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livello elementare
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ARGOMENTO: SICUREZZA MARITTIMA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: CHOKE POINT
parole chiave: Ever Given, traffico mercantile, maritime security
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Le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato le immagini della riapertura del traffico attraverso il canale di Suez a seguito del disincaglio della portacontainer Ever Given. Pur avendo seguito con attenzione l’evento, ho voluto attendere a scrivere qualcosa su questo grave incidente per cercare di andare oltre l’evento mediatico, che di fatto parla da solo. Dopo aver descritto quello che è avvenuto (sulla base di quanto ipotizzato dai tracciati A.I.S.) tratterò un problema scottante, la sicurezza degli Stretti marittimi, che nei prossimi decenni diventerrà sempre più scottante per garantire il libero flusso mercantile.
Il canale di Suez, da oltre 150 anni una delicata via di comunicazione
Il Canale di Suez è un canale artificiale che taglia l’istmo omonimo in territorio egiziano collegando il Golfo di Suez con il Mediterraneo. Da Porto Said, a Nord, a Port Tawkif, a Sud, il canale è lungo 191 km. Il canale fu inaugurato il 17 novembre 1869 e, dal 1888, grazie alla Convenzione di Costantinopoli, fu dichiarato “zona neutrale”. Per la sua importanza può essere usato sia in periodo di pace sia di guerra, ovviamente non da Paesi in conflitto con l’Egitto. Il transito delle navi è organizzato su tre convogli alternati al giorno (da nord a sud, da sud a nord e ancora da nord a sud), che si incrociano al Grande Lago Amaro e al by-pass di al-Balla.
Nel transito le navi si susseguono a una distanza di circa un miglio marino, e la velocità da mantenere è fissata a circa nove nodi per cui il transito dura in media circa 15 ore. Ogni nave imbarca obbligatoriamente uno o due piloti, che sono responsabili del rispetto dell’ordine dei convogli e della puntualità dei passaggi ai vari posti di segnalazione, presenti ogni dieci km circa; a Ismailia si ha un cambio di pilota. Inutile dire che il canale è strategico per l’economia dell’Egitto e l’attenzione è sempre alta. Il 6 agosto 2015 è stato inaugurato il raddoppio di una parte del Canale di Suez. Grazie a questo ampliamento 97 navi possono ogni giorno transitare lungo il canale rispetto alle precedenti 49, è ridotto il tempo di transito e soprattutto non ci sono limiti nella dimensione delle imbarcazioni. Secondo la U.S. Energy Information Agency, il Canale di Suez può ora consentire il passaggio effettivo del 60% di tutte le navi cisterna nel mondo.
L’evento Ever Given
Nel suo transito lungo il canale la Ever Given stava navigando dalla Cina con destinazione Rotterdam quando, per cause ancora da chiarire, si è arenata attraversando il canale mentre navigava verso il Great Bitter Lake, un ampio specchio d’acqua a metà strada tra l’estremità nord e sud del canale, di fatto bloccandone il traffico. La Ever Given è una delle navi più grandi del mondo con un dislocamento di 224.000 tonnellate e 400 metri di lunghezza e può trasportare 20.000 container.
A chi appartiene?
Come spesso accade nel mondo mercantile le navi commerciali, sebbene battano una bandiera specifica, possono essere operati da agenti di diversi Paesi. Nel caso specifico la Ever Given batte bandiera di Panama, viene operata dalla Evergreen Marine Corp., un’importante compagnia di navigazione con sede a Taiwan, ma è di proprietà giapponese.
Il disincaglio
Dopo giorni spasmodici, che hanno visto la formazione di una lunga coda di navi in attesa di attraversare il canale, la gigantesca nave portacontainer è stata finalmente liberata e, dopo quasi una settimana, ha ripreso il suo trasferimento, scortata dai rimorchiatori, il 29 marzo. Le immagini delle draghe, che hanno lavorato giorno e notte per rimuovere la nave arenata, hanno fatto il giro del mondo. Più di una dozzina di rimorchiatori, tra cui un rimorchiatore d’altura italiano, sono stati utilizzati per effettuare le delicate manovre di traino per spostare la nave dal suo punto di incaglio. Dovrà ora subire i necessari controlli in quanto l’incidente potrebbe aver causato importanti danni allo scafo e agli assi delle eliche.
Il danno economico al traffico e all’Egitto
Nei giorni del blocco Bloomberg aveva valutato una perdita giornaliera di 9,6 miliardi, ferendo nel fianco anche l’economia egiziana che, secondo l’Autorità di controllo del canale, per mancati incassi, ha perso una cifra pari a 13-14 milioni di euro al giorno. Questo potrebbe giustificare la legittima richiesta egiziana di ottenere la scatola nera per analizzare le cause dell’evento ed escludere eventuali responsabilità. Il blocco della viabilità marittima ha interessato un totale di 367 navi, comprese dozzine di navi portacontainer e portarinfuse, ed un aumento di quasi il doppio delle tariffe di spedizione di prodotti petroliferi con le navi cisterna, di fatto interrompendo le catene di approvvigionamento globali, già critiche a causa delle restrizioni legate alla pandemia del Covid-19. Solo per l’Egitto e l’Autorità del Canale di Suez (SCA) è stato valutato un danno di circa 95 milioni di dollari, per mancate entrate, solo negli ultimi sei giorni. Le draghe hanno spostato circa 30.000 metri cubi di sedimento intorno alla nave prima che i rimorchiatori riuscissero a liberarla con l’aiuto dell’alta marea. Il disincaglio non ha necessitato lo sbarco di nessun container, opera che sarebbe stata, è il caso di dire, faraonica.
Non ultimo, a causa del blocco del traffico sembra che alcuni mercantili abbiano deciso di affrontare la rotta alternativa intorno al Capo di Buona Speranza. Una decisione, col senno del poi, affrettata che aggiungerà quasi due settimane al loro viaggio, con notevoli costi aggiuntivi per il carburante legati alle 3.000 miglia nautiche in più da percorrere. Si pensi solo che una nave portacontainer come la Ever Given consuma in mare dalle 100 alle 150 tonnellate di carburante per giorno. Un costo che, secondo la Lloyds List Intelligence, si aggiunge all’emissione di 1.600 tonnellate di anidride carbonica in più nell’atmosfera per nave. Secondo Lloyds “Si prevede che questo incidente isolato avrà conseguenze sui costi e ritardi successivi per i beni di consumo più ampi, principalmente per i mercati europei, mediorientali e asiatici“.
Ipotesi dell’incaglio della Ever Given
Sebbene sia troppo presto trarre delle conclusioni tecniche, ci sono alcuni aspetti che possono essere considerati in base teorica. Secondo l’autorevole sito shippingitaly.it, dall’analisi dei dati del sistema di tracciamento del traffico AIS, la perdita di governo che ha portato all’incaglio prodiero della Ever Given potrebbe essere iniziata già all’inizio del Canale a causa dell’azione combinata dei venti meridionali e dell’effetto di “bank”, un fenomeno idrodinamico che si verifica in acque ristrette e che, in certi casi, può creare un effetto di “attrazione” della parte poppiera dello scafo verso la costa più vicina. In acque ristrette, sebbene una nave “sposti” sempre un volume di fluido pari al proprio peso, il volume d’acqua spostato è spinto lateralmente e indietro dallo scafo, tanto più velocemente quanto più ridotto è lo spazio disponibile. Se la nave, per qualche motivo (mal governo da parte del timoniere, colpo di vento, variazioni dei flussi di corrente, etc) si sposta però dall’asse del canale, il flusso di acqua aumenterà nel lato più vicino alla costa. In pratica, la depressione laterale che si genererà tenderà a modificare la rotta della nave, facendola avvicinare pericolosamente alle sponde più vicine del canale dove potrebbero essere presenti delle secche per accumulo di sedimenti. Questo sembra il caso della Ever Given che, secondo il tracciato AIS, mostra una velocità maggiore di quella prevista (12,6 invece di 9 Kts – vedasi video Ever Given grounding in Suez Canal – AIS based Dynamic Reconstruction on Vimeo). Un’ipotesi che dovrà essere naturalmente verificata analizzando la scatola nera della nave.
Volendo, al bank effect, se ne aggiunge un altro non meno insidioso. La riduzione della pressione sotto carena provoca un fenomeno chiamato squat effect che comporta una sovra-immersione della nave dovuta alla compensazione della riduzione della spinta idrostatica nella zona centrale. Ciò comporta un peggioramento della manovrabilità della nave che, in certi casi, va ad aumentare del doppio il diametro di girazione nella sua manovra di evoluzione a parità dell’angolo di barra impostato sul timone. In sintesi, gli effetti combinati dello squat e del bank effect rendono, in acque ristrette, la navigazione della nave più instabile e può accadere che essa tendi ad avvicinarsi verso una sponda. Se la nave perde il controllo (poppa o prora più vicini alla riva) si genera in timoneria una situazione di yo-yo (correzioni seppur minime continue ed opposte) che può portare all’incaglio.
Il blocco del canale, un’ipotesi tutt’altro che remota
Questo blocco del traffico nel canale di Suez non è storicamente il primo. Il 5 giugno 1967, all’inizio della Guerra dei Sei Giorni, gli Egiziani sconfitti dagli Israeliani affondarono navi e chiatte nelle acque poco profonde del canale, impedendone così l’uso, e di fatto chiudendo il Canale.
La 143 divisione israeliana attraversò il Canale di Suez nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 1973, sotto il comando di Ariel Sharon, una mossa che cambiò il volto della campagna – Autore fotografo non noto IDF – Fonte http://www.archives.mod.gov.il/Exhib/kipur/Pages/ExhibitionsImg.aspx?ExhbId=80 – CC BY-SA 3.0 143th Division during Yom Kippur War. III.jpg – Wikimedia Commons
La chiusura fu improvvisa e inaspettata: quindici navi da carico, in seguito chiamate “The Yellow Fleet“, restarono così intrappolate all’interno del canale per molto tempo. Il canale rimase chiuso fino al termine della guerra dello Yom Kippur e dei successivi negoziati di pace avvenuti ben otto anni dopo. Inutile dire che questo blocco venne risolto solo grazie all’impegno congiunto internazionale per la riapertura del canale.
Un secondo evento drammatico, sebbene di minore durata, avvenne nel luglio del 1984.
Nella zona dei laghi Amari, a sud del canale di Suez, alcune improvvise esplosioni subacquee provocarono l’interruzione della navigazione commerciale. Fu il risultato di un’operazione terroristica da parte libica che riportò alla ribalta la minaccia delle mine navali, e pose il problema di come bonificare in tempi ristretti aree di grande importanza economica al fine di ridurre il rischio di transito per le navi mercantili.
Il governo egiziano fece richiesta di un intervento internazionale di bonifica in quelle acque ormai considerate un crocevia essenziale del traffico commerciale. Una missione che le Nazioni svolsero in maniera indipendente e con un minimo livello di coordinamento. Anche la Marina Militare italiana partecipò alle operazioni di bonifica degli ordigni con l’invio del XIV gruppo navale che operò per quasi 60 giorni. Nel frattempo il traffico mercantile fu dirottato circumnavigando l’Africa, con aggravi economici per le compagnie di navigazione che furono ripagati dai consumatori finali.
La lezione acquisita, che saltò all’occhio di tutti, fu che una nuova chiusura prolungata del canale di Suez avrebbe comportato un danno economico non sostenibile per tutto il mondo occidentale.
Al di là del fatto specifico, questo evento creò un precedente importante che mise in evidenza l’importanza di attuare politiche di sicurezza condivise a livello internazionale per la salvaguardia della libera navigazione negli stretti. Non parliamo di fantapolitica. Il canale di Suez è ancor oggi vitale per il traffico da e verso il Paesi del Golfo e la sua viabilità potrebbe essere interrotta da azioni terroristiche per interessi politici. Non a caso, attacchi al traffico mercantile sono recentemente avvenuti nei pressi di Bab El Mandab da parte di fazioni Houthi che hanno usato mine navali di ispirazione (se non di costruzione) iraniana.
Una forza navale militare yemenita ha individuato un campo di mine navali posate dagli Houti nei pressi dell’isola di Ghurab – Fonte Al ArabiyaThe underwater bombs planted by Houthis off Yemen’s coast | Al Arabiya English
La situazione geopolitica
I cosiddetti choke point, acque ristrette di passaggio del traffico mercantile, sono il collo di bottiglia delle nostre economie. Nomi come Hormuz, Malacca, Bab al Mandab sono divenuti familiari anche ai non addetti ai lavori. Suez non è da meno. Nel caso specifico, come ricordato da Giuseppe Morabito in un suo recente articolo, “Suez vale il 12% del commercio mondiale, 30% del traffico marittimo globale, più del 7% del transito di petrolio greggio e, soprattutto per l’Italia rappresenta circa il 40% dell’interscambio con la “zona commerciale” asiatica.”
In questo momento il suo blocco, a causa di eventi fortuiti (come nel caso della Ever Given) o intenzionali (a seguito di conflitti o di attacchi terroristici), potrebbe causare l’intrappolamento del traffico mercantile vitale per le economie mediterranee, stringendo un cappio sulle economie nazionali già indebolite dalla attuale pandemia. Non a caso le esperienze passate hanno dimostrato come la chiusura del canale di Suez abbia comportato una diminuzione percentuale significativa del traffico con conseguenze economiche dolorose per molti anni.
L’Occidente dovrebbe quindi rivalutare il suo impegno nella protezione dei choke point marittimi, la cui necessità si è percepita durante i recenti attacchi ai mercantili in transito nello stretto di Hormuz e a Bab al Mandab, a sud del mar Rosso, da parte degli Houti.
Si rende quindi sempre più necessario assicurare un impegno aeronavale costante nei punti di possibile crisi. In particolare, il transito nel canale di Suez è vitale per i Paesi Mediterranei e si dovrebbe far tesoro delle esperienze passate, dislocando forze navali permanenti in mar Rosso, non solo per la protezione del traffico mercantile contro i pirati ed il contrasto dei traffici illeciti ma anche per assicurare la libertà di navigazione da eventuali minacce ostili.
Un impegno di deterrenza certamente costoso ma necessario da perpetuare con gruppi navali in grado di mantenere un dislocamento prolungato in acque internazionali per la salvaguardia degli interessi nazionali.
Alternative a Suez?
La storia ci insegna che i transiti mercantili, in caso di chiusura del canale di Suez, diverrebbero pesanti da gestire. La circumnavigazione dell’Africa comporta maggiori giorni di navigazione e costi non indifferenti per le compagnie (vedasi la tabella 1 compilata dall’IMF).
Un’alternativa di cui si è parlato nelle news mondiali è la cosiddetta via artica, suggerita dalla Russia, una possibilità ancora da valutare, sia economicamente che politicamente, ma che non è sicuramente a costo zero.
Innanzitutto il passaggio artico costringerebbe le compagnie ad un dazio non indifferente legato alla necessità di essere precedute dai rompighiacci russi durante il loro transito. Di fatto la rotta potrebbe non essere conveniente per i Paesi mediterranei (a meno di cambiare gli attuali programmi energetici), prevedendo linee di distribuzione delle risorse diverse. Questa rotta, secondo i Russi, consentirebbe di collegare i gas dotti Druzhba e Nord Stream, attraverso il mar Baltico, ai gasdotti tedeschi, alleggerendo gli accessi energetici mediterranei. Secondo Rosatom, un viaggio da Murmansk al Giappone sulla rotta Nord accorcerebbe la distanza a 5770 miglia contro le attuali 12.840 miglia attraverso il Canale di Suez che, per un incidente, “potrebbe essere bloccata per giorni”. Sarebbe da pensare che chi lo pensa lo fa, ma si scenderebbe in facile fantapolitica.
Un confronto grafico tra la via artica settentrionale (tracciata in blu) e quella attraverso il canale di Suez (in rosso) – Fonte e autore https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Kazakhstan_(orthographic_projection).svg Northern Sea Route vs Southern Sea Route.svg – Wikimedia Commons
Le autorità russe hanno recentemente posto lo sviluppo della nuova rotta artica come una delle principali priorità strategiche per lo Stato russo, potenziando la già imponente flotta di rompighiacci. Questa rotta, che si prospetta sempre più facile da sfruttare a causa dello scioglimento dei ghiacci legato al cambiamento climatico, è però considerata poco pratica dalla maggior parte delle compagnie di navigazione. Nel 2018, Maersk, la più grande linea di container al mondo, inviò una delle sue navi lungo quella rotta ma alla fine sottolineò che la vedeva “come un’alternativa alle nostre rotte abituali” e che il viaggio era semplicemente stato ” una prova per esplorare una rotta sconosciuta per la spedizione di container e per raccogliere dati scientifici “.
In estrema sintesi, gli stretti marittimi assumeranno sempre maggiore importanza negli anni a venire. Il problema della loro sicurezza non può essere visto solo da un punto di vista marittimo ma deve essere affrontato in maniera olistica, analizzando i pro e contro economici e geopolitici. Nel frattempo la sicurezza di queste vie d’acqua fondamentali per le economie mondiali dovrà essere assicurata con un’opportuna presenza aeronavale al fine di assicurare il regolare flusso mercantile, sfruttando le caratteristiche operative uniche delle marine militari che nessun’altra forza armata può assicurare.
Andrea Mucedola
in anteprima la Ever Given arenatasi nel canale di Suez, vista dalla ISS – NASA
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
Un discreto articolo che però non chiarisce, avendo preso a spunto la Ever, cosa ci facessero i due piloti a bordo se la velocità, max 9 int., non era mantenuta. Ovviamente l’Egitto cercherà di affibbiare la colpa al comandante della nave ma il controllo del convoglio e sua velocità sono di pertinenza dei piloti. Inoltre non era la prima nave di siffatte dimensioni che attraversava il canale e, penso, che in contemporanea, ce ne fossero altre. Tutti gli effetti idrodinamici, sempre presenti anche in mare aperto, si ingigantiscono in acque ristrette e l’unico modo per ridurli è andare piano, forse anche più piano dei 9 nodi di cui sopra. Penso che di ciò il comandante della nave ne fosse pienamente a conoscenza, forse il pilota egiziano un po’ meno. Chi ha passato il canale di Suez, con navi commerciali, ha potuto verificare di persona quanto siano professionalmente validi alcuni di loro.
Grazie … se i dati AIS sono validi le ipotesi più probabili sono che sia i piloti che gli ufficiali di guardia abbiano operato con superficialità, tenendo conto dei limiti di velocità previsti (abbondantemente superati) … altra ipotesi (molto fantascientifica ma non impossibile) è che qualcosa sia intervenuto dall’esterno con un hackeraggio dei sistemi di bordo … sarebbe interessante vedere i dati nave registrati dal computer di bordo
Eccellente articolo, molto chiaro ;-). Mi piacerebbe anche una cartina con la rotta artica! Grazie e complimenti!
Grazie, la rotta artica sarà presto oggetto di un articolo dedicato