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ARGOMENTO: EMERGENZE AMBIENTALI
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: mascherine di protezione individuale, Covid, inquinamento da plastiche
Milioni, anzi, miliardi di mascherine affollano strade, campagne, litorali e fondali marini del nostro Pianeta. Spesso frutto dell’ignoranza e della ignavia che sembrano voler prevalere su secoli di civiltà, quasi a voler dimostrare il fallimento di quelle teorie educative moderne che rifuggono l’importante funzione del controllo degli “istinti” a favore di una maggiore libertà di comportamento.

https://www.shutterstock.com/image-photo/discarded-gloves-face-masks-represent-our-1720844227
Le esperienze di questi ultimi cinquant’anni mostrano ancora una volta che la nostra specie, se non mantenuta con fermezza in un “recinto” etico e morale, si abbandona alla totale asocialità e anarchia, non solo non rispettando gli altri (la mia libertà finisce dove inizia quella dei miei simili) ma andando contro i nostri stessi interessi di sopravvivenza.
Nessuna forma vivente ha questi comportamenti; un animale tende a conservare il suo ambiente perché la sua sopravvivenza dipende da esso … questo non avviene purtroppo per l’Uomo che distrugge il suo habitat sfruttandone le risorse come se fossero infinite.
In questo breve articolo Nicola Di Battista da anni impegnato nella protezione ambientale del nostro territorio, affronta l’ultima, solo temporalmente, emergenza ambientale, legata all’abbandono dei dispositivi di protezione individuali comunemente noti come mascherine. Vi consiglio una attenta lettura.
Mascherine, mascherine
L’emergenza Covid-19 ha provocato un aumento esponenziale nella produzione e nel consumo delle maschere chirurgiche di protezione individuale in tutto il mondo. Parallelamente il Pianeta si trova ad affrontare un problema complesso e potenzialmente devastante ovvero il loro smaltimento corretto.
A livello globale vengono utilizzati 65 miliardi di guanti ogni mese. Il numero delle mascherine è quasi il doppio: 129 miliardi al mese. Questo significa che ogni minuto vengono utilizzate 3 milioni di mascherine di cui gran parte vengono abbandonate nell’ambiente. Un recente studio documenta che ogni giorno vengono gettate 3,4 miliardi di mascherine o schermi facciali. Si stima che solo in Asia vengano buttate 1,8 miliardi di mascherine al giorno, la quantità più alta tra i continenti. La Cina, con la più grande popolazione mondiale (1,4 miliardi di persone) getta via quasi 702 milioni di mascherine al giorno. Le mascherine sono un dispositivo di protezione maggiormente utilizzato da quando è in atto la pandemia da Covid-19: leggera e comoda da indossare. Ma una singola mascherina chirurgica gettata irresponsabilmente – dai marciapiedi alle spiagge – rilascia migliaia di fibre microscopiche che minacciano l’ambiente che li riceve.
I dispositivi di protezione individuale, sono principalmente fatti di materiali plastici e non sono riciclabili.
Una mascherina chirurgica finita in mare rilascia fino a 173mila microfibre al giorno che vengono ingerite dai pesci che poi potremmo mangiare. Ci aspetteremmo un comportamento generale più virtuoso eppure questi dispositivi vengono dispersi ovunque sul territorio e nei mari. Alcuni studi hanno approfondito il meccanismo di degradazione foto-ossidativa delle fibre di polipropilene presenti nei tre strati delle mascherine chirurgiche e ha fornito un primo dato quantitativo relativo alla cessione di microplastiche. Inutile dire che la situazione è preoccupante. In particolare, lo studio ha fornito un dato relativo alla stabilità oltre il limite di utilizzo delle mascherine che non era ancora disponibile in letteratura. Il lavoro sperimentale è stato condotto dall’Università Bicocca di Milano, sottoponendo queste mascherine usa e getta disponibili commercialmente ad esperimenti di invecchiamento artificiale, designati per simulare ciò che avviene nell’ambiente quando una mascherina abbandonata inizia a degradarsi a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici e, in particolare, alla radiazione solare.
Un processo che può durare diverse settimane prima che il materiale giunga al mare, dove è poi sottoposto a stress meccanici prolungati indotti dal moto ondoso. È qui che avviene il maggior rilascio di microfibre.
Una singola mascherina chirurgica esposta alla luce UV-A per 180 ore é in grado di rilasciare centinaia di migliaia di particelle del diametro di poche decine di micron. Come già acclarato per altre tipologie di microplastiche, quali ad esempio quelle prodotte dalla degradazione dei materiali utilizzati per il confezionamento di alimenti o generate durante il lavaggio di tessuti sintetici in lavatrice, sono possibili sia danni da ostruzione agli animali marini, in seguito alla loro ingestione, sia effetti tossicologici dovuti alla veicolazione di contaminanti chimici e biologici (batteri e virus ma anche sostanze chimiche tossiche). Preoccupa inoltre la presenza di frazioni sub-micrometriche (nanoplastiche), potenzialmente capaci di attraversare le barriere biologiche. Oltre ai danni sopra citati vi é da aggiungere quello dovuto agli elastici laterali di esse che, una volta in mare, possono impigliare e soffocare gli animali marini.
Il consiglio che oggi vi voglio dare é quello di smaltire correttamente le mascherine, quindi di non buttarle per terra o in spiaggia o in mare, riponendole negli appositi contenitori e, con un semplice gesto, di rompere entrambi gli elastici laterali al fine di evitare di creare trappole non intenzionali che potrebbero uccidere i nostri amici animali. Pensateci … basta poco per avere un mondo migliore e dipende solo da noi.
Nicola Di Battista
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psicologo / psicoterapeuta, assistente alla comunicazione per sordi e ciechi con l’uso del Braille e della Lingua Italiana dei Segni – Dattilologia, nonchè mediatore familiare è specializzato con un Master in Psicologia Oncologica. Appassionato di mare è Presidente dell’Organizzazione di Volontariato Care The Oceans.
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