro faticoso, il cigno allegro, la quercia ramificata, … forma segue sempre la funzione, e questa è la legge … È la legge che pervade di tutte le cose organiche e inorganiche, di tutte le cose fisiche e metafisiche, di tutte le cose umane e tutte le cose superumane, di tutte le vere manifestazioni della testa, del cuore, dell’anima, che la vita è riconoscibile in la sua espressione, quella forma segue sempre la funzione. Questa è la legge.

Nel 1908, l’architetto austriaco Adolf Loos scrisse un saggio allegorico intitolato “Ornament and Crime” in reazione all’eccessivo ornamento usato dagli architetti della Secessione di Vienna. La tesi moralista di Loos e la massima di Sullivan furono adottate dal 1900 come principi di una nuova espressione figurativa, condizionando per quasi mezzo secolo l’architettura e il modo di rappresentarsi sia in ambito terrestre che navale: nasce il movimento moderno o International Style!

Protagonisti come Le Corbusier, Mies, Gropius, Wright, Aalto, Michelucci, Gio Ponti, Albini, supportati dal CIAM (congressi internazionali) diedero vita, forma e sostanza, dalle ceneri dell’Art Nouveau e della Secessione, al più grande rinnovamento culturale della storia dell’architettura e del design e a tutti gli “ismi” del 900: Neoplasticismo, il Bauhaus, il Costruttivismo, il Razionalismo italiano, Funzionalismo … a cui, ancora oggi, si trae ispirazione garantendosi un consenso, elitario e di massa, nella ritualità di vestirsi in questo rassicurante e collaudato “Stile Internazionale “!

Nel 1936 fu coniato negli USA il termine INTERNATIONAL STYLE, con il quale spesso viene denominato tutto il movimento moderno. Oggi la funzione ha prevalso e trasgredito sulla forma al punto che le funzioni che danno forma alle barche (da diporto) riflettono le esigenze e le mode di una utenza sempre più nuova, che uscendo dall’esclusività dell’aristocrazia, hanno fatto saltare quei riferimenti noti di una cultura nautica classica. E’ ormai da tempo in discussione il mantenimento di quei tipici e riconoscibili aspetti formali e volumetrici di un recente passato, la percezione chiara di quello “spazio marino”, o “stile marino”, oggi sempre più terrestre e urbano! Declinando lentamente quel valore consolatorio che, credo, avevano le barche rispetto alla vita, si sono perse le apparenti certezze di una geometria nota, rispettata, rassicurante e riconducibile a tradizioni storiche, aprendosi così al nuovo, al diverso instabile e spesso disarmonico, al disordinato e alla libertà degli spazi eccessivi in cui l’Uomo moderno vuole vivere e confrontarsi.

Le barche appaiono, si mostrano e quindi ci parlano con propri codici ognuno dei quali attraverso la storia e l’evoluzione ci trasmette una serie di messaggi e quindi informazioni funzionali, stilistiche e strutturali.

La circolarità di tre principi regolatori (Utilitas, come utilità nella funzione – Firmitas, come solidità nella statica e nei materiali – Venustas, come bellezza ed estetica) ha garantito e assicurato che una barca fosse degna di appartenere al mondo elitario guidandone la conformazione basata essenzialmente sull’armonia delle parti (solida, utile e bella).

Subentra oggi l’Indeterminatezza, la Leggerezza, la Trasformabilità, l’Immaterialità, la  Multimedialità, la Sensorialità, l’Elettronica, la Vetroresina e lo Sbandamento … in tutti i sensi!!

Assistiamo oggi ad una produzione di barche di massa a prezzi accessibili, alla conquista ed allo strapotere nell’industria nautica della vetroresina stampata e … controstampata, la produzione di serie, il fascino di una moda, di appartenenza a uno status sociale e quella di un’utenza nuova che spesso arriva ad acquistare, impreparata culturalmente e tecnicamente, barche di serie usate o nuove di medie/grandi dimensioni (12 – 15 mt) per la crociera in famiglia, con baglio massimo a poppa, pozzetti e volumi giganti, doppia timoneria e con l’indispensabile requisito della vivibilità e comodità, come a casa. Si vedono sempre più spesso galleggiare gusci terrazzati con grandi nastri di luce, scafi senza scafi, murate svetrate fino al galleggiamento, prue rovesce e tughe virtuose e connesse a gradinate poppiere palladiane, ringhiere al posto di battagliole e tanto altro materiale insolito con soluzioni prese in prestito e trasferite dall’edilizia e adattate al mare, spesso e volentieri troppo facilmente. 

A Londra è stata presentata una nuova linea di mega yacht disegnata dall’architetta e designer irachena naturalizzata britannica Zaha Hadid, prima donna a ricevere il Premio Pritzker nel 2004  e il Premio Stirling nel 2010 e nel 2011. Hadid, scomparsa nel 2016, fu una delle capofila e massime esponenti della corrente decostruttivista e disegnò, per il cantiere tedesco Blohm+Voss, il “Jazz”, un mega yacht della lunghezza di ben 128 metri, caratterizzato da un “esoscheletro” dalle forme sinuose che lascia spazio ad innumerevoli giochi di luce. 

Sacha Giannini

 

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