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I preparativi alla base di BETASOM per operare nell’Atlantico Occidentale – parte II

tempo di lettura: 9 minuti

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livello elementare

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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: REGIA MARINA MILITARE ITALIANA
parole chiave: Romolo Polacchini, Regia Marina italiana, BETASOM, sommergibili
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Nel nuovo ambiente operativo dell’Atlantico l’attacco al traffico nemico, ovviamente non più vincolato alla tattica di gruppo del “branco di lupi”, si frazionava in tante azioni singole contro navi mercantili isolate, azioni nelle quali l’utilizzo del cannone assumeva importanza preponderante.

Si verificavano cioè le condizioni tattiche che i battelli italiani, per caratteristiche costruttive e per metodi di addestramento, avevano dimostrato di saper sfruttare efficacemente. E finalmente arrivarono i meritati successi di cui la Regia Marina aveva un grande bisogno.

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Bordeaux 19 novembre 1941 – Il capitano di vascello Romolo Polacchini Comandante Superiore di Betasom, saluta il sommergibile “Da Vinci” in partenza per la sua prima missione atlantica al comando del C.C. Luigi Longanesi Cattani

In previsione di un intenso traffico esistente nelle zone di operazione e di una scarsa sorveglianza e difesa, il Capitano di Vascello Romolo Polacchini raccomandò ai comandanti dei cinque sommergibili anche di fare particolarmente attenzione nell’economia dei siluri, ricorrendo al cannone per dare alle navi silurate il colpo di grazia, in modo da risparmiare i loro preziosi siluri. 

Considerando poi che i sommergibili Finzi, Tazzoli e Morosini, non troppo moderni, avevano macchine e materiali piuttosto logori, e che Morosini, Da Vinci e Torelli avrebbero affrontato per la prima volta una navigazione prevista di oltre 10.000 miglia, fu posta particolare attenzione nei lavori di modifica, di verifica e revisione dei battelli. Questi lavori furono compiuti in tempi strettissimi sotto la direzione del validissimo Capo Servizio del Genio Navale, Maggiore Giulio Fenu.

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Inoltre, basandosi sull’esperienza acquisita nelle precedenti missioni oceaniche e per venire incontro ai desideri espressi da ciascun comandante, furono apportate altre modifiche alle false torri di tutti i sommergibili, per rendere più agevole la permanenza del personale in plancia e fare in modo che il servizio delle vedette fosse il più efficace possibile. Fu proprio nelle trasformazioni che a tempo di record apportò ai nostri battelli per aumentarne l’autonomia e modificarne la torretta che l’ingegner Fenu mostrò le sue migliori capacità, suscitando l’ammirazione anche dell’ammiraglio Dönitz. Durante la permanenza in bacino furono fatti sui sommergibili tutti i lavori ritenuti indispensabili per metterli nelle migliori condizioni di operatività, apportando opportuni spostamenti di zavorra e revisionando le linee d’asse e tutte le appendici della carena. Particolare attenzione fu posta ai motori termici, che furono curati in tutti i loro organi e nelle apparecchiature, oltre a mettere i motori ausiliari nella più perfetta efficienza.

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Dal punto di vista tattico Polacchini richiese ai comandanti dei sommergibili di comunicare ogni avvistamento di navi nemiche con le rispettive rotte, per permettere a BETASOM di analizzare le deviazioni del traffico nemico. Secondo gli ordini del Comando, nel caso di un incontro con una nave nemica, il sommergibile doveva limitarsi a mantenerne il contatto, chiedendo sempre alla Base il permesso di attaccare. Negli ordini di operazione di BETASOM fu però inizialmente lasciato ai comandanti dei sommergibili un margine di autonomia che li rendesse liberi di agire in base alle proprie osservazioni e supposizioni. In seguito, quando il Comando Superiore venne in possesso di utili notizie sul movimento del traffico, la condotta delle operazioni si svolse sotto la sua guida, trasmettendo di volta in volta alle unità in mare tutte le informazioni che il capitano di vascello Romolo Polacchini riteneva essere di ausilio e di indicazione per ottenere i maggiori successi.

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Grazie all’impegno di Polacchini i sommergibili italiani, distolti dalla guerra al traffico dei convogli mercantili nell’Atlantico Settentrionale e dirottati nella guerra al traffico isolato nell’Atlantico Occidentale, finalmente furono messi in grado di ottenere notevoli successi. Questi furono lodati non solo da MARICOSOM e da SUPERMARINA, ma anche dall’ammiraglio Dönitz, che un giorno chiese a Polacchini: «Come mai i sommergibili italiani hanno raggiunto negli ultimi tempi un tonnellaggio di naviglio nemico affondato superiore a quello dei sommergibili tedeschi?», e il comandante di BETASOM rispose – ovviamente scherzando – “che i sommergibili italiani erano … più bravi di quelli tedeschi!”

I nomi dei comandanti italiani che, coordinati da Polacchini, si coprirono di gloria nelle battaglie lungo le coste dell’America Meridionale e le coste occidentali dell’Africa, sono rimasti nella storia della Marina italiana per i loro successi, ottenuti con mezzi esigui nella guerra che più si addiceva al loro temperamento e alla loro inclinazione. Polacchini commentò così questi lusinghieri risultati: «L’attacco al traffico isolato quando è intenso, è quello che dà maggiori risultati con rischi minori di quelli a cui si va incontro nella guerra al traffico convogliato sotto scorta; è impiego sempre da preferirsi specialmente per i nostri sommergibili, date le loro caratteristiche costruttive e la preparazione e l’allenamento del personale».

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Poichè la Francia era un Paese occupato, Polacchini si preoccupò anche di organizzare un’adeguata difesa contro attacchi da parte della Resistenza, sia alla Base propriamente detta, sia alla sede del Comando Superiore spostata nel Château du Mulin d’Ornon a Gradignan, sia negli altri Châteaux dove alloggiavano gli ufficiali e nel cosiddetto “Campeggio” cioè l’ex colonia scolastica con le baracche dove erano acquartierati i sottufficiali, i marinai e gli equipaggi dei sommergibili al ritorno dalle missioni. Furono anche migliorate le difese da bombardamenti nei magazzini e nelle officine della Base e nei depositi di materiali, siluri e munizioni. I più stretti collaboratori del nuovo Comandante Superiore della Base durante il suo potenziamento e la sua riorganizzazione furono il Capo di Stato Maggiore, capitano di fregata Giuseppe Caridi e l’aiutante di bandiera, capitano di corvetta Giovenale Anfossi, che rivestiva anche la carica di Capo dell’Ufficio Operazioni.

I rapporti del capitano di vascello Polacchini con il Großadmiral Dönitz furono apparentemente buoni ma sempre molto formali e Dönitz considerò sempre gli uomini e i battelli italiani molto inferiori alla preparazione ed alla tecnologia tedesca. Polacchini aveva percepito questo sentimento avverso di Dönitz, ma avendo anche buone doti di diplomazia fece sempre buon viso a cattivo gioco. In seguito i risultati ottenuti avrebbero parlato per lui.

Solo molti anni dopo la fine della guerra, in una lettera dell’aprile 1960, nella quale forniva al giornalista Marco Cesarini Sforza alcune precisazioni su un articolo a puntate pubblicato dal settimanale “Gente” sull’epopea dei sommergibili italiani in Atlantico, espresse con decisione il proprio rammarico per l’ingiusta opinione di Dönitz nei confronti degli italiani.

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Queste sono le sue testuali parole al riguardo: «Rileggendo quello che ho scritto, mi sono accorto di aver tralasciato un argomento che costituisce l’inizio del Suo articolo. Sì, nel suo libro il Grandammiraglio Dönitz è stato non solo ingiusto, come Lei ha scritto, nei riguardi dei sommergibili italiani, ma qualcosa di più e di peggio. Ha, certo di proposito, voluto dimenticare l’apporto dei sommergibili italiani alla cosiddetta “Battaglia atlantica”, apporto che, relativamente al numero delle Unità impiegate, fu veramente ragguardevole e degno della massima considerazione. Dönitz avrebbe dovuto ricordare i tanti riconoscimenti ed elogi che Egli ebbe a tributare ai sommergibili italiani, ai loro Comandanti, all’Ammiraglio Parona ed a me, verbalmente ed a mezzo di decorazioni (due Croci di Ferro a me). Ha invece tutto dimenticato! E ha appena fatto il nome dell’Ammiraglio Parona, per ragioni di amicizia personale e familiare, omettendo invece il mio nome, inspiegabilmente, per tante e tante ragioni».

Ad ogni modo, a dispetto della scarsa stima per l’alleato italiano, l’ammiraglio Dönitz non esitò nel momento del bisogno a chiedere a Polacchini di inviare a circa 4.000 miglia dalla Base quanti più sommergibili poteva in soccorso dei naufraghi della nave corsara tedesca Atlantis, che il 22 novembre 1941, mentre si trovava 350 miglia al largo dell’Isola di Ascensione nell’Atlantico Meridionale, fu sorpresa dall’incrociatore britannico HMS Devonshire, mentre stava rifornendo il sommergibile tedesco U126 e fu costretta ad autoaffondarsi. Anche la nave rifornitrice tedesca Python, inviata sul posto dall’Alto Comando tedesco insieme a tre U-Boot per raccogliere i naufraghi, fu a sua volta costretta ad autoaffondarsi il 1° dicembre, essendo stata intercettata dall’incrociatore britannico HMS Dorsetshire mentre era intenta a rifornire due U-Boot tedeschi.

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L’Atlantis, famosa “nave corsara” della Kriegsmarine, era un incrociatore ausiliario lungo 155 metri, di 17.600 t.s.l. con un equipaggio di 349 unità. Era dotato di : 6 cannoni da 150 mm; 1 cannone da 75 mm a prua; 2 cannoncini antiaerei binati da 37 mm; 2 cannoncini antiaerei binati da 20 mm; 4 tubi lanciasiluri da 533 mm sotto la linea di galleggiamento; 92 mine navali in un apposito compartimento. A poppa c’erano 2 cannoni da 150 mm nascosti da una gru e da un finto cassero, gli altri erano dietro finte murate mobili all’interno delle sovrastrutture e coglievano di sorpresa il naviglio nemico. Aveva anche una catapulta e 2 idrovolanti Arado Ar 196 in una stiva, uno pronto all’uso e l’altro da assemblare. Nelle sue stive portava anche una grande quantità di materiale per modificare la struttura e mimetizzarsi assumendo l’aspetto di navi di dimensioni simili, ma battenti bandiera di paesi neutrali. C’erano un finto fumaiolo; alberatura e picchi di carico ad altezza variabile; teloni e vernice; bandiere di nazioni non belligeranti; costumi per l’equipaggio. Con questo materiale l’Atlantis, poteva adottare fino a 26 silhouette differenti per ingannare la caccia nemica. 

I 414 naufraghi delle due navi tedesche furono in un primo tempo imbarcati su zattere e scialuppe che vennero prese a rimorchio dai due U-Boot rimasti in zona e da altri due fatti convergere sul posto dall’Alto Comando germanico, Poi, il 6 dicembre, i quattro sommergibili con a bordo un centinaio di naufraghi ciascuno fecero lentamente rotta verso Nord diretti alle basi tedesche in Francia, distanti circa 3.000 miglia. Fu subito evidente però, che le condizioni di vita a bordo dei quattro U-Boot così sovraffollati erano pressoché impossibili, sia perché non potevano immergersi, sia per la scarsità dei viveri a bordo.

L’ammiraglio Dönitz dovette chiedere l’intervento dei sommergibili italiani, che lui aveva sempre disprezzato soprattutto per le dimensioni che giudicava troppo grandi. Polacchini, non solo per spirito di collaborazione ma soprattutto per il senso umanitario che aveva sempre contraddistinto la Regia Marina italiana (e lui personalmente), inviò immediatamente in soccorso i sommergibili Finzi, Tazzoli, Calvi e Torelli che si trovavano a BETASOM, dopo aver ridotto i loro equipaggi al minimo indispensabile in modo da poter imbarcare ciascuno 70 naufraghi tedeschi. L’incontro con i quattro sommergibili tedeschi avvenne al largo delle Isole di Capo Verde tra il 14 e il 18 dicembre, e sui nostri battelli furono trasbordati (con mare 4-5) 254 superstiti dei due affondamenti, che vennero tutti sistemati sottocoperta, per portarli a Saint Nazaire.

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arrivo a Bordeaux dei naufraghi tedeschi su un sommergibile italiano

L’impresa portata a termine dai capitani di corvetta De Giacomo, Fecia di Cossato, Giudice e Olivieri, tra i più brillanti salvataggi in alto mare che si ricordino nella storia, fu molto apprezzata dal Dönitz, che decise di conferire loro la decorazione della Croce di Ferro di 1° Classe ed a Polacchini la Croce di Ferro di 2a Classe. La cerimonia ufficiale di consegna delle prestigiose onorificenze avvenne a BETASOM nel febbraio del 1942.

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Poiché la Base tedesca di Bordeaux era piuttosto vulnerabile agli attacchi aerei degli inglesi, a metà del 1941 l’ammiraglio Dönitz decise di costruire in un bacino interno a quello utilizzato dagli italiani (bassin à flot n.1) un grande bunker di cemento armato in cui ricoverare i sommergibili. Questa immensa costruzione fu iniziata a settembre del 1941 e durò a lungo, ma fu operativa dopo pochi mesi. Nei suoi alveoli spesso alloggiarono anche i sommergibili italiani, poiché la richiesta fatta dal capitano di vascello Polacchini a SUPERMARINA di poter disporre di propri bunker non fu accolta per mancanza di maestranze e materiali.

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Nell’ottobre 1942, essendo ormai agibile il suo bunker, la Kriegsmarine costituì e dislocò a Bordeaux la 12a Unterseebootsflottille, una “Frontflottille” (flottiglia di combattimento) di U-Boote, sotto il comando del capitano di corvetta Klaus Scholtz. Per la costruzione dell’enorme bunker di Bordeaux per il ricovero dei sottomarini i Tedeschi impiegarono quasi due anni, utilizzando circa 6.000 uomini, per lo più prigionieri di guerra. Realizzato con 600.000 metri cubi di cemento armato, il bunker si estende su una superficie di 42.000 metri quadrati e ha dimensioni davvero imponenti: 245×162 metri. La costruzione è alta 19 metri sopra l’acqua, e ha un tetto spesso ben 5,6 metri nella zona in cui ci sono gli alveoli per custodire i sommergibili. Il bunker è suddiviso in 11 celle collegate da una strada interna. Gli ingressi erano protetti da spesse saracinesche di acciaio. Gli 11 alveoli sono larghi dai 14 ai 20 metri a secondo delle loro funzioni: i primi 4 erano vere e proprie banchine per i sommergibili, mentre gli altri 7 erano dei bacini di carenaggio svuotabili con potenti pompe. Il tetto del bunker di cemento armato è format da due strati, con quello superiore, distante 3 metri da quello inferiore, fatto di travi regolarmente distanziate tra loro.

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Questo sistema di costruzione (“fangrost“) per fronteggiare le nuove e più potenti bombe alleate, faceva in modo che le bombe perforanti esplodessero nello spazio tra i due tetti, usato come camera di scoppio, piuttosto che penetrare nel bunker principale sottostante. La demolizione di questa struttura, che durante la guerra resistette efficacemente agli attacchi aerei, è praticamente impossibile, ed oggi è stata riconvertita in museo e sede di mostre e manifestazioni culturali.

Marcello Polacchini 


testo e immagini fornite dall’autore 

 

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Domenico Tringali
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Domenico Tringali
07/04/2021 0:02

Nel 1966, imbarcato sull’Impetuoso, il mio C° Servizio IOC era il T.V. Mario Polacchini; vorrei sapere se è parente dell’Ammiraglio Romolo Polacchini. Grazie.

Admin
Amministratore
07/04/2021 8:19
replicare a  Domenico Tringali

Mario Polacchini era cugino del padre dell’autore, ammiraglio Vittorio Polacchini ed era il figlio dell’ammiraglio Remo Polacchini, fratello di Romolo…. una famiglia di marina!!

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