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livello elementare²
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ARGOMENTO: PESCA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: OCEANI
parole chiave: strascico
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Secondo un recente studio pubblicato su Nature ogni anno viene rilasciata dal fondo del mare, a causa della pesca a strascico, una quantità di carbonio comparabile a quella emessa in aria dall’industria mondiale nei periodi precedenti alla pandemia COVID.
Una pesca dibattuta
Le reti a strascico sono un tipo di pesca effettuato attraverso il traino di reti lungo il fondo del mare. In molti casi il loro uso è stato ridotto a causa dei danni all’ambiente causati dallo strascico sul fondale che minacciano la flora e la fauna sottomarina. In pratica, rastrellando i fondali le reti a strascico distruggono o asportano qualunque cosa incontrano; pesci, invertebrati, coralli, alghe, praterie di posidonia vengono raccolte nelle reti che lasciano un ambiente devastato. Ciò nonostante questo tipo di pesca viene ancora praticato legalmente e illegalmente da molti Paesi. A questo scempio ambientale, secondo l’articolo Protecting the global ocean for biodiversity, food and climate, pubblicato sulla rivista Nature, si aggiunge un effetto secondario non trascurabile.

segni di strascico sul fondo
Andiamo per ordine
I sedimenti marini sono la più grande riserva di carbonio organico del pianeta ed un serbatoio cruciale per lo stoccaggio a lungo termine del CO². Se lasciato indisturbato, il carbonio organico immagazzinato nei sedimenti marini può rimanere indisturbato per millenni senza entrare quindi in atmosfera. Se invece, per motivi fisici, questi depositi di carbonio vengono “mossi” il carbonio sedimentato può trasformarsi in CO². Gli effetti più immediati sono l’aumento dell’acidificazione degli oceani (cosa che va a ridurre la capacità tampone dell’oceano) e l’aggiunta di CO² in atmosfera. Questo fa comprendere come questo fattore, apparentemente poco visibile ai più, possa essere così sensibile per il clima in cui viviamo, di fatto aumentando la percentuale di diossido di carbonio in atmosfera.
I ricercatori, autori dello studio citato, hanno utilizzato informazioni satellitari sull’attività di pesca dei pescherecci da traino e delle draghe industriali tra il 2016 e il 2019, con una risoluzione di un km², ed hanno stimato che 4,9 milioni di km² (circa l’1,3 % di tutti gli oceani) erano stati interessati dalle attività di pesca a strascico. Dall’analisi è emerso che questa attività di “disturbo” del fondo marino genera circa 1,47 Pg di emissioni di CO₂ in acqua nel primo anno di attività di pesca. Le emissioni diminuiscono man mano che le riserve di carbonio dei sedimenti si esauriscono, stabilizzandosi intorno ad un valore di circa il 40% delle emissioni calcolate nel primo anno. Gli scienziati ritengono che se l’attuale intensità di pesca a strascico resterà costante, le emissioni di carbonio dai sedimenti continueranno con un valore di circa 0,58 Pg di CO₂ per un periodo stimato di 400 anni.
Il petagramma di carbonio (Pg) è noto anche come Gigatone (Gt) ed è pari ad un miliardo di tonnellate di diossido di carbonio |
Per avere un’idea più pratica di quanto questa emissione rappresenti bisogna considerare che 1,47 Pg di CO₂ rappresentano solo lo 0,02% del carbonio sedimentario marino totale, ed è equivalente al 15-20% della CO₂ atmosferica assorbita dall’oceano ogni anno, paragonabile alle stime della perdita di carbonio nei suoli terrestri causata dall’agricoltura. In altre parole, verrebbe assorbito circa il 15-20% in meno di CO₂ nella colonna d’acqua con possibili conseguenze di vasta portata sul ciclo del carbonio marino, sulla produttività primaria e sulla biodiversità.
a. Aree prioritarie per raggiungere il 90% dei benefici massimi per uno (giallo), due (arancione) e tre (rosso) obiettivi di conservazione simultanei (conservazione della biodiversità, stock di carbonio e approvvigionamento alimentare). Le aree esistenti completamente protette sono mostrate in azzurro. b – d, Co-benefici cumulativi per ciascun obiettivo nell’ambito di una prioritizzazione di un unico obiettivo di biodiversità (b), approvvigionamento alimentare (c) e carbonio (d). La barra blu nelle curve dei benefici indica l’attuale 2,7% dell’oceano globale che è incluso in aree completamente protette. da studio citato
Sebbene lo studio identifichi le aree in cui le Aree Marine Protette possono prevenire efficacemente la re-mineralizzazione del carbonio dei sedimenti in CO₂, esistono però aree prioritarie dove l’influenza antropogenica potrebbe essere ancora più sensibile, come ad esempio la ZEE cinese, le aree costiere atlantiche dell’Europa e le aree di risalita (upwelling). In altre parole questi effetti sarebbero chiaramente maggiori nelle ZEE di dimensioni maggiori, soggette ad un’attività di pesca industriale con reti a strascico.
Secondo gli scienziati, per eliminare il 90% dell’attuale rischio di “disturbo” del carbonio dovuto alla pesca a strascico sarebbe necessario creare almeno il 3,6% di nuove aree marine protette all’interno delle ZEE. Non ultimo, i ricercatori sollevano anche il problema di un futuro non tanto lontano quando l’estrazione mineraria in acque profonde diverrà una realtà, riconoscendo che tale impatto è ancora da definirsi.
Un impatto di tutti ma non in ugual misura
I maggiori Paesi identificati in tali attività sono Cina, Russia, Italia, Regno Unito, Danimarca, Francia, Paesi Bassi, Norvegia, Croazia e Spagna. Negli Stati Uniti, a gennaio 2021, il presidente Biden ha firmato un ordine esecutivo che si impegna a proteggere il 30% delle terre e delle acque americane entro il 2030. Ma non è l’unico. Più di 50 paesi hanno preso impegni simili e si spera che tale ambizioso obiettivo possa essere adottato alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità che si svolgerà in Cina alla fine di quest’anno (2021). Passi importanti che non sembrano però affrontare il fatto che esistono Paesi che ancora oggi utilizzano lo strascico in maniera intensiva, contro ogni regola, in zone de mondo dove i legittimi proprietari delle ZEE non hanno capacità di reazione. Una pesca intensiva in cui gran parte del pescato viene ributtato in mare, colpendo ancor più nel cuore gli equilibri degli ambienti marini … ma questa è un’altra storia.
a. frazione di ZEE delle nazioni nel 10% più alto delle aree prioritarie per la conservazione della biodiversità marina globale. Qui vengono mostrati i 100 paesi o territori con i maggiori contributi al raggiungimento del massimo beneficio possibile in termini di biodiversità. I valori si aggiungono alla protezione attuale. b, La conservazione cumulativa della biodiversità trae vantaggio dall’implementazione di un’espansione dell’AMP coordinata a livello globale in base alle priorità globali (blu), alle priorità nazionali (arancione) e al posizionamento casuale (grigio; 100 serie casuali). La barra blu indica l’attuale 2,7% dell’oceano globale che è incluso in aree completamente protette. ATF, Territori francesi meridionali; FSM, Stati federati di Micronesia; SGS, Georgia del Sud e Isole Sandwich meridionali; SHN, Sant’Elena, Ascensione e Tristan da Cunha; SJM, Svalbard e Jan Mayen; UMI, Isole Minori Esterne degli Stati Uniti. da studio citato
Qual è la situazione in Italia?
Secondo un’analisi della pesca a strascico effettuata nel compartimento di Chioggia, pubblicata da Isprambiente, la zona compresa entro tre miglia marine dalla costa è particolarmente importante per molte specie ittiche ed è caratterizzata da un alto trofismo dovuto all’input di nutrienti provenienti dalla terraferma. In Italia, al fine di evitare il depauperamento delle specie di interesse commerciale, l’articolo 111 del Regolamento per l’esecuzione della Legge 963/1965 sulla disciplina della pesca marittima (D.P.R. N. 1639/1968) vieta la pesca a strascico all’interno della fascia costiera entro 3 miglia nelle zone marine, dove la profondità delle acque è inferiore a 50 metri, o entro un miglio se la profondità delle acque supera i 50 metri, mentre non pone restrizioni per l’uso di reti da posta. Questo per proteggere dall’azione dello strascico sia i riproduttori che gli esemplari giovanili di molte specie che sono oggetto di pesca. Tra i mari italiani il medio/alto Adriatico è quello sottoposto alle attività della pesca a strascico in percentuale maggiore degli altri mari italiani.
Non mancano però le polemiche, soprattutto dei piccoli pescatori, a cui queste limitazioni vanno strette e che vorrebbero una maggiore libertà. I problemi restano e solo con un approccio condiviso si potrà ridurre tale impatto.
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare.