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livello elementare.
ARGOMENTO: METEOROLOGIA
PERIODO: XXI SECOLO
AREA: DIDATTICA
parole chiave: Cicloni tropicali
Quest’estate le temperature della superficie del mare nell’Oceano Pacifico occidentale sono state estremamente calde. Gran parte del Mar delle Filippine e del Mar Cinese Meridionale hanno registrato temperature dell’acqua superficiale del mare di quasi 32 °C. I meteorologi sanno che questa condizione è estremamente favorevole ad un’intensificazione esplosiva dei fenomeni atmosferici che possono portare alla formazione di cicloni tropicali, le cui tempeste convettive traggono vantaggio dai mari caldi sottostanti. Non è stato un caso isolato, la tendenza di questi ultimi anni ha mostrato un aumento delle temperature superficiali marine dall’oceano indiano, attraverso il Mar Cinese Meridionale verso tutti i mari orientali. In particolare quest’anno le anomalie più elevate si sono osservate intorno al Giappone e in tutto il Pacifico nordoccidentale, con un innalzamento delle acque superficiali del Mare delle Filippine di circa 2 °C al di sopra della media normale. Può sembrare poco ma gli effetti sul meteo locali sono evidenti.
Cosa comportano queste variazioni?
Come abbiamo premesso, l’innalzamento anomalo delle temperature del mare favorisce lo sviluppo esplosivo di tempeste tropicali che generano cicloni tropicali devastanti. La genesi di questi fenomeni, che colpiscono le coste con forti venti e alluvioni nell’entroterra, in realtà incomincia nelle acque profonde degli oceani.
Il meccanismo è complesso, possiamo semplificarlo dicendo che più spessi sono gli strati caldi marini, più energia è disponibile per dare forza a queste tempeste.
MJO, Madden-Julian Oscillation descrive, su larga scala, l’interazione tra la circolazione atmosferica e la convezione atmosferica profonda tropicale – NOAA
Il riscaldamento dei mari coincide con un altro fattore meteorologico che ha un enorme effetto sull’attività dei cicloni tropicali in tutto il mondo, noto come MJO, Madden-Julian Oscillation che descrive, su larga scala, l’interazione tra la circolazione atmosferica e la convezione atmosferica profonda tropicale. Questo fenomeno meteorologico di lunga durata comporta un’importante variabilità intra-stagionale (da 30 a 90 giorni) nell’atmosfera tropicale. Il fenomeno fu scoperto nel 1971 da Roland Madden e Paul Julian dell’American National Center for Atmospheric Research (NCAR). A differenza dei modelli statici, come il più noto El Niño-Southern (ENSO), quello di Madden-Julian è un modello dinamico che si propaga nel tempo attraverso l’atmosfera, al di sopra delle parti calde degli oceani Indiano e Pacifico verso est, a circa 9-18 mph.
Il grafico, fornito da Michael J. Ventrice, Ph.D., rappresenta l’MJO della scorsa estate 2021 con le anomalie del VP200 * e la previsione di una settimana prima. In particolare, i colori blu (freddo) indicano condizioni più favorevoli per lo sviluppo dei cicloni tropicali, mentre i colori rossi (caldi) sono aree meno favorevoli per la ciclogenesi tropicale. * VP200 indica un potenziale di velocità (VP). Le anomalie VP negative (ombreggiate in blu nel diagramma) sono strettamente legate al deflusso divergente dalle regioni convettive.
L’oscillazione di Madden-Julian è molto variabile, con lunghi periodi di forte attività seguiti da periodi in cui l’oscillazione è debole o addirittura assente. Si è scoperto che la variabilità interannuale della MJO è in parte legata al ciclo El Niño-Southern Oscillation (ENSO).
L’indicatore più antico dello stato ENSO è il Southern Oscillation Index (SOI) ovvero la differenza tra la pressione atmosferica a livello del mare a Tahiti e a Darwin. Un’altalena delle variazioni di pressione in questi punti riflette la componente atmosferica di ENSO, scoperta all’inizio del 1900 da Walker e Bliss (1932) e altri. Durante El Niño, la pressione scende sotto la media a Tahiti e sale sopra la media a Darwin, e l’indice di oscillazione meridionale è negativo. Durante La Niña, la pressione si comporta in modo opposto e l’indice diventa positivo. Il SOI si basi sulla pressione a livello del mare in sole due singole stazioni ed è quindi influenzato da fluttuazioni a breve termine, giornaliere o settimanali, non correlate all’ENSO. Ma la media dei valori dell’indice su mesi o stagioni aiuta a isolare deviazioni più sostenute dalla media, come quelle associate a ENSO. Un’altra limitazione del Southern Oscillation Index è che sia Tahiti che Darwin si trovano leggermente a sud dell’equatore (Tahiti a 18˚S, Darwin a 12˚S), mentre il fenomeno ENSO è focalizzato più vicino lungo l’equatore. L’Equatorial Southern Oscillation Index risolve questo problema, in quanto utilizza la pressione media a livello del mare su due grandi regioni centrate sull’equatore (da 5˚S a 5˚N) sopra l’Indonesia e il Pacifico equatoriale orientale. Tuttavia, i dati per questo indice risalgono solo al 1949 mentre l’indice Tahiti-Darwin risale alla fine del 1800 grazie ad un numero di registrazioni più antiche per cui viene utilizzato per rappresentare lo stato ENSO in una serie di studi fondamentali che collegano ENSO ai suoi effetti climatici globali (Ropelewski e Halpert 1986, 1987, tra gli altri) – autore disegno Fiona Martin – ENSOindices Nino3.4only large.png – Wikimedia Commons
Il Niño-Southern Oscillation (ENSO) è una variazione periodica irregolare dei venti e delle temperature della superficie del mare sull’Oceano Pacifico tropicale orientale che sappiamo ha un forte influenza sul clima di aree tropicali e subtropicali. In particolare, la fase di riscaldamento della temperatura del mare è conosciuta come El Niño mentre quella di raffreddamento La Niña. C’è molto da raccontare su questi fenomeni ma ci torneremo presto per parlare delle previsioni per questo autunno-inverno che si presentano interessanti per tutta la costa occidentale del sud america. Tornando al MJO si è osservato che una forte attività MJO è stata osservata da 6 a 12 mesi prima dell’inizio di El Niño, mentre è praticamente assente quando El Niño è ai suoi massimi.
In termini pratici, quando abbiamo la presenza del MJO ci si aspetta la genesi di precipitazioni anomale e copiose come quelle avvenute sulla Cina nell’agosto scorso, che preoccuparono non poco gli organizzatori delle olimpiadi di Tokio causando la modifica di alcuni calendari di gara. Queste precipitazioni nascono sull’Oceano Indiano occidentale e si propagano poi sulle calde acque oceaniche del Pacifico tropicale occidentale e centrale fino ad attenuarsi sulle acque oceaniche più fredde del Pacifico orientale, scatenando tutta la loro violenza sulle acque più calde della costa del Pacifico dell’America centrale. La fase umida, con maggiori precipitazioni, è caratterizzata da particelle d’aria divergenti (ascendenti), e viene seguita da una fase secca con particelle d’aria questa volta convergenti (discendenti) in cui viene soppressa l’attività temporalesca.
Un altro indice che può farci prevedere la formazione e soprattutto l’intensificazione dei cicloni tropicali è l’Ocean Heat Content (OHC) che misura l’energia assorbita dall’oceano (energia interna o entalpia). Variazioni nel contenuto di calore dell’oceano giocano un ruolo importante anche nell’innalzamento del livello del mare a seguito dell’espansione termica. È stato calcolato che, a causa del riscaldamento globale, l’aumento dell’OHC ha contribuito, tra il 1971 e il 2010, per il 90% all’accumulo di energia, propagandosi per oltre il 33% fino a profondità del mare inferiori a 700 metri. Onde di calore con temperature maggiori sono state anche responsabili dello sbiancamento dei coralli (coral bleaching) nell’ultimo decennio.
In sintesi, grazie all’osservazione degli oceani è possibile prevedere anche a lunga scadenza fenomeni meteorologici di forte impatto sull’ambiente. Grazie ai satelliti, oggi come oggi, possiamo avere dati costanti sull’andamento termico degli oceani che possono essere correlati e fornire nuove armi ai meteorologi per le loro previsioni a media e lunga scadenza
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