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La dura vita su un galeone spagnolo (ma non solo) nel XVI secolo

tempo di lettura: 7 minuti

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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA DELLA NAVIGAZIONE
PERIODO: XVI – XVII SECOLO
AREA: OCEANI
parole chiave: galeoni spagnoli, vita di bordo
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Andare per mare ai tempi dei galeoni era molto duro, in particolare quando si intraprendevano lunghi viaggi transoceanici a vela, collegando la Spagna con l’America e le Filippine. Non solo marinai, ma anche passeggeri che fuggivano dall’Europa per il nuovo mondo, di religiosi che volevano evangelizzare gli indigeni locali o di avventurieri senza scrupoli che assaporavano la non facile vita di bordo. Spesso le tre categorie si mescolavano e sotto le vesti di pii uomini di chiesa o di nuovi coloni si nascondevano personaggi moralmente non molto distanti dai pirati che infestavano quelle acque.

Era l’epoca dei grandi galeoni

Il galeone era stato studiato e sviluppato nel XVI secolo, erede del progresso tecnologico marittimo che aveva dato origine prima alla caravella e poi alla caracca, e divenne il vascello principale fino al primo quarto del XVII secolo per affrontare le lunghe navigazioni oceaniche. Sebbene la paternità della sua invenzione è attribuita agli Spagnoli, alcuni ritengono che derivò dalle tradizioni costruttive mediterranee e quelle atlantiche in sostituzione della più leggera caracca. Nel XVI secolo tutte le principali potenze europee (incluso l’Impero Ottomano) si dotarono di grandi navi da guerra a vela, messe in crisi dalle più veloci galere, più maneggevoli e bene armate che di fatto impedivano alle navi maggiori di poter sfruttare l’eventuale superiorità di fuoco. Le potenze atlantiche e baltiche, dovendo affrontare le grandi onde oceaniche, optarono invece per lo sviluppo di navi di dimensioni maggiori in grado di navigare in maniera più agile delle capienti ma lente caracche, con un armamento superiore a quello delle caracche stesse. Il galeone fu quindi specificatamente progettato per compiere i lunghi viaggi oceanici, modificando le strutture con un castello di prua più basso, quello di poppa di forma squadrata ed uno scafo allungato e meno tozzo per ottenere una maggiore stabilità in acqua ed una minore resistenza al vento. La funzione dei castelli era di natura militare, rendendo possibile una più efficiente difesa contro gli eventuali abbordaggi, potendo utilizzare armi leggere che potevano colpire dall’alto il ponte di coperta. Si ottenne così un’imbarcazione più veloce e manovrabile delle navi precedenti. Nel caso del galeone spagnolo il tonnellaggio variava tra le 500 e le 1.200 tonnellate a seconda della sua lunghezza (tra i 40 e i 60 metri). Il concetto di scorte in stiva era ancora molto personale, di fatto le merci venivano stivate alla rinfusa all’interno di barili (il termine attuale tonnellaggio deriva dal termine “tonneau” che significa barile, una misura convenzionale che veniva riferita ai barili utilizzati per il trasporto del vino, e la misura inglese di 100 piedi cubici, misura di volume, era la misura standard, che equivale appunto a 2,832 metri cubi) e casse di diverse dimensioni. Il problema maggiore era la conservazione delle derrate alimentari che potevano deteriorarsi rapidamente essendo immagazzinate in questo spazio buio e scarsamente ventilato, per cui la stiva di fatto non poteva accogliere passeggeri e l’equipaggio che di fatto vivevano tra i ponti della nave con gli animali vivi – polli, agnelli e mucche – utili come riserve di cibo fresco.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è MARINERIAGaleone01-1024x442.jpg

Galeone del XVI secolo. Osservare i diversi ordini di ponti: dal basso verso l’alto si trovano le sentine, dove veniva normalmente posizionata la zavorra equilibratrice di sabbia e pietre; i ponti di stiva, nei quali si caricavano merci e materiali di ricambio; il primo ponte di batteria, il ponte di coperta ed i castelli. Da notare le pompe di sentina che servivano per svuotare lo scafo dalle infiltrazioni –  Autore Flanker Galeone01.jpg – Wikimedia Commons 

In totale, un galeone da 550 tonnellate poteva trasportare circa 100 persone di cui 60/70 di equipaggio e fino a 30 passeggeri. L’equipaggio di un galeone di linea comprendeva capitani, piloti, nostromi e marinai ma anche mozzi e giovani di coperta. C’erano anche operai specializzati, carpentieri, falegnami, bottai e addetti all’ impermeabilizzazione dello scafo (calafataggio) con quercia e catrame in modo che non entrasse l’acqua. Inoltre cappellani, macellai e chirurghi-barbieri. Spesso, quando il carico era pagante (come per la flota de Indias) non mancavano capitani, fanti, e artiglieri. Come premesso, le spese di viaggio venivano alleggerite dai pagamenti dei passeggeri più ricchi, funzionari e mercanti, spesso accompagnati da servi e parenti, ma anche da avventurieri in cerca di fortuna nel nuovo mondo.

La partenza era preceduta da un colpo di cannone. Ai fischi dei nostromi venivano mollati gli ormeggi e issate le vele, sollevando le pesanti ancore. In quel momento si levava un’invocazione per la buona riuscita del viaggio: “«¡Larga trinquete en nombre de la Santísima Trinidad, Padre, Hijo y Espíritu Santo, tres personas y un solo Dios verdadero, que sea con nosotros y nos dé viaje a salvamento y nos lleve y vuelva con bien a nuestras casas!». Iniziava così il lungo viaggio scandito dal suono della campana di bordo che segnava le ore e i cambi di guardia. I marinai svolgevano i loro compiti: lavare i ponti, controllare le cuciture delle vele, azionare le pompe di sentina, controllare il sartiame, e naturalmente aprire e chiudere le vele. Normalmente il pilota manteneva la rotta e il nostromo disponeva le vele per la maggiore efficienza di navigazione. Il capitano no sempre era in ossesso di nozioni nautiche e si appoggiava quindi a queste figure professionali dando solo gli ordini generale e prendendo le decisioni.

All’alba veniva distribuita la prima delle due razioni giornaliere consistente in una brocca scarsa di vino, verdure, riso, farina, uva passa, pancetta, occasionalmente pesce e carne salata, formaggi e miele. Veniva fornito anche dell’aceto da mescolare con l’acqua quando cominciava ad andare a male. Si distribuiva anche il “pan di spagna”, nulla a che vedere con quello attuale di pasticceria, in pratica un biscotto fatto con farina grossolana cotto due volte che però tendeva, dopo i primi giorni ad imputridirsi e riempirsi di vermi. Il cibo veniva preparato in una stufa attentamente sorvegliata per evitare che scoppiasse un incendio. Una volta preparato il cibo, i giovani mozzi avvisavano cantando ad alta voce: ” «Tabla puesta, vianda presta, […] quien no dijere amén que no le den de beber. Tabla en la buena hora; quien no viniere que no coma»”, un’antesignana della chiamata “Mensa pronta” dei giorni nostri.

Inutile dire che, a parte per il capitano, la vita a bordo era difficile per tutti, con poca privacy e pessime condizioni igieniche. Il Capitano, il pilota e l’eventuale autorità di bordo mangiavano a un tavolo separato insieme ai membri più alti dell’equipaggio, come il barbiere, il chirurgo, il macellaio, il sacerdote e l’ufficiale giudiziario. Il resto degli uomini si arrangiava sul ponte principale per consumare la magra razione prima di ri iniziare con i lavori pomeridiani. La cena, quando veniva offerta, avveniva prima del tramonto, quindi il personale libero dalla guardia cercava un posto di riposo sul ponte. Al calare della notte, dopo la preghiera, l’equipaggio cercava il posto migliore dove stendere le stuoie per dormire, poiché i letti erano un lusso riservato al capitano, ad alcuni ufficiali e ai passeggeri illustri.
Quando non impegnati dalle manovre alle vele e dalle manutenzioni quotidiane, i marinai avevano poche distrazioni: “giocare, parlare e leggere”. Quando possibile si dedicavano alla pesca, spinti soprattutto dalla necessità di consumare qualche alimento fresco.
Il gioco, soprattutto, era l’intrattenimento principale dei marinai anche se era ufficialmente proibito in quanto foriero di risse e violenze. La disciplina sulle navi del XVI secolo era ferrea e ogni crimine o mancanza erano punite severamente spesso a discrezione del Comandante che aveva il potere di “punirlo a sua discrezione con le sanzioni che riterrà opportune“.. Il materiale umano era quello che era: ex galeotti, fuggitivi e spesso avventurieri che cercavano un passaggio per raggiungere il nuovo mondo e poi dedicarsi ad attività più redditizie come la pirateria. Oltre alla fustigazione, una punizione popolare applicata ai galeoni era quella di legare i ribelli alle sartie per giorni, lasciandoli esposti alle intemperie senza mangiare o riposare. Nei casi più gravi venivano impiccati o buttati a mare.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è MARINERIA-640px-Captain_James_Lowry_flogging_and_murdering_Kenith_Hossack_Wellcome_L0040868-612x1024.jpg

Stampa che mostra il capitano James Lowry frusta e uccide Kenith Hossack https://wellcomeimages.org/indexplus/obf_images/a6/0f/046f079c4cff38aa74a370d815fa.jpg Captain James Lowry flogging, and murdering, Kenith Hossack Wellcome L0040868.jpg – Wikimedia Commons

Mentre il personale non di guardia e i passeggeri dormivano, il galeone proseguiva il suo viaggio lungo la rotta controllata dal pilota con l’osservazione stellare. Se non in caso di necessità (come un cambio di direzione o di velatura), l’unica attività a bordo diurna e notturna era quella degli uomini di guardia. Questi erano divisi in tre turni: il primo era detto “de prima”; Seguì quello noto come “de la modorra“, e il terzo e ultimo fu “de l’alba“. L’ufficiale di guardia effettuava il giro della nave per accertarsi che tutto fosse ben fissato e che le vedette non si lasciassero sopraffare dal sonno (crimine che veniva punito molto severamente). Veniva anche controllato che il fuoco della cucina fosse spento e la sentina svuotata con la pompa. Quando calava il silenzio, rotto solo dal rumore del vento e del mare, si udiva ad ogni rotazione della clessidra (all’epoca non c’erano ancora gli orologi di bordo) una preghiera: «Buena es la que va, /mejor es la que viene; / una es pasada y en dos muele; / más molerá si Dios quisiere». Si narra che i marinai, che osservavano, dovevano rispondere con una frase concordata in precedenza per dimostrare la loro attenzione a quella importante funzione.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è MARINERIA-cornelis-verbeeck-c-1590-c-1637-a-ship-in-a-rough-sea-bhc0725-royal-museums-greenwich_aa25367d_221215104608_800x621.jpg

Galeone in tempesta, olio di Cornelis Verbeeck, 1620, Museo Reale di Greenwich, Londra Cornelis Verbeeck (c.1590-c.1637) – A Ship in a Rough Sea – BHC0725 – Royal Museums Greenwich.jpg – Wikimedia Commons

Purtroppo tempeste, perdite di membri dell’equipaggio, naufragi, malattie e attacchi di pirati affliggevano il buon esito della navigazione con un pesante tributo in termini di vite umane. Dalle esperienze trascritte nei diari di bordo di questi indomiti marinai si acquisirono molte lezioni che portarono nella rivoluzione del mondo marittimo nel XVII-XVIII secolo a nuove innovazioni sia tecnologiche che organizzative. Di fatto, cambiarono i mezzi e le regole ma non le tradizioni, tramandate nei secoli e che si ritrovano ancora nella vita di ogni giorno dei marinai.

Andrea Mucedola

 

In anteprima quadro ad olio che rappresenta uno scontro navale tra un galeone olandese ed uno spagnolo, 1630, Cornelisz Verbeecq – Fonte Royal Museums Greenwich
An Engagement Between the Spanish and the Dutch, circa 1630 RMG BHC0270.tiff – Wikimedia Commons

 

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