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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XX SECOLO
AREA: MEDITERRANEO, MAR NERO
parole chiave: Giulio Cesare, corazzata
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Si chiamava Giulio Cesare, una corazzata italiana che sopravvisse a due guerre mondiali e ad un ammutinamento … poi divenne il Novorossiysk, ammiraglia della Squadra navale sovietica del Mar Nero fino al suo tragico destino. Il 29 ottobre 1955, la nave affondò nella baia settentrionale di Sebastopoli e più di 600 marinai morirono nell’incidente. Secondo la versione ufficiale fu a causa di una vecchia mina tedesca che esplose inspiegabilmente sotto la nave. Verità o bugia di Stato? Probabilmente non lo sapremo mai. Questo articolo incomincia a raccontare la sua storia incredibile, tra guerra e pace, la storia di una vecchia signora del mare che scomparve nelle fredde acque del Mar Nero per motivi ancora oggi non completamente chiariti.
Il Giulio Cesare
La corazzata Giulio Cesare apparteneva alla classe Cavour, composta da tre navi: il Cavour, il Leonardo da Vinci e il Giulio Cesare. Costruita nel cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente, il suo scafo venne impostato il 24 giugno 1910 e la nave venne varata il 15 ottobre 1911. Inizialmente la nave aveva una lunghezza di circa 170 metri, larghezza di 28 metri ed un pescaggio di circa 9 metri con un dislocamento a pieno carico di 25086 tonnellate. La corazzatura arrivava a 280 mm in orizzontale e 111 mm in verticale che la portava ad un dislocamento a pieno carico di oltre 25.000 tonnellate.
Varo della corazzata Giulio Cesare a Sestri Ponente – Fonte Bain News Service, publisherSestri-Ponente e Launch of Giulio Cesare – 09879v.jpg – Wikimedia Commons
L’armamento era composto da 13 cannoni su tre torri trinate e due torri binate da 305/46, 18 canne da 120/50, e 22 da 76/50 tutti Mod. 1909. Inoltre, aveva 3 lanciasiluri da 450 mm. Per potersi muovere era dotata di una propulsione assicurata da 24 caldaie a vapore di tipo Babcock di cui dodici con combustione a nafta e dodici con combustione mista carbone e nafta, 3 turbine Parsons con 4 assi motrici che assicuravano grazie ai 31 000 CV di potenza una velocità massima di 21,5 nodi. Aveva un’autonomia teorica di 4.800 miglia a 10 nodi e imbarcava un equipaggio di 1000 marinai. All’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale venne inquadrata nella I Divisione di base a Taranto. In totale durante il conflitto la corazzata venne impiegata per 40 ore in tre missioni di ricerca del nemico (senza esito) e 966 ore in attività addestrative. Praticamente non venne mai impiegata in azioni di combattimento.
Nel corso degli anni venti l’unità navale fu sottoposta ad ammodernamento e l’armamento antiaereo subì delle lievi modifiche con la sostituzione di sei cannoni da 76/50mm, con altrettanti da 76/40mm di più moderna concezione e nel 1925 venne imbarcato un idrovolante da ricognizione Macchi M.18, sistemato sulla tuga della torre centrale in una sella brandeggiabile per potere orientare il velivolo secondo la direzione del vento. L’aereo veniva messo in mare ed issato a bordo per mezzo di un albero di carico. Nel 1926 fu anche installata una catapulta. Il 12 maggio 1928 la nave venne posta in disarmo a Taranto e dal 1928 al 1933 utilizzata come nave d’addestramento per gli artiglieri. La possente corazzata nell’ottobre del 1933 lasciò La Spezia per rientrare in cantiere negli stabilimenti di Genova fino al 1937 per un radicale riammodernamento. In pratica della primitiva corazzata fu riutilizzato solo lo scafo e la corazzatura di murata.

ai lavori di trasformazione a Genova
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La lunghezza dello scafo venne aumentata di 10 metri per aumentare il coefficiente di finezza dello scafo e contribuire ad aumentare la velocità della nave, mediante la sovrapposizione di una nuova prora alla vecchia, con l’opera viva dotata di un bulbo. L’armamento fu rivisto, tenendo conto dell’evoluzione della minaccia navale. Fu eliminata la torre a centro nave e fu effettuata la ri-tubazione delle altre torri da 305 mm/46 a 320 mm/44, per un totale di dieci cannoni suddivisi in due torri trinate e due torri binate nelle posizioni prodiera e poppiera, con le torri binate sopraelevate rispetto a quelle trinate. Il ricalibramento dei cannoni principali permise di dotare la nave di armi più potenti del 30% dei cannoni originali asserviti da sistemi di movimentazione elettrica in sostituzione di quella idraulica originale.

prima della ristrutturazione

dopo la ristrutturazione
Molto interessante fu l’installazione di cilindri assorbitori modello “Pugliese” per la protezione subacquea, consistente in due lunghi cilindri deformabili, che posti lungo la murata, all’interno di una paratia piena, avevano il compito di assorbire la forza dell’onda d’urto provocata dall’esplosione di un siluro o di una mina, disperdendola all’interno del cilindro. Teniamo a mente questo particolare. Le modifiche portarono il dislocamento dell’unità a 29000 tonnellate.
Seconda Guerra mondiale
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, la corazzata era inquadrata nella V Divisione navi da battaglia, di base a Taranto nell’ambito della I Squadra Navale, ricoprendo il ruolo di ammiraglia della flotta con insegna dell’ammiraglio Inigo Campioni.

Ammiraglio Inigo Campioni
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Dopo avere preso il mare il 7 luglio al comando del Capitano di Vascello Angelo Varoli Piazza come scorta ad un convoglio partito da Napoli il 6 luglio e diretto a Bengasi, il 9 luglio si scontrò con navi della Royal Navy nella battaglia di Punta Stilo; nel corso dello scontro una salva lunga del Giulio Cesare danneggiò, anche se lievemente, due cacciatorpedinieri britannici, l’HMS Hereward e il HMS Decoy.

danni sul Giulio Cesare a seguito dello scontro
Il Giulio Cesare venne colpito da una granata che, attraversato il fumaiolo poppiero, esplose provocando un principio d’incendio. A causa delle conseguenze dell’esplosione dovettero essere spente quattro caldaie e la velocità venne ridotta a 18 nodi. A questo punto, prudenzialmente, la nave si diresse verso Messina insieme all’incrociatore Trento della III Divisione. La potente nave venne quindi inviata all’Arsenale di La Spezia per i lavori di riparazione ed il successivo 30 agosto prese parte con la Iª Squadra navale ed altre unità partite da Messina e da Brindisi ad un’azione di contrasto all’Operazione Hats che aveva lo scopo di scortare un convoglio da Alessandria d’Egitto a Malta. L’azione italiana non ebbe seguito in quanto la Squadra Navale italiana, che aveva con se le due nuovissime navi da battaglia Vittorio Veneto e Littorio, incontrò una forte burrasca e dovette ripiegare.
Dopo la notte di Taranto, 11-12 novembre 1940, il Giulio Cesare venne trasferito a Napoli insieme al Doria ed al Vittorio Veneto, partecipando alla difesa antiaerea della città. Di fatto l’attacco inglese a Taranto aveva distrutto metà della potenza bellica della flotta italiana e dopo l’attacco SUPERMARINA iniziò ad impiegare le navi da battaglia in azioni più aggressive. Un primo risultato si ebbe nell’azione di contrasto all’Operazione White per il rinforzo aereo di Malta da parte degli inglesi. La presenza della flotta italiana, con il Cesare ed il Vittorio Veneto, fornì un efficace disturbo alle operazioni nemiche, ed i caccia britannici, imbarcati sulla portaerei Ark Royal, furono costretti a decollare prematuramente. Per mancanza di carburante, solo 5 aerei raggiunsero Malta. L’azione diede luogo ad aspre critiche e l’ammiraglio Cunningham la definì “uno spaventoso fallimento”.
Il 26 novembre il Giulio Cesare uscì in mare con il Vittorio Veneto, ed altre unità della I e della II Squadra, per intercettare la Forza H dell’Ammiraglio Somerville, proveniente da Gibilterra, che aveva preso il mare per proteggere un convoglio diretto a Malta ed Alessandria. Il contatto tra le forze navali italiane e britanniche avvenne nei pressi della Sardegna e culminò il 27 novembre nella battaglia di Capo Teulada. Uno scontro inconcludente da ambedue le parti in cui Somerville, conscio della superiorità di fuoco italiana, decise di ritirarsi. La stessa cosa fece l’ammiraglio Campioni che non approfittò della confusione e si allontanò dalla flotta avversaria.
Fino alla fine del 1941, il Cesare venne assegnata a compiti di scorta convoglio e, dopo aver partecipato nel dicembre alla scorta del convoglio M42, culminato nella prima battaglia della Sirte, effettuò la sua ultima missione di guerra, dal 3 al 6 gennaio 1942, l’operazione M43, per trasferire tre convogli di sei navi a Tripoli. Rientrata a Taranto, la corazzata, che ormai dimostrava tutti i suoi anni, venne dichiarata obsoleta per effettuare missioni operative, e destinata per l’addestramento. Il 30 dicembre 1942 raggiunse Pola per essere utilizzata come nave caserma e da addestramento statico.
fine della I parte – continua
immagini Ufficio storico della Marina militare
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Bibliografia
– Wikipedia, articoli vari
– Warship, ed. 2007 Conway (da pag. 139 a 152) di Stephen McLaughlin.
– The Demise of the Battleship Novorossiysk: Five Theories di Sergei Karamaev (trad. inglese)
– Chi affondò la corazzata? Corriere della Sera, 8 aprile 1992, p. 28. di Santevecchi Guido,
– Italian battleship Giulio Cesare LINK
– Il mistero della corazzata russa: fuoco, fango e sangue di Luca Ribustini
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ammiraglio della Marina Militare Italiana (riserva), è laureato in Scienze Marittime della Difesa presso l’Università di Pisa ed in Scienze Politiche cum laude all’Università di Trieste. Analista di Maritime Security, collabora con numerosi Centri di studi e analisi geopolitici italiani ed internazionali. È docente di cartografia e geodesia applicata ai rilievi in mare presso l’I.S.S.D.. Nel 2019, ha ricevuto il Tridente d’oro dell’Accademia delle Scienze e Tecniche Subacquee per la divulgazione della cultura del mare. Fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Atlantide e della Scuola internazionale Subacquei scientifici (ISSD – AIOSS).
Sulla Rivista Marittima di qualche anno fa si lasciava trasparire un segreto attacco da parte di incursori non meglio specificati….Saluti cordialissimi….
Le consigliamo di leggere la seconda parte
ho letto con piacere l’articolo sulla corazzata Giulio Cesare e quanto ne consegue. Purtroppo riaffiora sempre il tradimento di alcuni nostri ammiragli, mentre la stragrande maggioranza degli ufficiali ed equipaggi delle altre Unità della grande flotta italiana, sono rimasti fedeli alla Patria fino allo estremo sacrificio immolando la propria vita.