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livello elementare.
ARGOMENTO: CLIMATOLOGIA
PERIODO: XX SECOLO
AREA: EMERGENZE AMBIENTALI
parole chiave: Clima, IPCC, riduzione delle emissioni
Gli eventi degli ultimi periodi estivi, con ondate di caldo infernale in Nord America, in Russia e nell’Europa orientale, gravi incendi in Italia, Grecia e Turchia, inondazioni in Germania e nel nord Europa ma anche in India, Australia e Cina, dovrebbero fornire motivazioni sufficienti per una maggiore consapevolezza ambientale. Il condizionale è sempre d’obbligo in quanto ai buoni propositi si sostituiscono ancora troppo spesso gli interessi personali.
Il 9 agosto 2021 è stato reso noto il rapporto periodico sullo stato delle conoscenze scientifiche sui cambiamenti climatici preparato dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) che purtroppo conferma ancora una volta la crescita degli eventi estremi sul pianeta. Se è vero che non c’è limite al peggio quello che sta succedendo è già abbastanza per non farci dormire tranquilli.

aumento stimato delle precipitazioni in relazione agli aumenti delle temperature – dal rapporto citato
Nel 2021 il Gruppo 1, che riunisce principalmente i climatologi, si è riunito via internet per consolidare in un unico rapporto le risultanze raccolte dalla comunità scientifica, sintetizzando centinaia di studi pubblicati negli ultimi otto anni sulle riviste scientifiche.

cambi nelle temperature medie globali – da studio citato
Il rapporto è purtroppo non confortante e, rispetto al precedente, pubblicato nel 2013, la situazione complessiva appare nuovamente peggiorata. In estrema sintesi, il comunicato stampa dell’IPCC afferma che “Il cambiamento climatico si sta diffondendo, accelerando e intensificando” al punto che il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha dichiarato che l’odierno questo Report è di fatto un codice rosso per tutta l’Umanità.

le inondazioni che hanno sommerso la Germania
Il Rapporto espone in maniera scientifica una serie di dati che mostrano la velocità del cambiamento climatico ed afferma che non ci sono più dubbi sul fatto che l’apporto antropico abbia “inequivocabilmente riscaldato l’atmosfera, l’oceano e la massa terrestre“. Questo riscaldamento è in crescita e “ognuno degli ultimi quattro decenni è stato successivamente più caldo di qualsiasi decennio dal 1850“.
Il riscaldamento appare essere mediamente maggiore di quanto stimato nel Rapporto del 2013 e la temperatura superficiale media è di 1,09°C più calda rispetto al 1850 con un ritmo di crescita che mediamente non si osservava da 2000 anni. L’aumento dei livelli di CO², l’innalzamento del mare, l’assottigliamento dei ghiacci artici ed il ritiro dei ghiacciai sono fenomeni evidenti e contribuiscono al cambiamento del clima del nostro pianeta.
La concentrazione di CO² (biossido di carbonio) nell’atmosfera ha raggiunto oltre 410 ppm, un livello che il pianeta non registrava da due milioni di anni. Questo cambiamento si riflette in effetti già chiaramente osservabili, ed i ghiacciai si stanno ritirando in tutto il mondo, il permafrost ghiaccio sta diminuendo drasticamente e la copertura glaciale della Groenlandia ha iniziato a sciogliersi, l’acidificazione degli oceani è importate portando in anossia vaste aree del mondo ed il livello medio del mare è in continuo aumento.

formazioni di Pyrocumulonimbus Clouds al di sopra del vulcano Taal nella eruzione del 2020 – Raproxen’s Photo”
Gli scienziati dell’IPCC riportano che il cambiamento climatico sta “già producendo fenomeni estremi in ogni regione del globo“, con ondate di calore, piogge intense, siccità e cicloni tropicali.
Un’importante novità, rispetto al precedente rapporto 2013, è stata la possibilità di poter effettuare valutazioni sempre più accurate a livello regionale. Grazie all’impiego dei satelliti è possibile determinare le variazioni delle ondate di calore in quasi tutte le regioni del mondo ma non ci sono ancora sufficienti elementi per prevedere con accuratezza la siccità regionale e le conseguenze sull’agricoltura. E’ importante comprendere che non sono solo gli effetti sulle produzioni ad alzare il livello di allarme. Le situazioni di instabilità ambientale porteranno l’aumento di epidemie e sempre maggiori migrazioni di masse disperate verso altre regioni.

variazioni in funzione delle emissioni di metano (CH4)
Per modellare il legame tra questi eventi estremi e il riscaldamento globale, gli scienziati ricordano che un’ondata di caldo estremo si verifica in un dato territorio in media una volta ogni dieci anni durante l’era preindustriale (1850-1900). È stato valutato che con un aumento del riscaldamento medio globale di 2°C, le ondate di calore estremo si verificherebbero 5,6 volte in dieci anni e sarebbero in media 1,9°C più calde. Con un riscaldamento globale di 4°C, queste ondate di calore si verificherebbero fino a 9,6 volte in dieci anni, praticamente quasi una volta all’anno. Una maggiore frequenza ma anche di maggiore intensità.
Se torniamo agli ultimi fenomeni non c’è da stare allegri … millimetri di pioggia caduti in due ore equivalenti alla quantità mensile, l’Europa tagliata in due con temperature che differiscono anche di venti gradi con punte di calore di 48 gradi nell’entroterra meridionale.

Frequenza delle ondate di calore decennali: a sinistra, una volta ogni dieci anni tra il 1850 e il 1900, colonne di destra, sempre più frequenti a seconda del livello di riscaldamento.
Di fatto dal Rapporto emergono diversi punti importanti:
- sono stati ipotizzati cinque nuovi scenari illustrativi per valutare la risposta climatica ad una gamma più ampia di variazioni delle emissioni dei gas serra (GHG), sull’uso del suolo (inclusi allevamenti intensivi) e sugli inquinanti atmosferici. Questo insieme di scenari include (aggiungerei finalmente) l’attività solare e le emissioni dei vulcani. I risultati sono forniti per il breve (2021-2040), medio (2041-2060) e lungo termine (2081-2100);
- diversi cambiamenti sono già irreversibili, tra cui l’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacciai. A causa dell’isteresi del pianeta, anche interrompendo i flussi, ci vorrà molto tempo per tornare a condizioni meno invasive;

scioglimento dei ghiacci in Islanda
- fenomeni come il collasso dei ghiacci marini o le variazioni delle correnti oceaniche, “non possono essere esclusi”. Non è escluso, anzi è probabile, che lo scioglimento accelerato del ghiaccio marino antartico o la distruzione delle foreste (perdendo quindi la loro capacità di assorbire CO²) potrebbero portare in alcune regioni a punti di non ritorno (tipping thresholds) che causerebbero effetti irreversibili;

scioglimento dei ghiacci in Antartide
- l’impatto delle ondate di calore estremo sulle città altamente urbanizzate, in particolare di quelle costiere, sarà potenziato dalla combinazione dell’innalzamento del livello del mare e delle intense precipitazioni che causeranno straripamenti dei fiumi;

variazioni della corrente del Golfo
- il rallentamento della grande corrente oceanica atlantica, nota come AMOC (Atlantic meridional overturning circulation), di cui la Corrente del Golfo è un ramo, avverrà “molto probabilmente” nel corso del 21° secolo, portando una maggiore siccità nelle Regioni europee.
Quanto tempo abbiamo?
Sinceramente non credo in maniera assoluta alle previsioni temporali … il Pianeta non è eterogeneo e i cambiamenti in corso lo affliggeranno in maniera differenziata. Sebbene si parli di vent’anni per evitare il peggio non possiamo permetterci il lusso di aspettare. Il Rapporto raccomanda di “limitare le emissioni cumulative di CO2” e di raggiungere una “riduzione netta” delle emissioni dei gas serra, compreso il metano al fine di non superare di 1,5°C o addirittura 2°C la temperatura media rispetto al 1850, livelli ai quali le conseguenze saranno già gravi. Niente di nuovo rispetto ai rapporti precedenti se non ulteriori drammatiche conferme.
Secondo il rapporto, sapendo che il pianeta emette circa 40 miliardi di tonnellate di CO² all’anno, ci sono ancora ventidue anni di emissioni a questo livello (circa 900 miliardi di tonnellate di emissioni) per rimanere al di sotto dei 2°C., o soli 7 anni e mezzo (300 miliardi di tonnellate), restando al di sotto di 1,5°C. Non sorprende che la riduzione delle emissioni nel 2020, a causa del Covid 19, non abbia avuto un effetto notevole sulla concentrazione di CO² nell’atmosfera.
Di fatto i grandi Paesi inquinatori continuano nelle loro attività poco virtuose, la Cina in testa, in una corsa per accaparrarsi le risorse energetiche per un futuro che potrebbe dargli il potere in un mondo ormai distrutto. In questa lotta all’ultima risorsa il problema ambientale è per molti Paesi secondario. C’è un grosso problema … non basta agire in pochi per rallentare questa spirale perversa, lo dobbiamo fare tutti.
In generale, secondo il Summary for Policymakers allegato al Report, la temperatura superficiale globale continuerà ad aumentare. Ma con quale gradiente? Il riscaldamento globale di 1,5°C e 2°C sarà superato durante questo secolo a meno che non vi siano profonde e decise riduzioni delle emissioni. Sarà sempre più probabile un aumento della frequenza e dell’intensità dei fenomeni estremi marini (i.e. uragani) con ondate di calore che modificheranno gli habitat costieri e genereranno da un lato forti precipitazioni e dall’altro siccità agricole in alcune regioni del globo. Le caratteristiche degli oceani saranno influenzate dalle variazioni delle correnti marine e dalle riduzioni del ghiaccio marino artico. Sul territorio continuerà lo scioglimento delle coperture nevose e del permafrost. Molti cambiamenti dovuti alle emissioni di gas serra passate e future saranno irreversibili per secoli se non millenni, in particolare i cambiamenti nell’oceano, nelle calotte glaciali e nel livello globale del mare.
Per limitare i futuri cambiamenti climatici è quindi necessario ridurre al più presto il riscaldamento globale indotto dall’Uomo, limitando le emissioni.
Nel Rapporto sono stati identificati degli scenari con emissioni di gas serra (Green House Gas) basse o molto basse (SSP1-1.9 e SSP1-2.6) che potrebbero portare in pochi anni a effetti percepibili sulle concentrazioni dei gas e della qualità dell’aria, almeno rispetto a scenari di emissioni di gas serra elevate e molto elevate (SSP3-7.0 o SSP5-8.5). In questi scenari contrastanti, si potrebbero iniziare a notare delle differenze in circa 20 anni. I tempi saranno comunque lunghi … e l’isteresi dei fenomeni richiederà decenni.
Sarà il solito sommario scientifico per i responsabili politici che verrà usato per fare propaganda elettorale o ci sarà un’effettiva presa di coscienza da parte dei Paesi? Gli interessi delle Grandi Potenze sono divergenti e non fanno sperare bene.
Che aggiungere, il rapporto è chiaro ed evidente e, nella sua freddezza matematica, non consente incomprensioni. La parola è ora ai decisori.
Andrea Mucedola
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immagini dal Rapporto IPCC o dalla rete
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. E’ docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione scientifica.
Caro Andrea, ho letto con estremo interesse il tuo articolo. Trovo che finora, manchi, in tutti gli studi, un’analisi del rapporto fra inquinamento e popolamento demografico. In sostanza, vedo dalla figura 1 che la valutazione dell’incremento nelle precipitazioni copre aree polari, oceaniche, nel centro Africa, tutte aree di basso popolamento. Questo, ovviamente, non vuol dire che l’antropizzazione non influisca, ma che le cause di questa situazione nascono in aree di crescita demografica alta come i paesi orientali. Cioè, i paesi inquinatori son i paesi orientali e meno i paesi occidentali! Un abbraccio a te e alla tua famiglia!