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livello elementare
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ARGOMENTO: STORIA NAVALE
PERIODO: XVI SECOLO
AREA: MAR MEDITERRANEO e OCEANO ATLANTICO
parole chiave: galee
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La galea era quindi uno strumento bellico più flessibile ed efficace della nave nel teatro mediterraneo
Se guardiamo alla battaglia di Lepanto [fig. 6] vediamo la galea sfruttare al meglio le sue caratteristiche.
Lepanto
A nord Mehemet Soraq e Agostino Barbarigo manovrarono sotto costa, tra secche e bassifondi, in spazi strettissimi, prendendosi vicendevolmente sul fianco (e la spunterà il Barbarigo). A sud, con Ulugh Alì, cercò di aggirare il fianco scoperto della flotta della Lega; Giovanni Andrea Doria manovrò in parallelo per impedirglielo; Ulugh Alì invertì la rotta per gettarsi nel varco aperto nello schieramento cristiano, lasciando parte della sua squadra ad impegnare il Doria per fissarne la posizione. Questi, disimpegnatosi, lo inseguì. Ci troviamo di fronte ad una serie di manovre e contromanovre, di complesse evoluzioni, eseguite in uno spazio di mare relativamente limitato a livello di squadre fino a 50-60 bastimenti. Il tutto indipendentemente dalla condizione del vento, sfruttando vele e remi a seconda della continenza, senza alcuna dipendenza dalla direzione e dalla forza del vento.
La galea era, quindi, tra Cinquecento e primo Seicento, quella che oggi viene definita una Capital Ship, la Capital Ship del Mediterraneo.
Ma il suo impiego non era limitato al solo Mediterraneo. Troviamo galee e galeotte portoghesi nell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso, galee nordiche nel Baltico, galee spagnole nel Golfo di Biscaglia (durante le guerre di religione francesi), a Manila (comandate dal un genovese, Raggio Doria) e anche nelle Fiandre. È sulle Fiandre che mi soffermerò brevemente per concludere. Perché qui entra in gioco un altro genovese, Federico Spinola, fratello minore e socio del più celebre Ambrogio. È un personaggio singolare Federico. La madre, Polissena Grimaldi, lo aveva indirizzato alla vita ecclesiastica. Federico dopo (o durante) gli studi all’Università di Salamanca decise di indirizzare il suo futuro altrove, ossia nella carriera militare. A 19 anni, nel 1590, dopo una breve esperienza a bordo delle galee della stuolo genovese si arruolò nell’Armata spagnola della Fiandre, maturando esperienza sotto la guida di Alessandro Farnese, il comandante dell’Armata. Servì come soldato ma sempre con un occhio sul mare. Osservò il teatro marittimo, riflettendo su uno dei cardini del fallimento dell’Invincibile Armada nel 1588: il blocco imposto dai navigli leggeri olandesi ai porti fiamminghi, dai quali avrebbero dovuto salpare i bastimenti con a bordo l’Armata del Farnese per attraversare la Manica sotto la protezione dell’Armada. Ma l’Armada era senza galee, era senza una base (ossia senza un porto) e i suoi galeoni e le sue navi non potevano operare sui bassifondi fiamminghi contro i legni leggeri olandesi, per togliere il blocco. Sulla base di queste riflessioni Federico nel 1594 propose all’arciduca Ernesto d’Austria, governatore dei Paesi Bassi spagnoli (il Farnese era morto nel 1592), un piano ambizioso: utilizzare galee nelle Fiandre contro il traffico olandese e inglese. Le galee avrebbero dovuto sfruttare il vantaggio della propulsione remica per attaccare le navi inglesi e olandesi in bonaccia, muovendosi agilmente sui bassi fondali.
Non solo, le galee avrebbero potuto sfruttare il loro basso pescaggio e la propulsione remica anche per compiere incursioni in territorio olandese lontano dalla linea del fronte di guerra terrestre, risalendo le foci dei fiumi ed i canali, al fine di terrorizzare la popolazione. Ma c’era ancora dell’altro nella testa di Federico. Una volta indeboliti gli olandesi, una flotta di galee avrebbe dovuto proteggere il passaggio dell’Armata della Fiandre in Inghilterra, con obiettivo di conquistare una città, fortificarla e farne il centro d’operazioni per la progressiva conquista del regno di Elisabetta I. Là dove i galeoni e la naos dell’Armada del 1588 avevano fallito le galee, più adatte al particolare teatro operativo e alle operazioni anfibie, potevano riuscire. L’arciduca Ernesto rimase entusiasta del piano ed inviò Federico a Madrid per presentarlo a Filippo II. La sconfitta dell’Armada però bruciava ancora troppo; Filippo non ne volle sapere di tentare di nuovo la sorte contro l’Inghilterra. Federico dovette attendere la morte del re (1598) per proporre il progetto al suo successore. Nel frattempo si occupò anche di Mediterraneo, appoggiando il progetto del fratello Ambrogio di prendere in asiento le 20 galee della squadra spagnola di Napoli (progetto naufragato a causa dell’ostilità del Viceré di Napoli, e forse anche di Giovanni Andrea Doria, che era in contrastato con Ambrogio e mal avrebbe visto un suo antagonista al comando di una delle squadre spagnole poste sotto il suo comando). Ma torniamo alle Fiandre e all’Inghilterra. Nel 1599 Federico ottenne l’incarico di armare una squadra di galee per le Fiandre, in via sperimentale, per verificare la giustezza delle sue teorie sul fatto che la galea potesse farsi valere nel teatro di guerra fiammingo. La sperimentazione andò più che bene; Federico molestò con efficacia il traffico anglo-olandese a partire dalla sua base, il porto di Sluis. Lo fece con tanta efficacia che, a partire dall’anno successivo gli olandesi, per contrastarne l’azione, iniziarono a varare galeotte: la miglior dimostrazione dell’efficacia di un sistema d’arma è la sua diffusione tra le file de nemico. Così fu per la galea. Federico tornò a Madrid nel 1601: il periodo di sperimentazione era finito a aveva dato esito positivo; si poteva passare all’attuazione del piano di invasione contro l’Inghilterra. Il piano divenne un affare di famiglia, perché c’era bisogno di un esercito, di un corpo di truppa che rinforzasse l’Armata della Fiandre, e di un generale che reclutasse ed organizzasse il nuovo corpo, e che prendesse il comando dell’Armata nell’attacco contro l’Inghilterra. Federico coinvolse suo fratello, Ambrogio. I due reclutarono 11.000 uomini; ci misero soldi propri, prestando alla Corona fino a 800.000 ducati, per finanziare le forze di terra e la squadra di galee. Federico cercò nuove galee da unire a quelle che aveva lasciato nella Fiandre. Tra l’altro entrò di nuovo in contrasto con Giovanni Andrea Doria perché trattò l’acquisto di quattro unità della Squadra di Genova, di proprietà di un altro Ambrogio Spinola, un suo parente. Carlo Doria, figlio di Giovanni Andrea, comandava la squadra. A padre e figlio il fatto che Federico si prendesse quattro galee della loro squadra non andava giù. Carlo raggiunse Madrid per protestare, bloccando la transazione.

fig. 7
Federico dovette guardare altrove, ed ottenne delle galee portoghesi. Come andò a finire la questione? Sappiamo bene che Ambrogio Spinola non invase mai l’Inghilterra. Quando Federico (via mare) e Ambrogio (via terra) raggiungessero le Fiandre, nel 1603 (nonostante il tentativo olandese di intercettare la flotta di Federico nel passo di Calais [fig. 7 e 8]), l’Armata spagnola era impegnata da due anni nell’assedio di Ostenda. I due fratelli considerarono la conquista della città quale condizione preliminare per procedere poi all’azione oltre la Manica. Ma due episodi fecero accantonare il piano: la morte di Elisabetta I, nel marzo del 1603 – a cui seguì una relativa distensione dei rapporti tra Spagna e Inghilterra – e quella di Federico (26 maggio 1603) durante un’operazione navale collegata all’assedio (la squadra di galea veniva utilizzata per bloccare il porto di Ostenda).

fig. 8
Ambrogio non varcò mai la Manica, ma l’esperienza di Federico e delle sue galee non rimase una parentesi priva di conseguenze. Gli spagnoli e gli olandesi continuarono ad usare bastimenti mediterranei nelle Fiandre, galee e fregate (queste ultime erano bastimenti leggeri di servizio alle galee, utilizzati anche come legni corsari, solitamente di conserva con le galee); e a Dunkerque, porto dei Paesi Bassi spagnoli, dall’ibridazione delle fregate mediterranei con i galeoni nacquero le “fregate a galeone”, ossia quelle fregate armate a nave che si affermarono come bastimenti da guerra leggeri (rispetto alla nave di linea) nei due secoli successivi.
Emiliano Beri
testo tratto dalla relazione presentata al convegno internazionale “Navi genovesi nel Secolo dei Genova”, Archivio di Stato di Genova, 6 aprile 2018
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Emiliano Beri si è laureato con lode in Storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova. Nel 2011 vi ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia, discutendo una tesi sulle guerre di Corsica del medio Settecento. Dal 2012 al 2016 è stato assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Antichità, Filosofia, Storia e Geografia dell’Università di Genova. Negli anni accademici 2016-17 e 2017-18 ha insegnato Storia sociale nel corso di Laurea triennale in Storia e Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze Storiche della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova. Per l’anno accademico 2018-19 è stato docente aggregato di Storia militare nel corso di Laurea magistrale in Scienze storiche della stessa Scuola. A partire dall’anno accademico 2019-20 è docente aggregato sia di Storia militare che di Storia sociale.